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19 Dec 14:49

PLUTO, L'ODIO-AMORE E L'EFFETTO PELTIER

by Leonardo Petrillo
Dopo Berserk e Banana Fish, ritorniamo nel mondo degli anime con un'analisi di alcuni dei temi presenti nell'opera in 8 episodi intitolata Pluto (di recente pubblicata su Netflix), tratta dall'omonimo manga di Naoki Urasawa (autore di altri capolavori fumettistici tra cui Monster), a sua volta ispirato da un altro celebre manga di Osamu Tezuka, ovvero Astro Boy.




















Infatti Urasawa riprende una porzione della storia creata dal collega per narrarla come se fosse un intenso thriller (un marchio di fabbrica delle sue produzioni).
Una caratteristica particolare che sin da subito si può constatare riguardo all'anime Pluto è la durata degli episodi: non hanno il caratteristico minutaggio di poco più di 20 minuti, ma arrivano a durare intorno ad un'ora ciascuno.
Nonostante ciò, la narrazione scorre piuttosto bene, con svariati picchi di pathos nel corso dell'arco narrativo.
Ad una lettura semplicistica Pluto potrebbe sembrare semplicemente un thriller ambientato in un mondo dove coesistono umani e robot. Beh, è molto di più!
Un po' come accade più in breve nel meraviglioso film del 1999 L'uomo Bicentenario (interpretato dal mitico Robin Williams e tratto dall'omonimo racconto di Isaac Asimov), il tema principale non è tanto lo sviluppo incredibile del mondo della robotica (comunque ovviamente presente), ma una riflessione sul concetto di umanità, nel senso più profondo possibile della parola.
Cercheremo dunque, riducendo al minimo i possibili spoiler, di analizzare alcune delle tematiche presenti (mi concederò delle considerazioni personali, che potete condividere o meno, ma che spero vi invitino a riflettere seriamente sulle tematiche affrontate) e nel finale del post osserveremo anche come la fisica e la matematica facciano capolino all'interno del suddetto anime. 
Iniziamo sottolineando come un termine che sentirete/avete sentito ripetuto molte molte volte nel corso degli 8 episodi è "odio".
L'odio è un sentimento tipico degli esseri umani. Tutti prima o poi tendiamo a provarlo in maniera più o meno grande.
Possiamo "odiare" delle cose stupide, come per esempio una giornata di pioggia, un esame andato non come volevamo, una disconnessione durante una partita di un videogame online, il grosso ritardo di un mezzo di trasporto e così via.
Incrementando il grado di intensità di questo "odio", si potrebbe odiare la rottura di una relazione amorosa, la comparsa improvvisa di una grave malattia, la perdita del lavoro o in generale un serio evento spiacevole nella propria vita.
Ma ancora non ci siamo; l'odio profondo di cui narra Pluto è quello che nasce nei confronti dell'altro, verso il diverso (in questo caso i robot), verso ciò che non capiamo, o da una rabbia così divampante che offusca ogni tipo di razionalità e sensibilità, un odio spesso dettato da pregiudizi dannatamente ancorati, quello stesso odio che, nel caso più estremo, contribuisce a scatenare guerre, a scapito degli innocenti civili.
La seguente scena di circa 30 secondi sintetizza in pieno questo scomodo argomento.


Bastano infatti questi 30 secondi per richiamare immediatamente alla nostra mente l'attuale situazione di guerra, devastazione e sofferenza tra Israele e la Palestina, drammatico scenario in cui si aprono distanti e comode tifoserie sui media, come se stessimo assistendo ad una partita di calcio tra due squadre contrapposte, ma dove nel mezzo invece muoiono civili da ambo le parti, inclusi tanti bambini.
In guerra alla fine non vince mai veramente nessuno, sono solo tanti a perdere, è solo tanto il dolore che si accumula giorno dopo giorno. Sarebbe auspicabile che se proprio una parte dell'umanità non riuscisse a fare a meno di farsi la guerra, se la facesse sui videogame, non a scapito spesso di innocenti!   
Un tema questo che ritroviamo anche nella famosissima serie anime (in particolare nella quarta stagione) di Hajime Isayama L'attacco dei giganti (titolo originale Shingeki no kyojin, anche noto col titolo inglese Attack on Titan), ove c'è una stupida e radicata demonizzazione di popoli basata su atti compiuti in un remoto passato e spesso su pregiudizi scambiati ed inculcati per generazioni come certezze indiscutibili.
Riporto di seguito una citazione molto significativa da Attack on Titan in tal prospettiva.





 









E tornando nel concreto, è sufficiente spingersi indietro di circa un secolo per ritrovare nella nostra storia il culmine di questo odio accecante con l'avvento del nazifascismo.
Ogni categoria di persona, come ebrei, omosessuali, disabili (emblematica e dilaniante la scena, dal film Il pianista, dove un anziano sulla sedia a rotelle, impossibilitato ad alzarsi in piedi all'arrivo degli ufficiali tedeschi, viene gettato direttamente e freddamente fuori dalla finestra della sua abitazione). ecc. da ritenere inferiore, su cui scatenare l'odio sociale, su cui perpetrare le peggiori torture o uccidere senza alcun rimorso veniva contraddistinta da uno specifico simbolo (si trova qualcosa di simile pure nell'Attacco dei Giganti) all'interno dei campi di concentramento (cliccate qui per vedere la lista dei simboli dell'orrore nello specifico).

. 
Notiamo dunque che talvolta è sufficiente una semplice diversità (caratteristica intrinseca non solo dell'essere umano, ma della natura stessa) a innescare la discriminazione e l'odio, che sia per ragioni religiose, razziali, di cultura, di orientamento sessuale o altro non importa, la non contemplazione della diversità è uno dei meccanismi che innescano la propagazione dell'odio negli esseri umani.
Tutto ciò non è mai scomparso (e probabilmente mai scomparirà), anzi persino oggi certi personaggi pubblici si arrogano il "diritto di odiare", più precisamente di diffondere gratuitamente odio sociale, giustificandosi con considerazioni a loro parere "logiche", "statistiche" e "naturali" (come il fatto che una "minoranza", in quanto tale, non debba godere degli stessi diritti di una "maggioranza"), ma spesso fondate sulla più totale ignoranza e su una visione fredda e cinica della realtà.
A questi personaggi risponde indirettamente la splendida canzone di Brandi Carlile intitolata The Joke, che poi è anche parte della colonna sonora del film Joe Bell, tratto da una tragica storia vera di bullismo ed omofobia (leggete qui). 


 

Rilevante in tale direzione è anche una lucida citazione di Aldous Huxley, che riporto di seguito accompagnata dal suggestivo dipinto Inferno realizzato dalla Prof.ssa Annarita Ruberto, aka Nereide.


Riprendendo come esempio i robot, immaginate che noiosa sarebbe la società umana se fossimo tutti delle macchine fotocopia delle altre, senza alcuna diversità caratteristica (o comunque con una gamma ristretta di differenze), qualcosa che ci fa riconoscere, nel bene e nel male, immediatamente per quel che siamo.
Pensate a quanto la diversità sia per esempio essenziale in ambito musicale. Ogni strumento musicale ha il suo timbro caratteristico, che ci permette di riconoscere un pianoforte da un violino e da un sassofono, per non parlare della voce umana, che è ancora più variegata nelle sue sfumature.
E proprio con la musica al centro dell'attenzione parte Pluto!
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19 Dec 14:39

Inferno, canto XXII

by zar

“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Cavalieri in marcia, in combattimento e in parata, e talvolta battere in ritirata. Ho visto soldati nella vostra terra, o Aretini, li ho visti fare scorrerie, tornei e giostre. Li ho visti guidati da squilli di tromba, rintocchi di campane, tamburi, segnali dai castelli, strumenti nostrani e stranieri. Ma non ho mai visto un cavaliere, o un fante, o una nave da combattimento muoversi al suono della tromba del culo di un diavolo”.

“Ma cos'è”.

“L'inizio del canto XXII, naturalmente”.

“Leggermente parafrasato”.

“Un pochino. Volevo anche allitterare con i raggi b che balenano nel buio ma sarebbe stato bislacco”.

“Benissimo”.

“Ora possiamo andare avanti”.

“Ecco”.

“Nel canto XXII Dante è scortato dai Malebranche lungo l'argine della quinta bolgia. I dannati, più in basso, sono sommersi nella pece, e ogni tanto si vede emergere qualche schiena,”.

Come i dalfini, quando fanno segno
a’ marinar con l’arco de la schiena,
che s’argomentin di campar lor legno,

“Cos'è che fanno i delfini?”.

“Secondo Dante, segnalano ai marinai di salvare la loro nave dalla tempesta”.

“Ah, ed è vero?”.

“Mah, qualche anno fa ho avuto l'occasione di fare un'uscita con i signori della Jonian Dolphin Conservation, che ci hanno spiegato che quando i delfini vengono in superficie non lo fanno sempre per giocare e divertirsi. A volte compaiono per vedere cosa sta succedendo e per distrarre l'eventuale pericolo dagli individui più deboli, che nuotano più in profondità.”.

“Ma quindi i giochi coi delfini che si vedono nei delfinari…”.

“Per loro i delfinari sarebbero da abolire”.

“Ah”.

“D'altra parte, ci sono documentari, tra cui quelli famosi della BBC, che mostrano come i delfini in qualche occasione abbiano davvero aiutato l'uomo”.

“Beh, magari quando sono liberi possono decidere di farlo oppure no”.

“Già. Questo mostra, comunque, come l'osservazione di un fenomeno sia indispensabile ma non sufficiente. In altre parole, non dobbiamo lasciarci fuorviare dai nostri pre-giudizi: così come quando vediamo un delfino non possiamo sapere se è lì per giocare o per difendere un cucciolo che si trova cento metri sotto di lui, allo stesso modo quando osserviamo un qualunque fenomeno, una qualunque raccolta di dati, non dobbiamo fare deduzioni che ci sembrano logiche ma che non è detto che lo siano. Come dicono gli statistici: correlation is not causation”.

“Certo che parlare di correlazione coi delfini…”.

“Si fa quel che si può con quel che si ha, Dante non ha mica scritto un trattato scientifico. Però ogni tanto mette lì qualche osservazione precisa e dettagliata che ti lascia spiazzato. Comunque basta parlare di delfini, ora parliamo di pece”.

“Preferivo i delfini”.

“Che farebbero molta fatica a nuotare nella pece”.

“Senza dubbio”.

“Perché la pece è un liquido ad alta viscosità”.

“Certo”.

“La viscosità misura l'attrito tra le molecole di un liquido, come se un liquido fosse composto da tanti strati sottili in moto uno rispetto all'altro. Ciò che misura la difficoltà che hanno gli strati di scorrere uno sull'altro è proprio la viscosità”.

“Ok”.

“Tu immergi la mano in una vasca di liquido e provi a mescolarlo: se fai poca fatica il liquido è poco viscoso, se fai molta fatica il liquido è molto viscoso. Si fa meno fatica a mescolare una vasca d'acqua che non una vasca di pece”.

“Naturalmente”.

“E poi c'è un'altra caratteristica di cui tenere conto: se cambia la velocità di mescolamento, cambia la viscosità?”.

“Beh, certo”.

“La domanda è un po' più sottile: certamente cambia la forza, se vuoi mescolare la vasca d'acqua più velocemente farai più fatica, ma c'è una costante di proporzionalità che lega forza e velocità di mescolamento? Oppure non c'è nemmeno quella?”.

“Ah boh. Mi verrebbe da dire che c'è, ma se lo chiedi in questo modo forse la risposta è un'altra”.

“Bene, niente preconcetti! La risposta, comunque, è dipende”.

“Capirai”.

“Ci sono liquidi che mostrano questa caratteristica, questa costante di proporzionalità. Si chiamano fluidi newtoniani, e l'acqua ne è un esempio”.

“Oh, bene”.

“Ma ci sono anche fluidi non newtoniani. Ci sono fluidi, per esempio, per i quali l'aumento della velocità di mescolamento fa aumentare la viscosità: si chiamano fluidi dilatanti, e l'esempio classico che si fa per mostrare la loro strana caratteristica è quello dell'amido di mais”.



“Wow”.

“E ci sono esempi di tutti i tipi. Per esempio, ci sono fluidi per i quali l'aumento della velocità di mescolamento fa diminuire la viscosità: questi vengono detti assotiglianti al taglio”.

“Un esempio?”.

“Il ketchup. Fai fatica a estrarlo dalla bottiglia, ma se la agiti un po' allora il liquido è meno viscoso ed esce meglio”.

“Accidenti, è vero”.

“E ci sono ancora altre caratteristiche: liquidi per i quali aumenta o diminuisce la viscosità in base al tempo di mescolamento, e non alla velocità. Sono detti reopessici i primi e tissotropici i secondi”.

“Quanta roba”.

“In geologia ci sono i reidi, che sono solidi che presentano caratteristiche di deformabilità tipiche dei liquidi. C'è gente che ha studiato la deformazione di due lastre di granito nel corso di vent'anni, pubblicando nel frattempo alcuni articoli scientifici”.

“Ah, come il vetro, che si deforma dopo molto tempo”.

“Purtroppo quella è una leggenda metropolitana, se ti riferisci alle deformazioni delle vetrate nelle chiese”.

“Davvero?”.

“Sì, il vetro non ha quella capacità di deformazione. Tieni presente che quelle vetrate erano poi circondate da strisce di piombo, che ha una viscosità molto minore di quella del vetro: se il vetro si fosse deformato così tanto come si vede nelle vetrate delle chiese, allora il piombo avrebbe avuto tutto il tempo di colare e fare una pozzanghera per terra. La deformazione nel vetro c'è, ma semplicemente perché è stato costruito così”.

“Ah. Che delusione”.

“Per non lasciarti nella delusione, c'è una bella storia sulla pece”.

“Che bella storia ci potrà mai essere sulla pece?”.

“Una storia che ha vinto un premio forse più prestigioso del premio Nobel. Beh, no, non esageriamo, non più prestigioso ma molto ambito”.

“E che premio è? E che storia è poi?”.

“Si tratta dell'esperimento della goccia di pece. La pece, a temperatura ambiente, non sembra proprio un liquido: è molto viscosa e praticamente non cola”.

“E quindi?”.

“E quindi c'è un esperimento in corso che ha lo scopo di osservare la pece che cola”.

“Sai che roba”.

Un esperimento avviato nel 1927”.

“Eh?”.

“Già. La pece è stata messa all'interno di un imbuto di vetro col fondo tappato, dopo tre anni è stato tolto il tappo, e la pece ha cominciato a colare formando una prima, grossa goccia, che si è staccata dopo… indovina un po'?”.

“Boh? Molte ore? Giorni?”.

“Otto anni”.

“No, dai”.

“Otto. E poi ne sono cadute altre, a distanze di tempo simili”.

“Chissà la festa che fanno quando se ne stacca una”.

“Molto spesso il momento del distacco è stato perso. All'inizio non c'era l'elettronica, e conservare otto anni di pellicola cinematografica non sembrava il caso. Nel 2000 la webcam che doveva filmare il distacco si è guastata poco prima della caduta dell'ottava goccia”.

“Argh”.

“La nona fu ripresa da molte telecamere, ma si appoggiò sulle altre, cadute negli anni precedenti, senza staccarsi. Venne deciso di cambiare il contenitore prima che la goccia si fondesse con quelle sottostanti, ma le vibrazioni la fecero staccare”.

“Ma santo cielo”.

“Insomma, aspettiamo la prossima. Ora c'è una webcam che trasmette su internet un primo piano dell'esperimento, speriamo che finalmente tutto funzioni. Comunque per questo esperimento è stato vinto nel 2005 il premio IgNobel”.

“Oh, bene. Anche se nessuno ha mai visto cadere una goccia di pece, alla fine”.

“Sono riusciti a fare anche quello, con un esperimento gemello iniziato nel 1944, che ha permesso di filmare la caduta nel 2013”.

“Sessantanove anni dopo!”.

“Eh, ci vuole della calma, con la pece funziona così”.

“Dillo ai poveri dannati”.

“Che oltretutto erano immersi nella pece bollente. E che, piuttosto di avere a che fare con i diavoli, preferiscono tuffarsi per non farsi prendere. E i diavoli cercano di raggiungerli, e litigano, e cadono pure loro nella pece”.

“Vabbè”.

“E a quel punto Dante e Virgilio scappano via, lasciando lor così 'mpacciati”.

19 Dec 10:22

Il solitario Barricelli e la nascita degli organismi numerici

by Marco Fulvio Barozzi
Gianluigi.ulaula

#Popinga

 


Il MANIAC (acronimo di Mathematical Analyzer, Numerical Integrator And Computer), la cui architettura fu progettata quasi esclusivamente da John von Neumann agli inizi degli anni Cinquanta, era il più potente “cervello elettronico” dell’epoca e fu installato presso l’IAS (Institute for Advanced Study) di Princeton, nel New Jersey. Finanziato quasi interamente con fondi delle forze armate, serviva principalmente per eseguire i complessi calcoli che portarono alla costruzione della bomba termonucleare all’idrogeno. Il suo nome, scherzoso e non ufficiale, faceva il verso a quello dell’ENIAC, che lo aveva preceduto dal 1946, sempre con scopi principalmente militari (e per le previsioni meteorologiche). C'erano cinque kilobyte di memoria totale archiviati nella macchina. Un’inezia per gli standard odierni, ma allora era un arsenale.

Maniac è il nome anche della bella e documentata biografia romanzata di John von Neumann e storia dell’evoluzione del suo calcolatore elettronico, scritta dal cileno Benjamín Labatut (Adelphi, 2023). Di sicuro Labatut ha giocato con il significato della parola che, in inglese come in italiano, indica una persona con problemi mentali, un pazzo. E il libro abbonda di figure di persone geniali e un po’ folli, a cominciare dallo stesso matematico di origine ungherese. Ma von Neumann non è il solo. A metà circa di Maniac compare e scompare nel giro di due capitoli non consecutivi l’enigmatica e affascinante figura di Nils Aall Barricelli.


Nella finzione letteraria ne parla la testimonianza di Julian Bigelow, l’ingegnere informatico che fu il braccio destro di Von Neumann nella progettazione e nella realizzazione della macchina. Il capitolo si intitola proprio “Un vero scienziato pazzo”.
Appena il MANIAC cominciò a funzionare Johnny chiamò a lavorarci un vero scienziato pazzo. 
Nils Aall Barricelli. 
Mezzo norvegese e mezzo italiano. 
Totalmente folle.

A Johnny era venuta un'ossessione per la biologia, e quest'uomo lasciò nel suo ufficio un bigliettino scritto a mano. 
“Interessato a condurre una serie di esperimenti numerici allo scopo di verificare la possibilità che un'evoluzione simile a quella degli organismi viventi abbia luogo in un universo creato artificialmente”
Con accluse specifiche e alcune pubblicazioni accademiche. 
Johnny mi chiese cosa ne pensavo. 
Non aspettò la mia risposta. 
L'indomani gli accordò libero accesso. 
Gli disse che poteva far girare qualunque simulazione volesse. 
Una volta terminati i calcoli per la bomba, ovviamente.
Barricelli era nato a Roma il 24 gennaio 1912 da padre italiano e madre norvegese. Secondo Richard Goodman, un microbiologo che fece amicizia con il matematico negli anni '60, Barricelli affermava di aver inventato il calcolo infinitesimale prima del suo decimo compleanno. Quando il ragazzo mostrò i calcoli a suo padre, apprese che Newton e Leibniz lo avevano preceduto di un paio di secoli. Mentre era studente all'Università di Roma, Barricelli studiò matematica e fisica con Enrico Fermi. Un paio d'anni dopo la laurea nel 1936, emigrò in Norvegia con la madre recentemente divorziata e la sorella minore.

Mentre infuriava la Seconda guerra mondiale, Barricelli studiava. Nonostante avesse presentato una tesi di 500 pagine sull'analisi statistica delle variazioni climatiche nel 1946, Barricelli non completò mai il suo dottorato di ricerca. La commissione di tesi gli ordinò di ridurre l’articolo a un decimo delle dimensioni, altrimenti non avrebbe accettato il lavoro. Invece di capitolare, Barricelli rinunciò alla laurea.

Barricelli iniziò a modellare i fenomeni biologici su carta, ma i suoi calcoli erano lenti e limitati. Fece domanda per studiare negli Stati Uniti come borsista Fulbright, dove avrebbe potuto lavorare con la macchina IAS. Come scrisse nella sua richiesta di borsa di studio originale nel 1951, cercò di “effettuare esperimenti numerici per mezzo di grandi macchine calcolatrici”, al fine di chiarire, attraverso la matematica, “i primi stadi dell’evoluzione di una specie”. Desiderava anche socializzare con grandi menti: “comunicare con statistici e teorici dell’evoluzione americani”. Al momento della presentazione della domanda era un assistente di 39 anni presso l'Università di Oslo.

Sebbene il programma inizialmente lo respinse a causa di un problema di visto, all'inizio del 1953 Barricelli arrivò all’Institute for Advanced Study come membro in visita. "Spero che troverete il signor Baricelli [sic] una persona interessante con cui parlare", scrisse Ragnar Frisch, un collega di Barricelli che più tardi avrebbe vinto il primo Premio Nobel per l'economia, in una lettera a von Neumann. “Non è sempre molto sistematico nella sua esposizione”, continuava Frisch, “ma ha idee interessanti”. Comunque, non è vero che “fu chiamato”, ma fu presentato con ottime credenziali.
Le sue idee erano deliranti. 
Voleva imitare all'interno del MANIAC l’evoluzione della vita.

“Il primo linguaggio e la prima tecnologia sulla Terra non furono creati da esseri umani. Furono creati da molecole primordiali quasi quattro miliardi di anni fa. Sto pensando alla possibilità che un processo evolutivo potenzialmente in grado di condurre a risultati analoghi si possa avviare nella memoria di un calcolatore”.

Credeva nella simbiogenesi. 
Una teoria estremamente controversa opposta al darwinismo. 
Spiega la complessità degli organismi viventi attraverso le associazioni simbiotiche anziché mediante la selezione naturale dell'ereditarietà. 
Una fusione tra forme più semplici.
L'ipotesi simbiogenetica fu articolata per la prima volta dal naturalista russo Konstantin Merezhkovsky nel 1905. Egli era già a conoscenza del lavoro svolto dal botanico tedesco Andreas Schimper, che, avendo osservato nel 1883 come la divisione dei cloroplasti nelle piante verdi ricordasse quella dei cianobatteri, aveva proposto che le piante verdi derivino dall'unione simbiotica di due organismi. Successivamente, nel 1920, Ivan Wallin estese l'idea di un'origine endosimbiontica anche ai mitocondri. Ma tutte queste ipotesi furono inizialmente tralasciate o confutate. Analisi più dettagliate di cianobatteri e cloroplasti, effettuate grazie al microscopio elettronico, e la scoperta che i plastidi e i mitocondri contengono un proprio DNA (che fu riconosciuto come il materiale ereditario degli organismi) portarono a una rivalutazione dei fatti negli anni Sessanta.

Come avrebbe scritto lo stesso Barricelli in un lungo articolo riguardante il suo lavoro su Civiltà delle macchine di Leonardo Sinisgalli (1955: a. 3, mag., fasc. 3, pp. 27-33), “Un'ipotesi ardita fu avanzata nel 1924 da Kozo-Polyansky quando già si cominciava a sapere qualche cosa di queste analogie. L'ipotesi di Kozo-Poliansky è che tutti i geni ed anche diverse altre molecole della cellula che sono dotate di potere autocatalitico discendono da altrettanti virus od organismi di natura simile ai virus che per simbiosi un po’ per volta si sono associati al resto della cellula. Secondo questa teoria, che Kozo-Polyansky chiama teoria della “simbiogenesi“, il processo di evoluzione che ha permesso la formazione della cellula fu iniziato da una simbiosi tra alcuni organismi di natura simile ai virus. A questi poi col tempo si sarebbero associati nuovi simbionti della stessa natura ed in numero sempre crescente, ed il processo di evoluzione così iniziato avrebbe reso possibile la formazione dei vari organi della cellula”


Sul registro del computer di Barricelli presso l’Institute for Advanced Study, in caratteri scritti a mano a matita datati 3 marzo 1953, c’è il titolo “Problema di simbiogenesi”.

La teoria della simbiogenesi nella sua moderna accezione fu esposta e diffusa per la prima volta nel 1975 da Lynn Margulis, che la ufficializzò nel 1981 nel libro Symbiosis in Cell Evolution (La simbiosi nell'evoluzione cellulare); nel libro viene spiegato come le cellule eucariotiche si siano originate come comunità di entità interagenti tra loro, tra cui ad esempio spirochete endosimbiontiche che svilupparono flagelli e ciglia eucariotici, ma la biologa andrebbe, con più ragione, ricordata per la sua opera di divulgatrice. Infatti, alle spalle dell’opera di Lynn Margulis c’è una lunga storia di idee, alle quali è molto debitrice (e stranamente non cita l’articolo di Kozo-Polyansky che Barricelli conosceva bene).

Attualmente la simbiogenesi è largamente accettata e supportata da prove scientifiche. Nei primi tempi venne accettata molto lentamente tra i biologi, ma grazie al largo numero di prove portate a sostegno nei 30 anni seguenti, è utilizzata su un numero sempre maggiore di sistemi biologici. Oggi è l'unica spiegazione plausibile esistente per l'evoluzione e la discontinuità esistente tra procarioti ed eucarioti.
Disseminò di numeri casuali la memoria del MANIAC.  
Introdusse regole per governare il loro comportamento. 
È così che li faceva “evolvere”. 
La sua ipotesi era che avrebbero cominciato a mostrare le stesse caratteristiche dei geni.

(...)

Ognuno degli organismi di Barricelli era una stringa di numeri. 
Entravano in contatto si fondevano mutavano morivano o procreavano. 
Potevano instaurare una simbiosi per diventare più complessi. 
Potevano regredire a forme piü semplici. 
Trasformarsi in predatori. In parassiti.
Barricelli codificò i suoi organismi numerici sulla macchina IAS per dimostrare la sua tesi. Scrisse che "È molto facile fabbricare o semplicemente definire entità con la capacità di riprodursi, ad esempio, nel regno dell'aritmetica".

Ma qual era il metodo che utilizzava? Lo spiega nell’articolo su Civiltà delle macchine:

“Per esempio, possiamo usare come elementi alcuni numeri scritti sulla prima linea di un foglio a quadretti - vedi fig. 1 dove i numeri negativi sono sottolineati - e scegliere ad arbitrio una regola di riproduzione di questi numeri.

In fig. 1 si è usata la seguente: in una unità di tempo (generazione) un numero positivo m si riproduce m caselle a destra ed un numero negativo n si riproduce n caselle a sinistra. Il risultato che si ottiene dalla prima riga seguendo questa regola di riproduzione è scritto nella seconda riga. Applicando la stessa regola di riproduzione sulla seconda riga si ottiene la terza riga, e così via. Naturalmente per continuare bisognerà fissare delle regole per fissare ciò che dovrà avvenire quando due numeri capitano nella stessa casella. Ma di ciò si parlerà più avanti.

L’altra facoltà essenziale per una evoluzione darwiniana, la capacità di subire cambiamenti ereditari, non è così diffusa come la capacità di riprodursi, ma si conoscono elementi in cui la detta capacità esiste (...) Artificialmente non vi è alcuna difficoltà a definire elementi che oltre alla facoltà di riprodursi hanno anche la facoltà di subire cambiamenti ereditari. Negli elementi numerici sopra definiti possiamo per esempio stabilire delle regole di mutazione approfittando dei casi in cui due numeri capitano nella stessa casella. Il numero da collocare nella detta casella potrà risultare diverso da entrambi e rappresenterà in tal caso una mutazione. (...)


In questo modo si ha una classe di elementi numerici capaci di riprodursi è di subire mutazioni. Le condizioni per un processo di evoluzione in base ai principi di Darwin sarebbero presenti. I numeri, che hanno maggiore probabilità di sopravvivere nell’ambiente creato dalle regole che abbiamo scelto, sopravviveranno. Gli altri verranno man mano eliminati. Si avrà un processo di adattamento all’ambiente, un processo di evoluzione darwiniana”.

Poi, per indurre processi di evoluzione, cambiava le regole: “Per mettere alla prova la teoria della simbiosi dei geni possiamo ricorrere ancora una volta all’impiego di elementi numerici. Basterà modificare le regole della riproduzione impiegate in maniera tale da favorire qualche forma di associazione utilitaria (simbiosi) tra elementi numerici diversi. Così si potrà vedere se è vero che associando elementi con le proprietà fondamentali precedentemente descritte si possa iniziare un processo di evoluzione che si svolga in base allo stesso meccanismo che regola l’evoluzione biologica. Per favorire l’associazione utilitaria (simbiosi) possiamo apportare alle regole di riproduzione adottate delle modifiche per (...) rendere possibile la riproduzione di un elemento numerico solo quando ne sono presenti degli altri da esso differenti. In tal modo si rende necessaria l'associazione utilitaria (simbiosi) di elementi numerici diversi onde rendere possibile la riproduzione. Alle suddette regole di riproduzione si possono poi associare delle regole di mutazione a piacere, per es. sfruttando i casi in cui due numeri cadono nella stessa casella”.

E così via, fino alla prova di compilare la prima riga (generazione) di soli 1 e -1 e caselle vuote (0) estraendoli a sorte in modo casuale con il lancio di due monete.

Il bello è che, all’inizio, faceva tutto con penna e fogli quadrettati. Solo successivamente ebbe la possibilità di ricorrere alla schede perforate del computer.

All'interno del dispositivo, Barricelli programmò mondi costantemente mutabili, ciascuno con file di 512 "geni", rappresentati da numeri interi relativi. Mentre il computer attraversava centinaia e migliaia di generazioni (il massimo fu 5.400) emergevano raggruppamenti persistenti di geni, che Barricelli considerava organismi. Il trucco consisteva nel modificare le leggi della natura create dall’uomo - “norme”, come le chiamava lui - che governavano l’universo e le sue entità. Doveva mantenere questi ecosistemi sull’orlo del disordine e della stasi. Troppo caos e le sue creature si sarebbero trasformate in un caos disorganizzato; troppo poco e si sarebbero omogeneizzate. Il punto nel mezzo, tuttavia, sosteneva processi realistici.

L’azione di equilibrio di Barricelli non era sempre facile. Le sue prime prove furono piene di parassiti: geni numerici primitivi, spesso singoli, invasero lo spazio e divorarono i loro vicini. In genere, era in grado di assistere solo a un paio di cambiamenti ereditari, o al massimo a una manciata, prima che il mondo si distruggesse. Per creare processi evolutivi duraturi, aveva bisogno di ostacolare la capacità di questi parassiti di riprodursi rapidamente. Quando tornò all'Istituto nel 1954 per iniziare una seconda serie di esperimenti, Barricelli apportò alcuni cambiamenti cruciali. Innanzitutto, limitò la proliferazione dei parassiti a una volta per generazione. Questo vincolo consentiva ai suoi organismi numerici un più ampio margine di manovra per superare il problema. In secondo luogo, iniziò a impiegare norme diverse per le diverse sezioni dei suoi universi. Ciò costringeva i suoi organismi numerici ad adattarsi sempre.

Anche negli universi precedenti, Barricelli si rese conto che la mutazione e la selezione naturale da sole non erano sufficienti a spiegare la genesi delle specie. In effetti, la maggior parte delle singole mutazioni erano dannose. Scrisse che “La maggior parte delle nuove varietà che hanno mostrato la capacità di espandersi sono il risultato di fenomeni di incrocio e non di mutazioni, sebbene le mutazioni (soprattutto quelle dannose) siano state molto più frequenti dei cambiamenti ereditari mediante incrocio negli esperimenti condotti".

Quando un organismo diventava perfettamente adatto ad un ambiente, la più piccola variazione non faceva altro che indebolirlo. In tali casi, furono necessarie altre modificazioni, effettuate mediante una fecondazione incrociata, per dare all'organismo numerico una qualche possibilità di miglioramento. Ciò indicava a Barricelli che le simbiosi, l’incrocio genetico e “una forma primitiva di riproduzione sessuale” erano essenziali per l’emergere della vita.

Barricelli programmò alcuni dei primi algoritmi informatici che assomigliano ai processi della vita reale: una suddivisione di ciò che oggi chiamiamo “vita artificiale”, che cerca di simulare i sistemi viventi nei computer. Barricelli lanciò una sfida coraggiosa al modello darwiniano standard di evoluzione per competizione, dimostrando che gli organismi si sono evoluti anche per simbiosi e cooperazione.


In effetti, i progetti di Barricelli hanno anticipato molte attuali vie di ricerca, compresi gli automi cellulari, programmi per computer che coinvolgono griglie di numeri abbinate a regole locali che possono produrre comportamenti complicati e imprevedibili. I suoi modelli hanno una sorprendente somiglianza con gli automi cellulari unidimensionali (reticoli realistici di schemi numerici) proposti da Stanislaw Ulam e, manco a dirlo, da von Neumann, e studiati da Stephen Wolfram.

Barricelli vedeva i suoi organismi informatici come un modello di vita, su questo pianeta e su qualsiasi altro. "La questione se un tipo di simbioorganismo si sviluppi nella memoria di un computer digitale mentre un altro tipo si sviluppi in un laboratorio chimico o mediante un processo naturale su qualche pianeta o satellite non aggiunge nulla di fondamentale a questa differenza", scrisse. Un mese dopo che Barricelli aveva iniziato i suoi esperimenti sulla macchina IAS, Crick e Watson annunciarono la forma del DNA come una doppia elica. Ma conoscere la forma della vita biologica non ha intaccato la convinzione di Barricelli di aver catturato i meccanismi della vita su un computer. Lasciamo che Watson e Crick definiscano il DNA una doppia elica. Barricelli li chiamava “numeri a forma di molecola”.
Ogni due cicli prendeva un campione dalla memoria del MANIAC e lo stampava.
Rigogliosi paesaggi matematici simili a giganteschi quadri espressionisti astratti.
L'elettroencefalogramma di un folle. 
Fissava un punto e gridava Perfetto! quando gli organismi si erano scambiati dei "geni" per creare un simbionte. 
Scandaloso! quando diventavano parassiti.
Gli esperimenti di Barricelli avevano anche un lato estetico. Insolitamente per l’epoca, convertì gli 1 e gli 0 digitali della memoria del computer in immagini pittoriche per evidenziare i suoi organismi numerici Quelle immagini, e le idee alla loro base, avrebbero influenzato gli animatori computerizzati nelle generazioni a venire.

Barricelli non si è limitato a creare un universo di organismi numerici, ha convertito i suoi organismi in immagini. I conteggi computerizzati di 1 e 0 si sarebbero poi auto-organizzati in griglie visive di squisita varietà e consistenza.

Barricelli era convinto che i numeri potessero cominciare a sviluppare una vita propria.
Sono l'inizio di una qualche forma di vita aliena o semplicemente modelli della vita? No, non sono modelli. Sono una particolare categoria di strutture autoreplicanti, già definite!
“Ma deve essere ben chiaro che il compito delle nostre ricerche non è stato quello di indagare come si siano svolte le prime fasi dell’evoluzione biologica. Il nostro compito è invece di indagare se processi di evoluzione in base agli stessi principi che, come si suppone, regolano l’evoluzione biologica sono possibili e come si svolgerebbero inizialmente partendo da elementi numerici o di qualsiasi natura anche se completamente diversi dai virus e dai geni, purché capaci di riprodursi, di mutare ereditariamente e di associarsi in organizzazioni (simbioorganismi) che offrono un vantaggio selettivo”.

(...)

“Processi di evoluzione secondo i principi dell’evoluzione biologica e i cui i fenomeni di incrocio (o riproduzione sessuale) hanno una parte preponderante, possono essere realizzati con molti tipi di elementi capaci di riprodursi, mutare ed associarsi in simbioorganismi. Non si tratta quindi di un fenomeno particolare caratteristico per un determinati tipo di elementi, come ad esempio le molecole degli acidi desossiribonucleici (virus e geni), ma di un fenomeno statistico generale che interessa molti tipi di elementi con le suddette proprietà”.

(...)

“La possibilità di produrre processi di evoluzione insieme agli stessi principi che regolano l’evoluzione biologica, ma partendo da elementi autoriproduttivi di natura qualsiasi, solleva la questione se gli organismi numerici ed eventualmente altri organismi che possono essere sviluppati in simili processi di evoluzione siano da considerarsi come organismi viventi. Teoricamente siffatti organismi, se sviluppati in universi di dimensioni sufficienti e in condizioni adatte, potrebbero avere le stesse e forse anche maggiori possibilità di evoluzione e varietà di forme. Che si voglia o no riconoscerli come organismi viventi, ciò potrà in definitiva essere una questione di definizione. Volendo scegliere una definizione molto comprensiva si potrebbe considerare come vivente ogni organismo capace di riprodursi e di subire cambiamenti ereditari. Con questa definizione sarebbero viventi non solo i virus e i geni, ma anche gli organismi numerici e gli elementi numerici che li compongono”.

(...)

“Ma anche volendo considerare come viventi soltanto i simbioorganismi di natura, diciamo così, albuminica, non bisogna credere che tutti questi organismi debbano necessariamente rassomigliare alle forme di vita che conosciamo sulla Terra né che la Terra debba essere necessariamente l’ambiente migliore per lo sviluppo di siffatte forme di vita”.
Ma alla fine i suoi esperimenti fallirono. 
Sebbene io abbia creato una classe di numeri capaci di riprodursi e di subire mutamenti ereditari, l’evoluzione numerica non va molto lontano e non ha prodotto in nessun caso un livello di fitness sufficiente a mettere la specie al riparo dalla totale distruzione e ad assicurare un processo evolutivo illimitato come quello che ha avuto luogo sulla Terra e che ha portato a organismi sempre più avanzati. Manca qualcosa che permetta di spiegare la formazione di organi e di facoltà complesse come quelle degli organismi viventi. Per quante mutazioni facciamo, i numeri restano sempre numeri. Non diventeranno mai organismi viventi! 
Appunti presi in preda alla disperazione.

Ciarlatano/visionario? 
Probabilmente entrambe le cose. 
Molto in anticipo sul suo tempo. 
Troppo.

Le sue entità numeriche evolvevano in un universo digitale vuoto nel corso dei pochi cicli di calcolo lasciati liberi dalla bomba all’idrogeno. 
Chissà cosa sarebbe riuscito a ottenere con più cicli a disposizione. 
Ma svanirono senza lasciare tracce. 
Molte delle sue idee furono riscoperte in seguito da altri ricercatori che non erano a conoscenza del suo lavoro.

Fu Johnny a seppellirlo? Forse. 
Fra loro accadde qualcosa. Litigarono di brutto. 
Nessuno dei due ha mai riconosciuto il lavoro dell'altro. 
Nemmeno una parola nei loro scritti. Ho controllato. 
Come se non si fossero mai conosciuti. 
Johnny è ancora riverito come il padre della vita artificiale. 
Mentre l'altro pazzo non lo ricorda nessuno. 
Un giorno di punto in bianco gli fu negato l'accesso al MANIAC. 
Non lo vedemmo mai più.
Ciò che ha sepolto Barricelli nell'oscurità è qualcosa di misterioso. Essere intransigente nelle sue opinioni e non un giocatore di squadra, senza dubbio ha portato all’isolamento di Barricelli dal mainstream accademico. Ma è probabile che Barricelli e l’indomabile von Neumann non andassero più d’accordo.

In un successivo capitolo che Labatut attribuisce alla testimonianza di Barricelli, forse è contenuta la verità sul suo allontanamento da Princeton e dal MANIAC:
“Non sono pazzo. Non sono mai stato pazzo. Non sono folle, anche se molte mi hanno definito così. In tutti questi anni travagliati, questi anni infernali passati a lavorare lontano da tutti, ignorato, vilipeso e invisibile, non ho perso la testa, non ho lasciato che lo sconforto mi conducesse alla follia e mi precipitasse nel delirio. (...) Sono un uomo di scienza. Un sostenitore del potere della verità, un avversario dell'ignoranza e un nemico naturale del nichilismo e dell’incommensurabile abisso della disperazione, perché mi sono votato al futuro. (...) Ma io ho visto qualcosa che mi ha fatto capire che esistono lande selvagge irriducibili alla sola logica, qualcosa che si fa beffe dei venerati principi che gli scienziati hanno tanto a cuore, quel loro cuore debole è pavido - ho visto la vita digitale. Non è in arrivo, è qui. Le creature che ho immaginato si stanno evolvendo più in fretta di quanto potrebbe fare un qualunque sistema biologico. Tanto belle quanto inevitabili. (...) Perciò ho sopportato l’umiliazione di divenire un oggetto di scherno. Uno zimbello. Un esempio negativo, deriso da uomini inferiori sospinti in alto dalle volgari gerarchie del mondo. (...) Ormai è la rabbia a sostenermi (...) Perché è stato a causa della rabbia, del puro rancore cieco che una volta - una volta sola - sono andato vicino a perdere la testa. Ira e sdegno, stizza e odio nei confronti della gazza ladra, di quel demonio sorridente, John von Neumann.

Ha rubato le mie idee! Ha sabotato e usurpato i miei esperimenti, quei numeri scrupolosamente ibridati tra loro che già traboccavano di promesse di vita, e quando non è riuscito a piegarli ai suoi obiettivi li ha distorti e travisati. (...) Usando la sua influenza, ha seppellito la mia ricerca e anche il mio nome, prima negandomi l’accesso al suo calcolatore (il MANIAC, nome quanto mai appropriato), poi evitando deliberatamente qualunque riferimento diretto al mio lavoro in uno dei suoi libri, proprio quello che - per motivi che mi sfuggono - viene considerato da tutti come il compendio definitivo sugli automi e gli organismi digitali. (...) Non ho nemmeno potuto far ricorso: quel bastardo è morto prima di completare il suo libro. (...) Da allora sono rimasto impotente a guardare mentre altri sfruttavano e mietevano un campo che ero stato io il primo a concimare, seminare e far germogliare. (...) Ed è stato allora, quando mi trovavo a un passo dalla scoperta, quando la mia terra promessa cominciava a profilarsi all’orizzonte, che von Neumann ha preso a interessarsi al mio progetto.

All’inizio ne era affascinato quanto me. Arrivava all’istituto nel cuore della notte - l’unico momento in cui mi era concesso lavorare - e mi tempestava di domande molto insistenti. Da quel che sceglieva di chiedere si capiva la qualità del suo pensiero (...) ed ebbi l’opportunità di scrutare dentro la sua testa. Mi chiese se avessi sentito parlare delle macchine di Turing con oracolo. Col tempo sono giunto a considerare quella semplice domanda come un test (...) Turing anelava a qualcosa di diverso [dai calcolatori moderni], una macchina capace di guardare oltre la logica e comportarsi in modo più simile agli esseri umani, che sono dotati non solo di intelligenza, ma anche di intuito. (...)
Nella sua accezione più ampia, un oracolo può essere considerato come una serie di procedure di decisione in grado di superare i limiti di una Macchina di Turing, In pratica, l’accesso all’oracolo renderebbe una macchina ibrida capace di affrontare classi di problemi che nessun sistema algoritmico può risolvere. Un altro campo in cui gli oracoli hanno mostrato una funzione teorica è nella classificazione dei problemi “trattabili” o “intrattabili”, risolvibili cioè in tempo polinomiale o esponenziale in relazione alla dimensione n del problema. Ovviamente, il potere di calcolo di una macchina di Turing con oracolo è conseguenza diretta delle caratteristiche di decidibilità del linguaggio oracolo. Una macchina di Turing con oracolo è tale se, di fronte a un problema computazionale incalcolabile, almeno in certo tempo, in cui è necessaria una scelta (sì o no), tira a indovinare, esattamente come facciamo noi.
“Non dimenticherò mai quel momento. (...) Ero arrivato all’istituto a mezzanotte e stavo scendendo le scale che conducevano al MANIAC, quando (...) mi accorsi subito, con mio estremo sconcerto, che il MANIAC stava lavorando a pieno regime, e che von Neumann stava facendo girare il mio codice. Il mio codice!” (...) Lui mi assecondò è non parve risentirsi per il mio tono, ma quando notai che aveva ottimizzato diverse subroutine e introdotto importanti cambiamenti nei miei successivi cicli computazionali, alterando le mie istruzioni in modi che non riuscivo a comprendere, persi il controllo. Mi sentii a tal punto tradito che lo spinsi via è balzai in avanti per interrompere il processo prima che fosse troppo tardi. (...)

Non riesco a ricordare cosa dissi a quel mostro per allontanarlo dal mio esperimento, ma ricordo con assoluta chiarezza che lui reagì in modo sorprendentemente pacato. (...) Fece orecchie da mercante alle mie lamentele e si limitò ad andarsene senza proferire parola, e senza scusarsi per quel che aveva fatto. Né mai si sarebbe scusato in futuro. Quella fu l’ultima volta in cui ci parlammo, e capii subito che i miei giorni col MANIAC erano contati”.
Insomma, mentre Barricelli voleva ricreare la vita in un ambiente digitale, von Neumann voleva creare l’intelligenza artificiale. In più era molto più potente, e non certo uno stinco di santo.

Barricelli morì a Oslo nel 1993, solo e dimenticato.

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19 Dec 10:18

I pipistrelli: l'effetto Andrea Doria ed altre affascinanti curiosità

by La Gaia Scienza
Abbiamo già parlato in passato di pipistrelli su questo blog, da alcuni luoghi comuni che li riguardano fino ad arrivare al sofisticato sonar del rossetto egiziano. C'è tuttavia ben altro di interessante da sapere su questi affascinanti animali, che potrebbe renderli molto più gradevoli agli occhi di chi spesso li denigra a causa del loro aspetto solo apparentemente minaccioso e, soprattutto, per la pubblicità negativa ereditata dal successo letterario e cinematografico del ben noto conte Vlad.
Partiamo da ciò che meglio si conosce sul loro comportamento: l'ecolocalizzazione. Questo meccanismo, scoperto da Donald Griffin, consiste nell'emissione di ultrasuoni, onde che vengono poi riflesse nell'urto dagli oggetti presenti nell'ambiente in cui i pipistrelli si muovono. A seconda della distanza a cui si trovano gli oggetti, le onde impiegano un lasso di tempo variabile per urtarli e poi tornare indietro ai grandi padiglioni auricolari dei pipistrelli, che fungono da ricevitori e casse di risonanza utili a fornire a questi animali una vera e propria mappa del mondo che li circonda.
Griffin, per i suoi esperimenti, aveva bisogno di studiare un gran numero di pipistrelli e, a tal scopo, collocava una rete molto fine all'ingresso di una loro grotta-dormitorio. Quando i pipistrelli tornavano dalle loro battute di caccia notturne, puntualmente restavano intrappolati nella rete tesa da Griffin, con una facilità poco compatibile col loro raffinatissimo sistema di ecolocalizzazione. 
Donald Griffin
Griffin elaborò una prima ipotesi: forse i pipistrelli, conoscendo ormai benissimo la posizione della loro tana, non avevano più bisogno di ecoscandagliare l'area?
L'ipotesi si rivelò infondata, dal momento che gli studi evidenziarono che i pipistrelli attivavano ugualmente il loro sistema di orientamento. Piuttosto, Griffin scoprì che i pipistrelli erano talmente abituati alla posizione della loro tana, da "non badare più" al loro sistema di orientamento. In parole povere, i pipistrelli hanno un'intelligenza tale da potersi concedere il "lusso della distrazione" :-), proprio come noi. La scoperta di quest'aspetto dei pipistrelli spinse lo stesso Griffin a battezzare questo comportamento con il nome di "effetto Andrea Doria", dal nome del transatlantico italiano che si scontrò con la nave svedese Stockholm, nonostante fosse attivo a bordo uno dei sistemi radar migliori dell'epoca.
I pipistrelli possiedono anche tante altre doti, tra cui uno spiccato altruismo e una raffinata intelligenza. 
Il vampiro Desmodus rotundus
L'altruismo dei pipistrelli è stato documentato non solo nei confronti dei loro parenti più stretti, ma anche verso pipistrelli non strettamente parenti. Ad esempio si è osservato che nella specie del vampiro Desmodus rotundus, gli individui che si sono rimpinzati di sangue hanno l'abitudine di rigurgitarne una parte nella bocca di altri membri della popolazione, indipendentemente dal fatto che siano loro parenti prossimi o meno. In particolare, però, è stato osservato e dimostrato che i membri si riconoscono tutti tra loro e che il rigurgito è mirato - in modo quasi meritocratico - verso gli individui che a loro volta si sono mostrati altruisti. Si tratta quindi di una forma di altruismo reciproco.
I pipistrelli sono anche animali dalla spiccata capacità di apprendimento sociale, ossia sono in grado di apprendere gli uni dagli altri determinate abitudini, anziché farlo "per tentativi ed errori".
Una ricerca condotta sul pipistrello pallido (Antrozous pallidus) ed altre specie che vivono nella sua stessa area ha evidenziato che possono esserci pipistrelli "maestri" ed "apprendisti" nell'individuazione di fonti di cibo. I pipistrelli "maestri" sono quelli già addestrati ad individuare una fonte di cibo, che localizzano emettendo una frequenza particolare di ultrasuoni; i pipistrelli "apprendisti", volando insieme ai "maestri", imparano ad abbinare gli ultrasuoni emessi dai "maestri" con l'individuazione della fonte di cibo, e la catturano con un successo ben più alto dei pipistrelli che non volano con i "maestri", costretti quindi a farlo "per tentativi ed errori".
Sbagliando s'impara, ma resta pur sempre vero che l'unione fa la forza!

Fonte: Mainardi D., Nella mente degli animali. Mondadori, 2007.
04 Oct 15:19

Compiti per martedì

by Marco

In Francia - nonostante la situazione epidemica non esattamente rosea - la scuola è ricominciata da ormai tre settimane. Giulia quest'anno fa la quatrieme, che corrisponde alla terza media italiana (per ragioni che non afferro del tutto, i francesi contano le classi di medie e superiori al contrario, partendo dalla sixième). Tutti in classe con la mascherina sul viso per tutto il tempo, tranne che in mensa e a ginnastica, sperando veramente che le misure di distanziamento e tracciamento permettano ai fanciulli di restare in classe il più a lungo possibile, ché di didattica a distanza ne abbiamo avuta a sufficienza questa primavera anche qui.

Come ormai in buona parte del mondo, anche noi abbiamo diritto al registro elettronico, con tanto di app per telefonino, splendido strumento per organizzare il lavoro e non dimenticare i compiti, ma anche ottimo nutrimento per le ansie tanto dei ragazzi che dei loro genitori "elicottero". Sulla pagina che annuncia i compiti per la settimana, l'insegnante di storia e geografia della sezione internazionale inglese che frequenta Giulia chiede questo semplice lavoro di ricerca per martedì prossimo:

Per martedì, preparare la Rivoluzione d'Ottobre
Per martedì, preparare la Rivoluzione d'Ottobre

Irene si è subito dichiarata entusiasta all'idea: finalmente si studia qualcosa di interessante, altro che Carlo Magno o l'impero Bizantino! Io nutro qualche segreta perplessità sue quelle "2 o 3 righe per ogni personaggio o evento", ma per un attimo mi è parso di aver trovato una soluzione situazionista che mi sembra in tono con il tema rivoluzionario: pensato di farle usare UncyclopediaPer esempio, per il KGB:

KGB was a chain of fast food restaurants that originated in Stalinist Russia and has operated since Stalin ordered the Comrades of Kentuckistan to organize into a collective in 1954. This is not to be confused with the old KGB, a branch of the Russian secret service, standing for Kool Gangsta Bitches.

E vedere (di nascosto) l'effetto che fa...

04 Oct 15:19

I complottisti in mezzo a noi

by fabristol

“Gran Maestro del Male, mi ha chiamato?”

“Vieni pure avanti giovane Occam. Ho letto sui giornali dei nostri nemici che esiste nel mio impero del male un politico che potrebbe detronizzarmi. Chi sarebbe? Chi osa disturbare il mio partito che alle ultime elezioni ha preso il 76%?”

“Un insignificante politico che ha preso appena il 2% e non ha alcun rappresentante al parlamento.”

“Oh, allora bisogna assolutamente ucciderlo.”

“Ma, sire. Non presenta alcun pericolo per il suo trono.”

“Lo voglio uccidere per gioco. Anzi, per mandare un segnale ai miei nemici.”

“Va bene, come vuole Sua Malignità. Una pallottola mentre dorme…”

“No! Deve essere plateale. Pubblico. Usate il veleno più potente che abbiamo.”

“In teoria il Novichok e’ quello più potente ma non ha mai ucciso nessuno. L’ultima volta lo abbiamo messo in un profumo e il doppio agente e sua figlia non sono morti. In più e’ stato creato da noi e viene associato a noi.”

“Perfetto. Usate quello cosi non muore.”

“Maestà, ma non volevate ucciderlo?”

“Si, ma voglio ucciderlo senza ucciderlo cosi i miei nemici avranno un segnale.”

“Ah, e mi raccomando seguitelo passo dopo passo cosi se qualcosa va storto sapremo aggiustare la situazione.”

Due giorni dopo.

“Maestà, il novichok non ha funzionato come da Voi previsto.”

“Bene, dite a chi lo segue di far atterrare l’aereo per emergenza cosi potete salvarlo.”

“Maestà, continuo a non capire il suo piano. Se abbiamo i nostri agenti in quell’aereo perché lo facciamo atterrare per salvarlo?”

“Devo ripetere? Voglio ucciderlo ma non ucciderlo cosi i miei nemici penseranno che ho fatto un complotto e un controcomplotto.”

“Geniale maestà!”

“Ora e’ all’ospedale, che facciamo? Chiudiamo il tubo a cui e’ attaccato per 1 minuto e poi nascondiamo le prove?”

“Nah, speditelo dai nostri nemici cosi lo possono curare.”

“Ma poi vedranno le tracce del novichok e ci accuseranno e ci metteranno sanzioni e bloccheranno il più grande progetto di esportazioni di gas del nostro paese a cui stiamo lavorando da decenni!”

“Esatto. Tutto quello che hai detto avverrà. Cosi i nostri nemici vedranno complotto, controcomplotto e controcontrocomplotto e accuseranno chi negherà di essere un complottista.”

“Geniale!”

***

Ora, chiunque che non sia stato intaccato da un verme nel cervello penserebbe che questa spiegazione del presunto assassinio di Navalny sia non dico solo ridicola ma IMPOSSIBILE. Eppure, chi critica questa versione nevrotica e complottista viene considerato complottista egli stesso.

Pensiamo sempre che la mentalità del complottismo sia relegata a temi come il terrapiattismo, che non siamo mai andati sulla luna, i danni dal 5G ecc. e invece i complottisti sono tra noi, sono il vostro vicino, il vostro professore, il vostro sindaco, il vostro macellaio. I governi sanno che basta individuare un nemico e la gente crederà a qualsiasi cosa pur di confermare i propri pregiudizi.

A voi la conclusione.

13 Apr 19:59

La nascita dell’Astrofisica in Italia

by Sabrina Masiero

di Luciana Ziino, Fondazione GAL Hassin I pionieri dell’astrofisica erano italiani Oggi vi raccontiamo una storia, una storia che segna la nascita dell’astrofisica e che ha per protagonisti una serie di uomini che con coraggio, dedizione e profonda passione dedicarono tutta la loro vita a questa nuova disciplina. Fino all’inizio … Continua a leggere ... →

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07 Apr 16:45

La sfida di APRILE del Matecalendario 2020! Pentamini pasquali!

by Cristina Sperlari
Ed eccoci alla sfida di aprile del Matecalendario 2020! Tutta dedicata al periodo pasquale!

Questa sfida propone un nuovo e divertente gioco che fa uso dei nostri tanto amati PENTAMINI!

Siete capaci di riempire con i 12 pentamini la figura riportata (cioè un simpatico pulcino pasquale)?
Provate! Ci sarà da divertirsi!


In questo video vi spiego le istruzioni per giocare (anche per chi non avesse a disposizione la copia cartacea del Matecalendario o la stampante), vi do qualche piccolo suggerimento per iniziare e, alla fine, vi svelo la soluzione!


Buon divertimento con il gioco di aprile e...ci vediamo alla sfida di maggio! ...con un grande ritorno!
07 Apr 16:43

La più grande concentrazione di potere mai vista nella storia moderna

by fabristol

Distratti, troppo distratti dall’emergenza pandemia la situazione democratica nei paesi occidentali è passata in secondo piano. Eppure ogni giorno è sotto gli occhi di tutti quello che sta succedendo: i governi si sono dati poteri eccezionali, spesso anticostituzionali, spesso senza consultare i parlamenti e hanno di fatto sospeso tutti i diritti fondamentali dei cittadini nonché le regole fondamentali su cui si fondano le democrazia moderne.

Nel caso italiano dobbiamo tornare indietro di molti secoli per vedere una concentrazione tale di poteri in una persona sola. Parliamo della storia preunitaria, prima che lo Statuto Albertino fosse promulgato. Insomma di monarchia. Infatti, neppure durante il Fascismo il potere si era concentrato cosi tanto come in questi mesi con il governo Conte. Mussolini si consultava con il Gran Consiglio, i gerarchi del Partito Fascista e il Re. Giuseppe Conte ha sospeso con una serie di decreti tutti i diritti fondamentali dei cittadini garantiti dalla costituzione senza consultare Parlamento e spesso neppure il Consiglio dei Ministri. Di fatto creando uno stato di polizia permanente con imposizione di misure draconiane, poteri illimitati a forze di polizia e equiparazione dell’esercito alle forze di polizia.

Tutto quello che abbiamo criticato dei paesi autoritari come Cina, Russia e Iran è stato adottato in poche settimane. La situazione istituzionale è preoccupante perché è peggiore rispetto a quello che succede appunto in Cina e Russia dove invece un minimo di bilanciamento dei poteri è esistito. Putin, per dire, ha dovuto parlare di fronte alla Duma.

“Ma si tratta di un’emergenza, sarà solo temporaneo.” Sento dire. E invece il problema è che anche quando questa pandemia sarà finita molte di queste misure rimarranno. Cosi come molte leggi, istituzioni e prassi del fascismo sono rimaste dopo la guerra, cosi come molte leggi anti-terrorismo sono rimaste dopo gli anni di piombo, cosi come il Patriot Act è rimasto dopo l’11 Settembre 2011 cosi molte di queste regole e disposizioni rimarranno nel Dna del paese. Alcune come legge, altre come disposizioni locali, altre come format latenti da tirare fuori quando un governo avrà bisogno di poteri speciali. Nessuno potrà dire nulla quando il prossimo governo Lega-FDI vorrà chiudere i confini o sospendere Schengen o usare i militari per la prossima emergenza migranti. O per una ipotetica Italexit.

07 Apr 15:46

Il cammino della vita

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Tratto dal nº 52 del 24 dicembre 1967 del Corriere dei Piccoli.





07 Apr 15:29

Il Gattopardo: il Principe Astronomo

by Sabrina Masiero

di Luciana Ziino  “Vedi: tu, Bendicò, sei un po’ come loro, come le stelle: felicemente incomprensibile, incapace di produrre angoscia.” Così Don Fabrizio, il principe di Salina, descrive le stelle, rivolgendosi al suo cane pasticcione, l’alano Bendicò: l’osservazione del cielo ha sul protagonista del Gattopardo il potere di estraniarlo dalle … Continua a leggere ... →

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28 Jan 13:43

Deir Ezzor

by fabristol

Quando le truppe siriane sono entrate ad Aleppo Est la prima cosa che i soldati hanno scritto sui social network è stata: “La città è vuota. Dove sono le centinaia di abitanti intrappolati?” Impossibile stimare il preciso numero degli abitanti di Aleppo Est ma dopo la sua liberazione pare che fossero tra i 40000 e i 50000, e questo numero includeva pure i militanti jihadisti stranieri provenienti da mezzo mondo. L’intera macchina propagandistica occidentale si era messa in moto per mesi e mesi, usando informazioni false e ricostruite, per lo più prese dallo Syrian Observatory for Human Rights, una “agenzia” di stampa capitanata da un proprietario di una bottega di Coventry, in UK. La BBC prende il 99% delle notizie da un uomo che vive in Inghilterra e che ha “contatti sul terreno” e che come lavoro full time ha un negozio a Coventry. Che giornalismo! Pagato dai contribuenti ovviamente. Tutto quello che i media mainstream vi dicono è premeditatamente edulcorato, cambiato e filtrato e molto più spesso di quanto pensiate inventato di sana pianta. La guerra siriana è il più grande scam dell’epoca moderna, la madre di tutte le fake news. Ogni volta che leggo notizie sui media occidentali e poi le confronto con quelle delle mie fonti locali rimango shockato dall’approssimazione, partigianeria e malignità di quello che viene riportato.

Ora prendete come esempio quello che sta succedendo in questo momento in Siria: una città assediata da 30 mesi dall’ISIS in mezzo al deserto siriano con al suo interno 120000 persone è stata attaccata nelle ultime ore da migliaia di jihadisti che hanno conquistato buona parte dei quartieri vicino all’aeroporto (l’unico modo per civili e militari di ricevere beni di prima necessità). Questa città che per anni ha eroicamente resistito contro un’orda di barbari sta per essere conquistata e i suoi abitanti sterminati. Questa città si chiama Deir Ezzor. Nessuno ne parla, nessun hashtag #savedeirezzor, nessuna crisi umanitaria, nessun ONU che chiede l’intervento della coalizione. Niente, silenzio più totale. Queste persone, civili assediati da anni non meritano alcuna attenzione. Tanto più che questo attacco è risultato letale grazie anche al bombardamento di alcuni mesi fa in cui i caccia americani hanno ucciso quasi 100 soldati siriani e ha permesso all’ISIS di conquistare una collina strategica che si affaccia sull’aeroporto. Ne parlai qui. E guarda caso avviene proprio dopo che il governo siriano stava avanzando verso Al Bab per evitare che la Turchia la conquistasse. I casi della vita. Infatti fa tutto parte di un piano per niente segreto degli USA per cui la parte nord-orientale della Siria deve essere ripulita da elementi siriani/sciiti. E Deir Ezzor è proprio lì a rompere i piani, un puntino rosso circondato dal nero dell’ISIS. Un brufolo di 120mila anime che deve essere eliminato. Con il silenzio complice dei media del mondo.

 


01 Dec 16:15

11/30/16 PHD comic: 'Academic Apps'

Piled Higher & Deeper by Jorge Cham
www.phdcomics.com
Click on the title below to read the comic
title: "Academic Apps" - originally published 11/30/2016

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01 Dec 16:02

I bambini che non esistono

by fabristol

cxtchonxcaaiiozHo volutamente aspettato qualche giorno ma niente. Nessuna copertina di giornale, nessuna manifestazione di protesta, nessun commento dall’ONU. La BBC ha perfino edulcorato last-minute un articolo mettendo la notizia in un angolo (vedi screenshot qui sotto). Stile propaganda sovietica, quando i giornalisti dovevano avere i propri articoli approvati da un commissario di partito. La propaganda occidentale moderna è subdola, ed è ben peggiore di quella comunista o nazifascista: almeno questi ultimi le notizie le riportavano distorte oppure aumentavano i numeri di morti e feriti a seconda della convenienza. I media occidentali moderni invece ignorano le vittime e le stragi che non fanno parte della loro linea ideologica. Se non sei su Google, si dice, non esisti. Se una strage non è sulle agenzie occidentali non esiste o se esiste è propaganda del nemico quindi falsa.cxvo16_w8aanc2v-jpg-large

Tutto questo per dirvi che i famosi “ribelli moderati” pagati dagli USA hanno bombardato una scuola di Aleppo Ovest, quella ancora sotto il governo siriano. Otto bambini sono morti e 32 sono feriti. Queste immagini qui sopra sono raccapriccianti ma è giusto che le vediate, almeno da questo piccolo blog, visto che per le agenzie giornalistiche questi bambini neanche esistono.

Bonus: ogni tanto sui canali governativi spuntano fuori le prove delle immagini “fake” distribuite dai White Helmets (i volontari pagati dall’occidente per aiutare le popolazioni civili nelle zone dei ribelli) ai media occidentali. Ce ne sono veramente tante (gente che si trucca con polvere bianca e sangue finto, morti che in alcuni scatti aprono gli occhi o sorridono) ma questa la supera tutte. In pratica qualcuno dei ribelli ha uploadato il video per sbaglio senza tagliare la parte iniziale. Ma il web non perdona e non si può più tornare indietro una volta che hai schiacciato il bottone invio. Queste sono le fonti ufficiali da cui i media occidentali abboccano ogni giorno. Buona visione!

 


01 Dec 16:00

Pubblicare da morti [Pillole]

by Maurizio Codogno

Solo Paul Erdős può farlo, mi sa.

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24 Apr 22:30

Gli orologi di Fourier — 1. Homer Simpson destrutturato

by zar


“Guarda che bello!”.

“Ma cos'è?”.

“Un orologio…”.

“…con le lancette che vanno al contrario”.

“Eh, vabbé, è un orologio matematico. L'importante è che abbia almeno due lancette che si muovono a velocità diversa”.

“Almeno? Quante lancette vuoi?”.

“Un numero qualsiasi, basta che ruotino a velocità diverse”.

“Un orologio complicato”.

“Oh, sì, e lo complichiamo ulteriormente. Immagina di sommare, in un certo senso, le lancette”.

“E come si fa?”.

“Come se tu dovessi sommare dei vettori. In realtà quelle che tu chiami lancette dell'orologio sono vettori rotanti”.

“Ah. E come li sommo? Con la regola del parallelogramma?”.

“Quello è un modo, altrimenti potresti sommarli mettendoli in sequenza, la coda del secondo vettore parte dalla punta del primo. Quello che i fisici chiamano metodo punta-coda”.

“Vediamo: se li sommo con la regola del parallelogramma, otterrei una figura del genere”.



“Molto bene”.

“Non saprei come fare una figura in movimento col metodo punta coda, però”.

“Ecco qua:”.



“Ahh, ma è bellissimo! Epiciclo e deferente, vero?”.

“Esatto”.

“E adesso?”.

“E adesso sporchiamo un po' la figura: vediamo che traccia lascia la somma delle due lancette”.



“Molto bella”.

“E immagina i disegni che si possono fare con tre lancette, o quattro, o molte di più”.

“Chissà che complicazioni”.

“Guarda qua:”.



“!”.

“Bello, eh?”.

“Meraviglioso, ma come hanno fatto?”.

“Con una tecnica scoperta da Fourier”.

“E come funziona? Non saranno andati per tentativi, no?”.

“Eh, no, hanno preso l'immagine che volevano ottenere e hanno fatto andare le lancette al contrario”.
24 Apr 22:29

PI GRECO: FORMULA DI STIRLING E TORTE NUZIALI

by Leonardo Petrillo
Come ogni anno, si avvicina il giorno in cui si festeggia la famosa costante matematica pi greco, ovvero il pi day (14 marzo).
Per celebrare questo magico numero in questo post parleremo di un'importante formula in cui fa capolino pi greco.
Iniziamo la sua presentazione riportando un interessante passo da "Le grandi domande, Matematica" di Tony Crilly:

"L'onnipresenza dei computer nella vita moderna ha fatto sì che occorra un gran numero di formule nell'ambito della «combinatoria», la branca della matematica che calcola le possibili combinazioni di oggetti. Tre oggetti, diciamo a, b e c, danno luogo a 3 × 2 × 1 = 6 «permutazioni» (abc, acb, bac, bca, cab, cba) e fin qui non serve una formula. Ma se, ad esempio, stessimo considerando dieci oggetti, il numero di possibili permutazioni salirebbe a 3.628.800, e a un valore formidabile di 9,33 × 10¹⁵⁷ oggetti. Adesso chiaramente una formula ci risparmierebbe molta fatica. Ed è qui che viene in nostro aiuto la «formula di Stirling», così chiamata dal nome del matematico scozzese James Stirling. Che nella formula compaiano anche la costante π e la costante di eulero e è una sorpresa. La presenza di π, che in genere ha a che fare con le circonferenze, e di e, che ha a che fare con la crescita, ci ricorda i nessi sorprendenti che ci offre la matematica, a maggior ragione considerando che il problema originario riguarda solo la moltiplicazione di numeri interi. Eppure la formula è notevole anche per la bontà della sua approssimazione al valore effettivo: nel caso di 100 oggetti se ne discosta appena dello 0,083%."

Dunque, tirando le fila del discorso incominciato da Crilly, la formula di Stirling (detta anche approssimazione di Stirling o formula approssimata di Stirling o formula di Moivre-Stirling, giacché fu il francese de Moivre il primo a stabilirla, anche se con una costante diversa) fornisce la valutazione approssimata del fattoriale di un numero n › 0.

Continua a leggere...»
24 Apr 22:22

La storia degli avvistamenti di volti umani ed oggetti sulla superficie di Marte

by verascienza

Succede a volte in Rete di trovare siti più o meno seri o testate giornalistiche che alla continua ricerca di click propongono, ai loro lettori, storie di strani avvistamenti avvenuti sul noto pianeta rosso. Tra le varie foto pubblicate, ci si può imbattere in quelli che a prima vista sembrano davvero oggetti e costruzioni più varie che viene facile associare per istinto ad antiche civiltà o che suscitano in molti fantasie sugli alieni.

Marte – immagine ripresa dalla sonda Viking 1 e pubblicata dalla NASA il 31 Giugno del 1976

Ovviamenti alla NASA non sono cattivoni e non c’è nessun complotto in atto per nascondere le prove dell’esistenza di antiche civiltà su Marte. Purtroppo è tutto frutto del nostro cervello, l’organo più importante che abbiamo e grazie a cui siamo quelli che siamo, non è infallibile. Perchè dunque molti sono portati a vedere cose strane su Marte? Un ruolo essenziale lo gioca la pareidolia, ovvero la tendenza a ricondurre a oggetti a noi noti quelle che in verità sono forme casuali. Quando osserviamo una qualsiasi cosa, la nostra mente tende a ricercare nell’archivio dell’esperienza pregressa un qualche cosa che già conosce e da associare a ciò che stiamo guardando. Questo processo di identificazione e categorizzazione degli oggetti, fa parte del nostro sistema di apprendimento e della nostra natura.

Marte – la stessa foto ripresa negli anni recenti dal Mars Reconnaissance Orbiter con la telecamera HIRISE

Questa immagine, nota come “Faccia su Marte” o Volto di Cydonia dimostra con quale facilità può essere ingannato il nostro cervello. Un altro esempio recente è il seguente, quella che sembra una sorta di “scultura” calpestata dal rover Curiosity della NASA.

La verità è che vediamo e cerchiamo di vedere volti ovunque, per ora gli unici alieni che abbiamo trovato su Marte sono quelli costruiti nella nostra testa. Seguono esempi vari di paraidolia

Una faccia dove meno te l’aspetti

Un uccellino o una chiesa?

 Una temibile scopa aliena

L'articolo La storia degli avvistamenti di volti umani ed oggetti sulla superficie di Marte proviene da Verascienza.

24 Apr 22:20

Macchine che imparano #1: autori e autrici

by Paolo Alessandrini
Qualche anno fa frequentai un corso di scrittura creativa. Ad ogni appuntamento il docente, che tra l'altro era uno scrittore e poeta piuttosto noto, ci assegnava, come compito per la lezione successiva, la stesura di un racconto su un tema fissato.
Una volta uno di noi gli domandò se fosse in grado di capire, leggendo un racconto anonimo, di determinare il genere dell'autore (cioè se fosse uomo o donna). Il docente rispose che sì, con un po' di esercizio e di intuito si riesce abbastanza facilmente. Non fummo abbastanza cattivi da metterlo alla prova con alcuni nostri racconti privati dell'indicazione dell'autore.
 Ora, un compito di questo tipo sembra richiedere una tale dose di intuizione e di sensibilità, doti squisitamente umane, che difficilmente potremmo pensare di affidarlo a una macchina.
Eppure qualcuno ci ha pensato, e in rete si trova persino una pagina in cui potete verificare l'abilità del computer in questo difficile esercizio.

L'identificazione del genere dell'autore di un testo è infatti uno degli innumerevoli campi in cui sono state applicate le tecniche di apprendimento automatico (in inglese "machine learning").

A partire da questo post comincerò a esplorare questo vastissimo ambito dell'intelligenza artificiale di cui oggi si sente parlare sempre di più e sul quale università e aziende stanno investendo in misura sempre maggiore.

L'idea alla base dell'apprendimento automatico è molto semplice: affinché un computer riesca a risolvere un tipo di problema particolarmente difficile, come quello descritto sopra, la strategia migliore è la stessa che gli insegnanti utilizzano spesso con i propri studenti: mostrare alcuni esercizi svolti, e poi verificare se gli alunni sono in grado di risolvere da soli altri problemi dello stesso tipo.

Nel panorama odierno dell'intelligenza artificiale il machine learning è la tendenza di gran lunga dominante. Sono da un bel po' considerati old-style gli approcci utilizzati da metodologie come i sistemi di produzione o i sistemi esperti: programmi la cui ambizione era possedere fin dall'inizio l'intera base di conoscenza relativa a un dato argomento, ed essere così capaci di risolvere ogni problema di un certo tipo in maniera diretta, sulla base di deduzioni logiche.
La debolezza dei sistemi esperti era la loro incapacità di imparare dall'esperienza.
Negli anni Settanta e Ottanta, per esempio, si realizzarono sistemi esperti il cui compito era effettuare diagnosi di malattie in funzione dei sintomi segnalati dai pazienti. Anche ammettendo di poter introdurre in un simile sistema tutte le conoscenze dei migliori luminari del pianeta, il programma, una volta confezionato, poteva iniziare a formulare diagnosi, magari anche azzeccate, ma era destinato a restare un medico artificiale sempre uguale a se stesso: in altre parole, non era in grado di imparare dalla propria esperienza, cioè dai propri successi e dai propri errori.

Tratto da http://eecs.wsu.edu/~cook/ml
Una persona, prima di iniziare a lavorare, deve andare a scuola per un po' di anni: analogamente, un algorimo di apprendimento automatico, prima di cominciare a emettere le sue risposte, deve essere addestrato, cioè deve analizzare un grande numero di problemi dello stesso tipo, ciascuno completo di soluzione preconfezionata. Il programma, sulla base di questi esempi, impara, cioè costruisce e via via perfeziona un proprio "modello" interno del problema, che viene poi adoperato quando sarà il momento di lavorare davvero senza conoscere in anticipo la risposta.

Questo approccio si è rivelato ottimale per un insieme innumerevole di problemi, soprattutto quelli molto complessi per i quali non esiste una formula esatta per determinare a colpo sicuro le risposte e le predizioni desiderate.
In altre parole, a causa della complessità di questi problemi, non possiamo più ambire alla perfezione assoluta, ma dobbiamo anzi accettare una percentuale di errore (comunque limitata).
Le tecniche di un tempo, fondate su schemi rigidi di deduzione, cercherebbero di risolvere questi problemi in modo esatto, ma impiegherebbero tempi biblici prima di produrre qualcosa, il che francamente non è quello che desideriamo.

Uno dei modi per superare questa empasse è il machine learning. Un altro filone algoritmico di cui ho già parlato in passato (ad esempio qui e qui), è costituito dai metodi euristici: anche questi, seppure attraverso un percorso un po' diverso, soddisfano il bisogno di meccanismi meno rigidi, che accettano l'approssimazione e che si avvicinano alla soluzione del problema attraverso una ricerca graduale.
I due mondi, apprendimento automatico e tecniche euristiche, non sono tra di loro separati in modo netto, ma si intersecano reciprocamente in molti casi.

La necessità di ricorrere a metodologie "soft", non rigide ma basate su paradigmi "moderni" (euristici, evolutivi, di apprendimento, e così via) è resa ancora più stringente dal fatto che i dati da elaborare arrivano spesso in quantità molto grandi, a grande velocità, e con formati molto eterogenei (i famosi "big data").
Da queste confuse e furiose basi di conoscenza si vorrebbe poter estrarre informazioni pregiate, che purtroppo se ne stanno solitamente ben nascoste come minuscoli aghi d'oro nello sterminato pagliaio informativo. Le numerose tecniche basate sull'idea dell'apprendimento automatico escono spesso vincitrici in questo genere di sfida, a condizione che i dati vengano inizialmente "puliti" e resi omogenei, che venga scelto l'algoritmo più appropriato per il problema da risolvere, e che il programma sia ben addestrato nella fase iniziale.

L'esempio con cui ho aperto questo post è emblematico. Per poter sviluppare un programma capace di riconoscere se un racconto è stato scritto da uno scrittore o da una scrittrice, possiamo certamente pensare ad un approccio di tipo "machine learning". Certo, occorre prendere oculatamente alcune decisioni importanti, per esempio scegliere  un algoritmo di apprendimento che si presti a questo ingrato compito. Nella prossima puntata di questa serie entreremo nel merito matematico di una di queste tecniche di apprendimento, e vedremo di applicarla al problema dell'identificazione del genere dell'autore. 
24 Apr 22:19

Il premio Abel 2016 a sir Andrew Wiles

by Maurizio Codogno

Il suo contributo non sarà forse stato "profondo", ma sicuramente ha avuto un'enorme influenza.

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16 Feb 00:03

Storie di ordinaria malasanità, Milano, Lombardia, Italia

by wolly

Sui giornali, da anni, viene magnificato il SSN lombardo, viene preso come riferimento, dicono sia uno dei migliori, se non il migliore in Italia.

Per mia fortuna, fino a pochi mesi fa, non ne ho avuto bisogno, però ero felice di sapere che, se ne avessi avuto bisogno, era tra i migliori.

Purtroppo, da dicembre, causa diagnosi di una malattia, seria, sono costretto ad averci a che fare.

In questo post, non vi racconterò dei mesi di attesa per ottenere un appuntamento, non vi racconterò, nemmeno, di quanto ho pagato di ticket, e non vi racconterò che gli appuntamenti alle 15 e 30, come minimo significano 16 e 30 ma devi essere li, per l’accettazione alle 15, no non vi racconterò di queste cose, le conoscete già.

Cosa vi vado a raccontare, allora, di nuovo e che non conoscete?

Seguitemi, vi farò ridere molto, anche se la cosa, in se, è tragica.

Partiamo dal presupposto che io sono malato e ho alcune complicazioni, non simpaticissime e il 16 di gennaio telefono al CUP, 800.638.638, e prenoto un esame.

Ogni volta che prenoto un esame, mi chiedono se voglio essere avvisato 3 giorni prima per email, io rispondo, si e poi mi chiedono se voglio ricevere anche un SMS, e io rispondo, si.

Ho fatto molti esami e NON ho mai ricevuto una mail o un SMS tre giorni prima, anzi, proprio mai.

L’ultima volta lo faccio presente e mi dicono strano, insisto, e mi rispondono che non è colpa loro, perché devono mandarli gli enti eroganti il servizio, vabbè, ho iCal che svolge egregiamente il suo servizio.

Ad onor del vero, ricevo sempre le mail di conferma della prenotazione.

Ho divagato, scusatemi, ma faceva ridere, anche questa cosa.

Stamane, ore 7 e 30, mi presento, prendo il numerino, mi chiamano e, rullo di tamburi.

Come è possibile che abbia prenotato la visita presso di noi?

Sono 2 mesi che il medico è andato in pensione e la dottoressa non ci sarà per lungo tempo.

A me lo chiedete?

No, è per dire.

Abbiamo provato a contattarla, ma il numero era sbagliato.

Guardi il numero l’ha scritto una sua collega, copiandolo dal display e comunque la mail era giusta, visto che il CUP mi manda le mail di conferma.

Silenzio.

Se vuole le prendo un appuntamento il 26, dall’altra parte del mondo.

La mia religione non mi permette il linguaggio scurrile e quindi il fanculo è rimasto, solo, nella mia testa.

Mentre scendevo le scale, incazzato nero, incontro una che, sorridente, mi dice: l’hanno fatta arrabbiare, eh?

Io le rispondo, si, mi hanno dato appuntamento e il medico non c’è più.

Da come ha cambiato l’espressione della faccia, posso solo pensare che fosse la dirigente.

Ora, potete pensare quello che volete, che si può sbagliare che può succedere, ma non si manca di rispetto a persone malate, gli strumenti per avvisarmi c’erano, è chiaro che qualcuno si è dimenticato di comunicare che non c’erano più medici per quel tipo di visita, ed è chiaro che solo all’interno di quella struttura potevano saperlo, però quello che fa incazzare è la mancanza di volontà, il malfunzionamento di un servizio informatico, che abbiamo strapagato, l’incapacità di inviare una mail.

Fanculo, stronzi!

 

Tags: cup, italia, lombardia, malasanità, milano, prenotazione, servizio sanitario regionale, ssn, ssn lombardia

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15 Feb 23:59

Black Hole Moon

by xkcd

Black Hole Moon

What would happen if the Moon were replaced with an equivalently-massed black hole? If it's possible, what would a lunar ("holar"?) eclipse look like?

—Matt

"Not much" and "not much."

A black hole the mass of the Moon would have an event horizon about the size of a sand grain. Specifically, according to one of my favorite charts, a black hole moon would be a grain of fine to medium-fine sand, and could pass through a sieve of size ASTM No. 70 or larger. I mean, I guess a black hole with the mass of the Moon would pass right through any sieve, destroying it in the process, but that's neither here nor there.[1]The expression "that's neither here nor there" can be kind of confusing and ambiguous, but I guess that's neither here nor there.

Since the Moon's mass and position wouldn't change, the tides on Earth wouldn't change, either. When you're floating outside a spherical mass, its pull on you is the same regardless of whether the mass is concentrated at the center of the sphere or spread out throughout it. If the Sun were replaced by a black hole of the same mass, the Earth's orbit wouldn't change, although life on Earth might.

With the Moon gathered into a point, there'd be no moonlight, which would affect the life cycles of all kinds of nocturnal animals. But compared to a lot of the other things we've done, that would be fairly minor. The Earth's orbit is stabilized by the Moon, but the lunar-mass black hole would probably serve the same role.

This black hole Moon would be pretty low-profile. If it were much smaller, it would evaporate through Hawking radiation, but a black hole the size of the Moon actually absorbs more energy from the cosmic background radiation than it emits through the Hawking mechanism. Our black hole would really be black.

At least, if it didn't eat anything. If the black hole devoured any objects, it would let off a tremendous blast of radiation. Black holes burn brightly as they devour things; the whirlpool of matter heats up as it falls inward, causing it to glow brightly.[2]A black hole can't devour matter too fast, though, because at some point it would be producing so much radiation that it would blast its own "food" away. This is called the Eddington limit.
If our black hole were devouring matter at the Eddington limit, it would be hot enough to sterilize the Earth.

Fortunately, there's not a lot out there for it to eat, so it wouldn't glow very brightly for now. It would spend most of its time drastically altering the orbits of nearby dust particles—one sand grain pushing other sand grains around.[3]Even if it sucked in matter at the rate the Earth—with its much larger "collecting area"—sucks in interplanetary dust, it wouldn't necessarily be a problem for us.

But there would be one interesting effect: In addition to getting darker, Earth would get colder, because moonlight warms the Earth. It's a very tiny contributor to our global energy balance; the Moon is five or six orders of magnitude dimmer than the Sun. But it's there.

Measurements show that global temperature varies with a 28-day cycle; all else being equal, the Earth is hottest during the full moon. It's a tiny difference—small fractions of a degree—but it's there.

But it turns out most of this effect is not due to moonlight. The largest contributor is the fact that the Earth is slightly closer to the Sun during a full Moon:

Calculating the amount of energy radiated back to Earth by the Moon is deceptively tricky. The Moon reflects sunlight, but with some surprising twists. When the Moon is half-illuminated, you might think it would be half as bright as when full—but it's much less bright than that. And once you account for that, there are even trickier effects to deal with, because science is the worst.[4]Like the fact that the waxing Moon is 20% brighter than the waning Moon, or that the Moon is a mild retroreflector. Then, on top of all the weird visible-light effects, the Moon also heats up under the Sun, then radiates that heat as infrared light.

There's a great discussion of the Moon's effect on the Earth's energy budget in this article by Robert Knox. The upshot is that the Moon's infrared heat radiation turns out to affect Earth's temperature about 10 times more than the visible moonlight, but still about 10 times less than the effect from gravity moving Earth closer and farther from the Sun. Knox even quantifies the effect this has on Earth's radiation balance—the presence of infrared moonlight warms the planet by 1.2 milli-degrees Fahrenheit (m°F).

Without moonlight, the planet would cool down slightly. But given the accelerating rate at which we're adding CO2 to the atmosphere—which changes the Earth's energy balance—we'd make up the difference in a couple of weeks.

So all in all, the conversion of the Moon to a black hole might not even be that big of a deal.

Unless, of course, it happened on certain days between 1969 and 1972, in which case Nixon would've needed yet another one of those speeches.

15 Feb 23:56

Pippo Galileo

by noreply@blogger.com (Gianluigi Filippelli)
Copertina dell'edizione inglese di Pippo Galileo di Carl Fallberg e Hector Adolfo de Urtiága. Di quest'ultimo e della serie Goofy as a famous hystoric persons avevo scritto all'interno del paralipomeno di Alice dedicato a Escher.
Ora, invece, eccovi due parole sullo scienziato che ha ispirato la storia, estratte da un ritratto che avevo scritto nel 2009:
Galileo Galilei nasce a Pisa i 15 febbraio del 1564, dove iniziò i suoi studi in medicina nel 1581: dopo 4 anni, però, abbandono Pisa e la medicina, verso la quale era stato orientato dal padre, per andare a Firenze e riprendere attivamente le sue passioni verso la meccanica e l'idraulica. Tra i suoi esperimenti più importanti sicuramente quelli con il pendolo, il piano inclinato, il compasso proporzionale (che vendeva, con successo, ai suoi studenti), il micrometro e un primo tentativo di misurare la velocità della luce. Lo scienziato pisano, infatti, aveva intuito che la luce non poteva avere una velocità finita. Ha insegnato matematica a Padova, periodo durante il quale ha avuto i primi problemi con la Chiesa (anche se, come vedremo, saranno insabbiati), occupandosi anche di oroscopi, pur se non con lo stesso interesse rispetto a molti suoi illustri colleghi (Cardano, Newton, e altri). La sua opinione degli astrologi era decisamente molto bassa e ciò gli procurò problemi anche con la comunità italiana e internazionale dei divinatori del futuro.
Le sue opere più importanti: Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano (pdf), dove difende il sistema copernicano, parlando delle prove sperimentali a suffragio di questo modello; Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (pdf), dove pone le basi per la meccanica classica, utilizzando la matematica e gli esperimenti; Il Saggiatore (pdf), dove pone le basi per il metodo scientifico; il Sidereus Nuncius (pdf), dove raccoglie tutte le sue osservazioni astronomiche.
Per approfondire: it.wiki, oppure il portale del Museo Galileo di Firenze
22 Jan 13:03

I martiri di Cordova

by Marco Fulvio Barozzi

Uno dei più singolari episodi di fanatismo religioso nella lunga storia dei rapporti tra cristiani e musulmani avvenne nella Spagna occupata dagli Arabi, per un decennio a partire dall'850. La vicenda, nota come "i martiri di Cordova", è riportata da varie fonti coeve, tra le quali la cronaca redatta da Eulogio, uno dei protagonisti. 

Tutto ebbe inizio quando il monaco Perfectus venne fatto oggetto di scherno da parte di alcuni musulmani mentre si trovava al mercato. Interrogato sulla divinità del Profeta, cercò di tergiversare, poi, incalzato dal gruppo, citò l'ammonimento evangelico contro i falsi profeti, infine proruppe in parole ingiuriose contro i suoi persecutori. L'offesa a Maometto comportava (e comporta tuttora, ahimé, secondo i più osservanti) la pena di morte, ma, consci di averlo provocato, i musulmani lo lasciarono andare indisturbato. In fondo, la legge coranica impone il rispetto della vita dei dhimmi, i cristiani e gli ebrei non convertiti, che devono tuttavia versare un contributo periodico e non possono testimoniare pubblicamente la loro fede (per i "popoli del Libro" non è prevista dal Corano l'alternativa tra conversione o morte). La vicenda si sarebbe conclusa senza danni se Perfectus non avesse deciso di tornare di proposito al mercato. Questa volta, circondato dalla folla che lo accusava di aver offeso il Profeta, fu condotto in carcere, dove "incominciò ad attaccare tutta la loro religione". Alla fine fu condannato e suppliziato in pubblico durante la festa per la fine del Ramadan. 


Il secondo episodio avvenne ancora al mercato e vide protagonista Giovanni, un mercante cristiano che aveva l'abitudine di giurare in nome del Profeta sulla qualità della sua merce. Le beghe commerciali, come ci ha insegnato la storia, possono rivestirsi di una veste (o sovrastruttura) religiosa, e il vezzo di Giovanni gli attirò l'ostilità dei mercanti musulmani suoi concorrenti, che lo accusarono di farsi credere musulmano pur essendo cristiano o, peggio ancora, di essere un rinnegato (circostanza che, se provata, comportava la pena capitale). Il giudice lo condannò a 400 frustate, a meno che il poveretto si fosse dichiarato musulmano, cosa che Giovanni si rifiutò di fare, accettando la dura pena che equivaleva alla morte. 

Questi due primi casi diedero inizio a una corsa di molti cristiani alla ricerca del martirio: una vicenda in cui si mescolarono fede autentica, vicende personali, fanatismo, l'esempio e la propaganda, attraverso veri e propri scritti apologetici che circolavano segretamente tra i cristiani di Cordova. Non mancarono motivi più generalmente “politici”, in quanto l’insofferenza delle comunità cristiane verso la dominazione araba, iniziata da poco più di un secolo, era viva e, in alcuni casi, per nulla rassegnata all’accettazione di essere servi in una terra dove si era stati i dominatori. 


Il salto di qualità si ebbe con il terzo nostro protagonista, un certo Isacco. Di famiglia agiata e colta, egli occupava un'importante carica amministrativa nel governo della città. All'improvviso lasciò tutto e si fece monaco in un romito monastero sui monti, di cui era abate il fratello della zia. Non avendo ancora raggiunto la pace interiore, dopo un po' di tempo sentì l'ispirazione di tornare in città in cerca di guai. Si presentò così al Cadì, con la scusa di voler ricevere un'educazione musulmana. Il giudice acconsentì, esponendo giudiziosamente la sua dottrina. Una volta che ebbe finito di parlare, Isacco lo accusò di essere un bugiardo e lo invitò a convertirsi al cristianesimo. Il Cadì, in un impeto d'ira, lo colpì con un ceffone, poi, resosi conto di aver sbagliato, si giustificò con i presenti dicendo che Isacco era ubriaco. Niente da fare: l'intrepido monaco sostenne di essere lucidissimo, ribadendo il suo invito alla conversione. Incarcerato, Isacco fu mandato a morte il 3 giugno 851 su ordine dell'emiro in persona. Il suo comportamento "eroico" fu contagioso: nel giro di un paio di settimane l'abate suo zio e altri cinque monaci lo imitarono, cercando deliberatamente il martirio e finendo accontentati dalle autorità musulmane, che incominciavano a essere preoccupate dalla piega che stavano prendendo gli eventi. Tra il mese di luglio è quello di ottobre di quell'anno cruciale, altri cinque cristiani, uomini e donne, scelsero la morte in nome della loro fede un po' esaltata. 

Significativa per l'intreccio di contrasti religiosi e famigliari è la vicenda della vergine Flora, nata da un matrimonio misto tra un musulmano e una cristiana. Il padre era morto in giovane età, lasciando la vedova con tre figli, un maschio e due femmine. Flora era stata educata dalla madre come cristiana, mentre il fratello era un fervente musulmano. Meditando sul passo delle scritture che dice "Chi mi rinnegherà davanti agli uomini io lo rinnegherò davanti al Padre", Flora prese la decisione di lasciare la casa senza neanche avvisare la madre e andò a vivere in un monastero. Il fratello, infuriato, la andò a cercare per tutta la città, facendo arrestare anche alcuni religiosi. Alla fine, per evitare guai ulteriori alla sua comunità, la ragazza tornò a casa, ma sfidò il fratello dichiarandosi apertamente cristiana, nonostante le minacce e le percosse. La cosa finì davanti al Cadì, al quale Flora, che ancora non pensava al martirio, disse di essere sempre stata cristiana, evitando così l'accusa di apostasia. Fu tuttavia frustata ferocemente dalle guardie. Dopo alcuni giorni, tornata in grado di camminare, fuggì di nuovo e fu ospitata in una casa cristiana. 

Il caso che volle che, dopo qualche settimana, Flora incontrasse in una chiesa un'altra giovane, di sentimenti ancor più radicali: si trattava di Maria, sorella di uno dei monaci martirizzati per seguire l'esempio di Isacco. L'amicizia tra le due si trasformò in una smania di martirio. Si recarono dal Cadì, dove Flora dichiarò di essere "di stirpe araba", quindi una musulmana rinnegata, e Maria qualificò la religione islamica come "invenzione diabolica". Processate, ribadirono le loro accuse al Profeta e all'Islam, finendo decapitate il 24 novembre 851. 


La situazione dell'ordine del pubblico provocata dall'ondata di "martiri" preoccupava sempre di più le autorità di Cordova, che si rivolsero alle gerarchie ecclesiastiche affinché mettessero fine a quella che ai loro occhi era una forma crescente di follia collettiva. Si tenne allora nell'852 un concilio a Cordova, presieduto da Reccafredo, arcivescovo di Siviglia, che stabilì che la ricerca intenzionale della morte per mano dei musulmani non poteva essere ritenuta un martirio, tanto più che non c'era stata alcuna persecuzione, ma andava considerata una sorta di suicidio, come tale da condannare secondo la dottrina cristiana. Il Concilio condannò inoltre l'indegno traffico di reliquie dei "martiri" che era incominciato già subito dopo la morte di Perfectus e aveva costretto le autorità a ordinare che i corpi degli ultimi condannati fossero bruciati o gettati nel fiume. L'intervento del Concilio rallentò ma non bloccò subito il fenomeno dei "martiri", che durò altri sette anni, con altre trenta esecuzioni. 

L'ultimo "martire" di cui è interessante riportare la storia è Eulogio, che fu uno degli ideologi segreti del movimento dei martiri dopo aver conosciuto in carcere Flora nell'851 e averne raccontato la Passio in uno dei libelli apologetici che circolavano segretamente (e che ci è pervenuto). Eulogio era un sacerdote di posizioni apparentemente moderate e concilianti, al punto da essere considerato un interlocutore dalle autorità musulmane. Nell'859 venne eletto arcivescovo di Toledo, cioè Primate di Spagna, ma non poté insediarsi perché nel frattempo subì il martirio. Era successo infatti che Leocrizia, una ragazza di genitori musulmani, era stata convertita al cristianesimo da una monaca e aveva chiesto di essere consigliata e istruita presso di lui. Un delatore tuttavia denunciò la cosa, e tutti gli abitanti della casa furono arrestati. Interrogato, Eulogio disse che era sua dovere istruire una neofita, cosa che avrebbe fatto anche se il convertito fosse stato il Cadì. Questi ordinò allora che fossero portati dei bastoni, dicendo che intendeva ammaestrarlo. L'insofferenza del prelato contro i musulmani, accumulata in tanti anni, esplose in tutta la sua virulenza: facessero pure, disse, producendosi poi in una "impavida" invettiva contro il Profeta e la loro religione. Portato di fronte all'emiro, che lo conosceva come persona saggia, gli fu offerto il perdono in cambio della ritrattazione, ma Eulogio oramai aveva preso la sua decisione. Fu giustiziato l'11 marzo 859, pochi giorni prima di Leocrizia. 


Con queste morti ebbe termine il movimento dei martiri di Cordova: in totale furono cinquanta, tondi tondi.
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22 Jan 13:00

Antibufala: SismAlarm, “allarme anti-terremoto” sul Corriere della Sera

by Paolo Attivissimo
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “luca.lup*” e “darioaia*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.

È apparso sul Corriere della Sera il 17 gennaio scorso un articolo che parla di SismAlarm, definito “allarme anti-terremoti”, a firma di Alessandra Dal Monte.

Al prezzo di 99 euro e di un'installazione estremamente semplice, il dispositivo promette un preavviso di una “manciata di secondi prima della scossa distruttiva”, come dice nell'articolo Maurizio Taormina (che è amministratore delegato della Guardian srl, società di San Marino, ma questo il Corriere non lo specifica).

A prima vista il principio di funzionamento sembra sensato: ogni sisma genera solitamente un'onda primaria, che si propaga rapidamente e anticipa l'onda secondaria, che è quella più energetica e distruttiva. Questo è vero. Il Guardian, dicono i suoi creatori, rileva quest'onda primaria e genererebbe un allarme acustico e visivo che può mettere in allerta gli occupanti dell'edificio.

Ma se si fanno due conti in condizioni realistiche emerge un problema molto serio: applicando questo principio di funzionamento, il preavviso possibile, cioè quella “manciata di secondi” di cui parla Taormina citato dal Corriere,  ammonta in pratica a un paio di secondi o poco più, come spiega anche Alessandro Amato su Scienza in Rete: un tempo assolutamente insufficiente a compiere qualunque azione concreta per affrontare il sisma in arrivo.

Non a caso il manuale del dispositivo dice chiaramente (screenshot qui sotto) che “L’unità potrebbe non avere il tempo di allertare gli occupanti prima del verificarsi del sisma. L’unità è progettata e calibrata per generare un allarme quando viene rilevato il fronte primario dell’onda sismica, il quale dovrebbe essere seguito da un fronte secondario maggiormente distruttivo. A causa di numerose condizioni ambientali e di installazione l’unità potrebbe non avere sufficiente tempo per generare l’allarme prima che il terremoto causi danni a cose e/o persone.”


Inoltre l'articolo del Corriere segnala che “A dicembre il Dipartimento di Protezione civile ha presentato una segnalazione” (link) “per «pubblicità ingannevole» all'Autorità garante della Concorrenza e del Mercato.” In effetti la segnalazione della Protezione Civile lascia poco spazio ai dubbi (l'evidenziazione è mia):

la pubblicità sembra indurre il consumatore a sentirsi "al sicuro" acquistando il prodotto: i messaggi veicolati sono privi dei necessari riferimenti alle caratteristiche dei forti terremoti che potrebbero colpire l'Italia, in cui il raggio di azione del fenomeno distruttivo è tipicamente limitato, con conseguenti tempistiche di allerta nulle, ovvero di pochi decimi di secondo o pochi secondi, nelle aree epicentrali in cui possono manifestarsi condizioni di pericolo per le persone.

In sintesi, il prodotto fa esattamente quello che dice di fare, ma quello che fa è inutile all'atto pratico, per cui acquistarlo rischia di essere uno spreco di denaro e di creare una falsa sicurezza che può distrarre da interventi antisismici più concreti ed efficaci.

Fonti aggiuntive: Butac.it.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.
18 Jan 13:41

Il “bisonte” a turbina

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Gianluigi.ulaula

Futurismo

Tratto dal nº 26 del 28 giugno 1964 del Corriere dei Piccoli.



18 Jan 13:34

PIXAR STORY A MANTOVA!

by Luca Boschi

pixarstory

I fatti drammatici di questi ultimi giorni hanno fatto passare in secondo piano altre comunicazioni che questo blog avrebbe potuto segnalare con maggior rispetto della adeguata tempistica dei loro appuntamenti.

In straritardo, segnaliamo quanto avverrà a Mantova l’11 gennaio, alle ore 17 presso la libreria IBS.

Peter Grandi

Pietro Grandi (sopra in foto, la location è evidente), stra-esperto di cartoons e in particolar modo della Pixar, presenta il suo libro sul tema, del quale sono stato onorato di scrivere la presentazione:

http://www.ibs.it/libreria/mantova/mn.html

La presentazione del libro si ripeterò anche anche a febbraio a Torino, al Temporary Museum, ma questa e altre date sono ancora da decidere.

A Mantova Interviene la giornalista Valeria Dalcore.

Pixar story. Passione per il futuro tra arte e tecnologia
Realizzare un sogno, mettere al mondo un’idea, immergere lo spettato- re in storie d’avventura: questa e` la missione dello studio di animazione Pixar.

In questo libro toccherete con mano la cultura della “passione per il futuro”, ripercorrendo le sue radici: dalle prime sperimentazioni degli anni Trenta, alla nascita della Computer art negli anni Sessanta, fino all’epoca piu` recente, dove gli spettatori, grandi e piccoli, sognano perdendosi in mondi colorati e ricchi di dettagli digitali. I progetti della Pixar, cosi` come pensati da Ed Catmull, immaginati da Steve Jobs e costruiti magistralmente da John Lasseter, sono un mix perfetto di creativita` e tecnologia. Il risultato e` una “Wunderkammer dei segreti”: un micromondo che ci stupisce e meraviglia a ogni visione.Dietro la storia della Pixar, in fondo, c’e` un grande amore per il mondo e una passione scottante per la narrazione.

Ma ci sono anche le persone, gli insegnamenti, gli errori, la curiosita` e l’amicizia, tanto che se ne potrebbe fare un film… o un libro.

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Premessa di Luca Boschi, Giornalista e Storico del fumetto e dell’animazione:

“If you can dream it, you can do it!”
In tempi recenti non ci si è risparmiati a ripetere questa battuta significativa di Walt Disney, sintesi paradigmatica del potenziale eversivo della sua mente creativa, capace di dare tridimensionale consistenza anche ai pensieri più immateriali o azzardati. Forse non è nemmeno inopportuno accostare questa ottimistica prospettiva di lavoro all’altrettanto pluricitata frase “I have a dream” di Martin Luther King, che aspirava a rivestire di concretezza le aspirazioni di un domani migliore, ovviamente in un contesto affatto diverso da quello dei film animati.

A maggior ragione, questo principio-guida sembra attagliarsi quasi alla lettera a un altro “concretizzatore di sogni” del nostro tempo: l’animatore e regista John Lasseter il quale, con tenacia e perseveranza, sta scandagliando con successo le possibilità di tradurre in 3D fantasie oniriche e idee sfrenatamente fantasiose.

Per farlo, si è abbandonato alla voglia di trasmettere sentimenti genuini, valori non effimeri, emozioni coinvolgenti e divertimento, lasciando il segno nel cuore degli spettatori. Per molti di loro i film della Pixar, la fabbrica creativa di Lasseter, hanno oggi lo stesso marchio di garanzia che un tempo era data solo ai classici lungometraggi di natale del “Mago Walt”.

John-Lasseter

Va da sé che il papà di Mickey Mouse non ha mai effettivamente pronunciato la frase che gli è stata attribuita, che è farina del sacco di Tom Fitzgerald, valente responsabile della progettazione di attrazioni per i parchi tematici Disney. Nello specifico, la sua efficace dichiarazione si poteva leggere nell’area di Epcot, sita nel parco di Walt Disney World in Florida, ed era legata a Horizons, attrazione all’epoca dedicata al futuro dell’uomo e oggi dismessa.

I più maligni potrebbero pensare che l’attribuzione errata a Walt sia stata studiata a tavolino da qualche addetto alla comunicazione per accrescere l’aurea di mito attorno alla figura del creatore dei lungometraggi narrativi animati e di un intero immaginario. Personalmente preferisco pensare a un incidente: Tom Fitzgerald è riuscito a elaborare una frase ancor più disneyana di quella che lo stesso Walt avrebbe saputo concepire, per questo il lapsus è stato inevitabile.

Ma torniamo a Lasseter.

Da decenni un fil rouge corre fra la sincera empatia suscitata negli spettatori dalle più memorabili pellicole Disney, e le sensazioni provocate dai “fabbricanti di sogni” della Pixar. Dove stanno le differenze e dove le affinità fra questi due mondi?

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Tra Walt Disney e John Lasseter c’è stato veramente un passaggio di testimone, o piuttosto si tratta di due poetiche distinte, figlie ognuna del proprio tempo e degli strumenti tecnologici a disposizione?
Per interrogarsi su questo tema, per porsi molte altre domande e darsi delle risposte, bisogna prima di tutto informarsi, quindi studiare l’origine della Pixar, ripercorrere i successi che costellano la sua strada, e anche gli intoppi e i momenti di stallo che, come avveniva talvolta anche per Walt, sembravano suggerire loro di cambiare rotta o addirittura mestiere.

Il libro di Peter ripercorrerà le radici del mondo digitale Pixar, le sue specificità, i suoi uomini e i suoi film. È un incredibile concentrato di informazioni in uno spazio tutto sommato compresso, mai ridondante o difficile, scritto da Pietro Grandi, il più entusiasta appassionato di animazione contemporanea che abbia mai conosciuto, sicuramente uno dei più informati e competenti analisti dell’universo Pixar da questo lato dell’oceano.

Uno dei primi incontri che ho avuto con Pietro è avvenuto nel 2011, a Milano, in occasione del viaggio in Italia di Lasseter per inaugurare la bella mostra dedicata ai primi 25 anni di storia della Pixar; nella successiva conferenza al Teatro Dal Verme, John, inevitabilmente fasciato in una camicia dai colori sgargianti tratta dall sua sterminata collezione, ha dispensato suggerimenti, consigli e moniti a una folla di addetti ai lavori e aspiranti animatori provenienti dalle principali scuole di animazione e fumetti della Penisola.

Con la sua attività creativa, Pietro incarna perfettamente il prototipo di chi, spinto da una vorace curiosità (la stessa raccomandata da Lasseter), è riuscito a fare dei propri sogni una realtà tangibile: proprio nello spirito di Walt, e con la stessa consapevolezza degli altri passi che lo attendono ogni giorno, in un cammino che non può e non deve arrestarsi. Per questo, adesso, Pietro prova a trasmettere ciò che ha appreso anche ai suoi lettori.

Bio:
Pietro Grandi, classe 1985, lavora come visual art designer presso lo studio da lui fondato, “Sensitive Mind”. Appassionato di storia del cinema d’animazione e della storia della Silicon Valley, passa dalla realizzazione di videoclip emozionali, alla videoart, alla produzione di creazioni sceniche multimediali per eventi culturali, festival, concerti e campagne pubblicitarie. E` stato consulente per la mostra italiana dedicata a Steve Jobs creata da BasicNet a Torino e ha supervisionato lo spettacolo “Il tormento e l’estasi di Steve Jobs” per il Teatro stabile di Trieste.

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Grazie a Loris Cantarelli, scrutatore di palinsesti, per la simpatica segnalazione.

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by Paolo Attivissimo
Ora milioni di persone in più, in tutto il mondo, sanno cos'è Charlie Hebdo. I vigliacchi hanno già perso.





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18 Jan 13:28

Omeopatia: provare per non credere.

by Salvo Di Grazia
Ho parlato tante volte di omeopatia e della sua assoluta inconsistenza scientifica e medica, ma, se non superficialmente, non ho mai raccontato alcuni particolari che credo sia il caso di conoscere per completare l'informazione sul tema.
Sappiamo che la teoria omeopatica, risalente all'ottocento, non è mai stata dimostrata a suo tempo ed è stata anzi smentita con gli anni, quando le leggi della fisica e della chimica hanno soppiantato i "teoremi" medioevali degli albori della medicina, sappiamo anche che l'omeopatia sostiene che diluire continuamente una sostanza, invece di renderla inoffensiva e senza effetti ne aumenterebbe le "capacità" curative e che questa vecchia superstizione, proprio grazie alle scoperte scientifiche venute negli anni, è stata smentita e relegata a memoria storica di una medicina del passato, quando la medicina...non c'era.
Chi segue il blog o chi si è interessato personalmente, saprà già di cosa si parla quando si tratta di omeopatia.

Un prodotto omeopatico diluito più di 12 volte, in linguaggio omeopatico si dice di diluizione superiore alla 12 CH (per "CH" si intende "diluizione centesimale di Hahnemann"), non contiene nessuna traccia del principio attivo iniziale. Il prodotto omeopatico quindi, si può definire, senza possibilità di smentita, semplice "zucchero" (se la "pillola" è fatta di zucchero) o "acqua" (se il prodotto è fatto di acqua). Nessuna persona al mondo potrà smentirlo, è un dato di fatto.
Un'altra credenza dell'omeopatia sostiene che per curare una malattia bisognerà farlo con una sostanza che in un uomo provoca gli stessi sintomi della malattia. Per fare un esempio: l'insonnia (il cui sintomo è il "restare svegli") si curerebbe con qualcosa che fa restare svegli (per esempio il caffè), il prurito si cura con qualcosa che provoca il prurito, la nausea con un prodotto che provoca nausea e così via e per questo l'inventore dell'omeopatia "ideò" la diluzione: la maggioranza dei prodotti da usare per il suo scopo erano tossici o letali, bisognava quindi renderli inoffensivi. Quale modo migliore se non quello di farli sparire? Così Hahnemann penso di diluirli talmente tanto da farli scomparire, di loro resta solo il "ricordo", una magia oggi insostenibile e giustificabile solo nella sua epoca, quando non si conoscevano nemmeno le basi della scienza.

Ma ecco che a questo proposito c'è un altro particolare che pochi conoscono e che qui ho raccontato solo brevemente: come si fa a capire il prodotto più adatto per ogni persona? Si chiama "proving", è la tecnica che permette di trovare la sostanza omeopatica più adatta per un determinato disturbo.
Come qualcuno saprà l'omeopatia si vanta di "personalizzare" al massimo i suoi trattamenti, non esiste "la cura per tutti i pruriti" ma la cura per "il prurito di quella persona". In teoria l'idea è pure affascinante, ma in pratica questo non succede mai.
Oltre al fatto che i prodotti omeopatici si comprano in farmacia (ed il farmacista non si mette certo a testare per settimane il prodotto sul cliente), oltre al fatto che ogni rimedio dovrebbe essere provato personalmente su ogni paziente e su ogni suo sintomo, è la stessa ipotesi che nasce in maniera davvero curiosa come del resto tutto ciò che caratterizza l'omeopatia, giustificando la definizione di stregoneria, data dai medici inglesi.


Il proving

Il proving è il metodo che consente di "testare" (provare...appunto) un rimedio omeopatico in una persona. In base alle reazioni del soggetto che "testa" il prodotto (ai sintomi che dice di provare dopo aver assunto quel rimedio), l'omeopata saprà per cosa può servire il rimedio omeopatico. Facciamo ancora un esempio.
Se voglio provare la caffeina omeopatica, la somministrerò ad una persona. Questa annoterà in un foglio ciò che prova dopo averla assunta, per esempio ansia, caldo, distrazione, senso di vuoto (esempi a caso).
L'omeopata saprà quindi che la caffeina servirà a curare quei sintomi.
Non credo servano tante parole per spiegare che quei sintomi (le reazioni alla caffeina) sono completamente soggettivi, possono dipendere da tanti fattori e soprattutto, essendo ciò che l'individuo in "proving" assume soltanto zucchero, probabilmente si tratta di reazioni casuali, non dipendenti cioè da quanto assunto (tanto da essere diversi da un individuo all'altro).
L'omeopatia fa "provare" di tutto, qualsiasi sostanza può essere oggetto di "proving" perché qualsiasi sostanza (anche ciò che non è una "sostanza", come l'elettricità o la luce) può diventare un rimedio omeopatico.
Così si assiste a prove sinceramente ridicole quando non assurde.
Questo è uno dei fattori per i quali la possibilità (esistente in qualsiasi professione) che vi siano omeopati "seri" o "meno seri" è campata in aria. Sarebbe come sostenere che esistono astrologi "seri" e "meno seri", se l'intera teoria ed ipotesi su cui si basa un mestiere è una superstizione, un fenomeno paranormale, la serietà è la prima cosa che può essere scartata con sicurezza.
Il proving così riguarderà gli elementi più comuni, la caffeina, appunto o  altre come l'arnica o il gelsomino, ma la vera natura dell'omeopatia è forse più chiara quando scopriamo che sono "testabili" e quindi somministrabili elementi che ricordano le pozioni magiche delle streghe d'altri tempi, come l'acqua, l'elettricità, la luce (si espone il soggetto alla luce e si annota ciò che prova, quelli saranno i sintomi curabili con la..."luce omeopatica"), le lacrime, il chiaro di Luna e le note musicali e si arriva a prove irragionevoli quando non rivoltanti, come il sangue di un soggetto con AIDS (naturalmente omeopatico, non c'è nessuna molecola di sangue in quell'intruglio), un preservativo, una zecca, mestruazioni o addirittura un buco nero. Sono talmente assurdi i rimedi omeopatici che, quando descrissi quelli di un prodotto omeopatico in un mio vecchio articolo, intervenne nei commenti l'addetto stampa dell'azienda offeso perché aveva scambiato il mio elenco di "ingredienti" (tra i quali ghiandole di rospo e veleno di serpente, scritto anche sulla confezione) per una "battuta ironica": non riusciva a crederci neanche lui!

Ci siamo?

Il soggetto in "proving" annota tutti i sintomi che prova assumendo il rimedio e consegna tutto all'omeopata che li usa di conseguenza, se una sostanza provoca ansia, l'omeopata lo somministrerà per l'ansia (come ho scritto prima per l'omeopatia la malattia si cura con qualcosa che provoca gli stessi disturbi) se il soggetto prova agitazione il rimedio sarà prescritto per questo disturbo.
Sappiamo che l'omeopatia è una pratica senza base scientifica, ma conoscendola meglio emergono gli aspetti che la rendono una vera e propria pratica magica, stregonesca.
In ogni caso, a prescindere dalle "stranezze" del proving, sappiamo che di quelle sostanze non assumeremo nulla, è nella stessa natura dell'omeopatia. Perché quindi compiere questi "riti"? Proprio per rendere il gioco magico più "misterioso", più "potente" ed esoterico, pensare che assumiamo i "poteri magici" di una zecca può avere il suo effetto sui soggetti più condizionabili ma nessun timore, non si assumerà nemmeno una molecola di quella zecca, grazie all'estrema diluizione dei rimedi omeopatici la pallina di "medicinale" conterrà solo zucchero, puro.
Era qui che volevo arrivare, le diluizioni.
La più comune è quella di cui si parlava all'inizio, la centesimale di Hahnemann (l'inventore dell'omeopatia) che si indica con la lettera CH (30CH significa trentesima diluizione centesimale di Hahnemann). Ne esistono altre meno diffuse, la DH (diluizione decimale di Hahnemann, ovvero il principio attivo non si diluisce in 100 parti come nella centesimale ma in 10 parti di acqua) e la "korsakoviana" (si indica con K, prende il nome dal suo inventore, il russo Semen Korsakov).

La diluizione korsakoviana, ovvero: ma ci prendete in giro?

Riassumo brevemente la diluzione classica dell'omeopatia (la centesimale Hahnemaniana).
Si parte dal principio attivo. Di questo si prende una goccia e la si versa in un bicchiere con 99 ml. di acqua (avremo quindi una soluzione composta da 99 parti di acqua e una di principio attivo, totale 100 ml., questa è la prima diluizione, 1CH). Si prende una goccia da questo bicchiere e si versa in un secondo bicchiere con 99 ml di acqua (ecco la seconda diluizione, 2CH, 99 parti di acqua ed una parte di principio attivo già diluito la prima volta) e si continua così, una goccia in un bicchiere con 99 ml di acqua e così via. La 12ma volta che compiamo questo gesto il principio attivo sarà sparito, per semplici leggi della chimica e della fisica (vedi numero di Avogadro).
Anche qui spero di essermi spiegato bene.

Ma gli omeopati non si accontentano di vendere un prodotto nel quale non è contenuto nulla, devono necessariamente esagerare. Così il dott. Korsakov pensò bene di trovare un modo più pittoresco per preparare i rimedi omeopatici.
Ripartiamo dall'inizio e stavolta diluiamo il principio attivo con il metodo "korsakoviano".

Si prende una goccia del principio attivo e si aggiunge a 99 ml. d'acqua, come nel metodo Hahnemaniano. Si svuota quel bicchiere (si svuota, tutto, si butta il contenuto del bicchiere) e si riempie di nuovo di acqua. Si svuota nuovamente e si riempie...si svuota e si riempie ancora di acqua e così via, fino al numero di "svuotamenti" necessari, 10.000 ed anche 100.000. Si chiama "diluizione korsakoviana", indicata con la lettera K (o CK). Importante sottolineare che ad ogni diluizione (di qualsiasi tipo essa sia), il bicchiere "omeopatico" va battuto cento volte sopra un libro (si diceva la Bibbia, ma oggi si usa un libro qualsiasi), alcuni non usano libri ma tappetini di gomma, altri lo fanno con delle macchine, altri manualmente, insomma, come si vuole, tanto non cambia nulla è solo parte del rito magico.
Dopo tutto questo lavoraccio di bicchieri svuotati otterremo naturalmente un bicchiere finale pieno d'acqua, senza alcun principio attivo, battuto sopra un libro o su qualsiasi altra cosa.
Una goccia di quell'acqua è spruzzata su una pallina di zucchero, l'acqua evapora e le palline di zucchero (normali caramelline da 1 grammo ciascuna) sono confezionate e messe in vendita (al prezzo di circa 1000 euro al chilo).
Uno dei rimedi omeopatici più noti, l'Oscillococcinum, è preparato così, con un bicchiere svuotato e riempito 200 volte (infatti nella confezione è indicato 200K). Troppo strano per essere vero? Eppure è così. Informarsi per credere, anzi, per non crederci più e così rompere la magia. D'altronde è lo stesso inventore dell'omeopatia a dircelo:
"Talvolta si sente dire che l’omeopatia funziona se ci si crede: questa non è una banalità, è una realtà che indica la modalità d’azione del medicinale omeopatico". Samuel Hahnemann, inventore dell'omeopatia.

Ora, se vendere un prodotto preparato in questo modo è pura furbizia commerciale, comprarlo è pura stupidità consumistica.
Il marketing delle multinazionali omeopatiche è tanto sottile ed abile che riesce a rifilarci il nulla senza che noi ce ne rendiamo conto.

Dopo queste brevi spiegazioni chi è affezionato all'omeopatia, sa cosa sta comprando (e cosa gli vogliono rifilare) e resta sempre il mio invito per i più testardi: se pensate che in un granulo omeopatico (oltre la 12CH) ci sia qualcosa oltre allo zucchero di cui è composto fatelo analizzare.
Conclusione: funziona? No, per la scienza e la logica non può funzionare, lo sappiamo perché conosciamo come funzionano le leggi che governano ciò che ci circonda: una caramella di zucchero può essere piacevole per il palato ma non serve a curare nessuna malattia e gli studi lo hanno confermato ma qualcuno dice "su di me ha avuto effetto".
Bisognerebbe prima di tutto chiedersi come abbia fatto una pallina di solo zucchero ad avere effetto curativo, ma non importa, l'importante è il risultato e soprattutto rendersi conto di aver speso soldi ed aver comprato un prodotto che non contiene nulla, fabbricato svuotando continuamente dei bicchieri d'acqua, battuto su un libro (o su quello che si vuole, a scelta), spruzzato su una caramella e che costa una fortuna.
Ora, se è corretto sostenere che l'omeopatia non funziona dal punto di vista scientifico è obbligatorio sottolineare che dal punto di vista scientifico, dire che funziona, è da stupidi.
Il resto sono chiacchiere, interessanti, affascinanti, ma chiacchiere,  non scienza.

Insomma: "La mente è come un paracadute, non serve se non si apre, ma non tanto da perdere il cervello" (doppia cit. nonsodichi).

Alla prossima.