Shared posts

14 Sep 15:23

Filtri, link, contenuti degli utenti. Cosa cambia con la riforma del copyright

by Bruno Saetta
[Tempo di lettura stimato: 11 minuti]

Il 12 settembre il testo di riforma della direttiva copyright è stato votato ed approvato dal Parlamento europeo. Si tratta in sostanza del medesimo testo bocciato a luglio, ma stavolta il voto è stato a favore, anche se con l’approvazione di alcuni emendamenti che comunque ne mutano ben poco l’impianto.

Precisiamo subito che il cammino della direttiva non è finito. Adesso il testo approvato sarà posto in discussione col Consiglio dell’Unione, dal quale dialogo, a porte chiuse, uscirà un testo, tra quello del Parlamento e quello del Consiglio, che poi sarà votato nella plenaria del Parlamento, probabilmente a gennaio 2019. Dopo di che, essendo una direttiva, occorre che i vari Stati la recepiscano per diventare legge, potendo anche entro certi limiti modificarla. Un paese europeo potrebbe in teoria anche non recepirla, ma questo farebbe scattare procedure di infrazione nei confronti del paese.

Libertà di panorama

La libertà di panorama, cioè un’esenzione che renda lecito fotografare ciò che è visibile nella pubblica via, non è prevista all’interno della direttiva, nonostante tale eccezione fosse richiesta da molti. Quindi non è lecito condividere foto delle vacanze con monumenti, assolutamente no ai giochi di luce della Torre Eiffel, attenzione a riprendere gli autobus con annunci e marchi ai lati del veicolo, e in genere tutto ciò che è soggetto a diritti d’autore non può essere ripreso e condiviso nemmeno se si trova sullo sfondo.

Contenuti generati dagli utenti

Il testo approvato non contiene nessuna esenzione per gli user generated content, cioè il riutilizzo di opere a fini di critica, revisione, illustrazione, caricatura o parodia (come i meme).

Estrazione di testo e dati

L’articolo 3 è stato in parte modificato. Riguarda un argomento che riceve poca attenzione, ma che risulta estremamente importante per i giornalisti e le startup e tutti coloro che lavorano coi dati. Si tratta del Data Mining, come ad esempio l'identificazione all'interno di un archivio di un gruppo di utenti in base a caratteristiche comuni, tipo la provenienza geografica.

La norma stabilisce un’eccezione al copyright, tra l’altro obbligatoria e non è possibile superarla tramite accordi contrattuali.
Purtroppo l’eccezione ha portata limitata alle organizzazioni di ricerca escludendo tutte le imprese e i singoli ricercatori, compreso quindi i giornalisti. L’esenzione riguarda solo la ricerca scientifica limitando notevolmente l’ambito di utilizzo. L’eccezione, inoltre, può essere neutralizzata tramite l’uso di misure di sicurezza da parte degli editori (tipo limitare lo scaricamento dei dati ad una certa quantità per ogni minuto).

Protezione per gli eventi sportivi

L’articolo 12a è stato introdotto nel testo come emendamento. È piuttosto interessante notare che alcuni parlamentari pare non sapessero nemmeno della sua esistenza, compreso lo stesso relatore Voss. Sentito sul punto, infatti, si è mostrato stupito che l'articolo, da lui votato, fosse nel testo.

Occorre ricordare che i filtri di caricamento già impediscono l'immissione sulle piattaforme online anche di brevi spezzoni di eventi sportivi. In ogni caso, il nuovo articolo prevede il divieto di rendere disponibile (pubblicare online o comunque inviare ad altri, cioé comunicazione o diffusione) parte dell’evento sportivo, come ad esempio brevi filmati, fotografie, e anche selfie a bordo campo. Tranne per l’organizzatore ovviamente.

La cosiddetta link tax (che non è una tassa sui link)

L’art. 11 è stato approvato con una modifica che esclude la sua applicazione nel solo caso in cui l’hyperlink sia accompagnato da “parole singole” (“individual words”). La modifica in sé non sposta molto la questione perché la norma riguardava e riguarda la pubblicazione dei cosiddetti snippet, cioè l’insieme di un link, un titolo e qualche parola. Adesso sembrerebbe che anche l’indicazione dell’intero titolo, essendo più di “individual words”, possa portare al pagamento dei diritti connessi. Il motivo probabilmente sta nel fatto che in Germania Google ha preso a utilizzare il solo titolo con link.
L'idea alla base dovrebbe presumibilmente essere quella di tutelare la "fonte" originale da possibili copie. Dimenticando che il giornalismo odierno non è altro che la continua replica e il rimando o la citazione di altre fonti. Un articolo che riporta quello che dice un altro articolo che commenta quello che dice altra fonte, e così via. C'è grande differenza da quello che fa Google News? Se Repubblica cita il Corriere che commenta la Stampa, chi pagherà i diritti a chi? (vedi tweet di Thomas Baekdal)

Il punto fondamentale è che molti non hanno compreso la reale portata della norma. Alcuni giornali hanno anche giocato sull’equivoco che tale norma avrebbe per la prima volta (sic!) portato le grandi aziende del web a pagare i contenuti (articoli di giornali) che normalmente condividerebbero e sfrutterebbero gratis. Come dire che fino ad oggi le grandi aziende del web “rubavano” contenuti ai giornali, da domani invece non lo potranno fare più. Il che è piuttosto singolare, poiché se ieri rubavano vuol dire che c’era una norma che prevedeva che quel comportamento fosse un “furto”. Se c’era una norma, a che serve fare una norma del tutto nuova?

In realtà si è trattato di introdurre un nuovo diritto del tutto inesistente prima, che dovrebbe, forse, garantire un nuovo flusso di incassi all’editoria che si trova in piena crisi. Non c'entra la pirateria, non c'entra il furto di contenuti. Il punto che viene rimarcato è che spesso gli utenti degli aggregatori di news leggono lo snippet (cioè il titolo più alcune parole e il link all’articolo sul giornale) senza però cliccarci sopra, cioè dopo aver letto il titolo sull’aggregatore di news non vanno a leggere l’articolo sul giornale. Il ché sembrerebbe più che altro far pensare che l’articolo non interessa l’utente. Non sarebbe il caso di scrivere articolo (e titoli) migliori?

Inoltre, se il problema è che le grandi aziende del web (in primis Google) “rubano” i contenuti dei giornali, la strada migliore non sarebbe quella di impedire il “furto”? Ed è un’operazione banale, basta inserire un parametro (disallow) all’interno di un file (robots.txt) che si trova nella cartella principale (root) del sito web del giornale. Basta questo perché lo spider o crawler di Google non indicizzi gli articoli indicati. Lo si può fare per singole pagine, per singoli spider (quindi Google News no, Google Search si, ad esempio), ed è il normale modo di gestire l’indicizzazione dei contenuti online. Chiunque abbia mai gestito un sito web lo sa perfettamente. E sicuramente lo sanno tutti gli editori. Infatti esiste allo stato una proposta (della parlamentare Marijete Schaake) che mira a sanzionare il mancato rispetto di questo parametro, che comunque è strettamente rispettato da Google. Perché gli editori non hanno mai usato questo sistema per impedire il “furto”? Forse perché la presenza su Google News per loro è essenziale.

A questo proposito basterebbe avere studiato gli eventi passati per capire di cosa si parla. In Belgio nacque il problema per la prima volta. E Google News rispose espungendo i contenuti dei giornali dal suo servizio. Furono gli stessi editori a chiedere a Google di riammetterli nel servizio, precisando che in realtà quello che volevano era un sovvenzionamento per aiutare la transizione al digitale. E Google pagò un una tantum. Poi il problema si ripropose in Germania. La risposta di Google, di nuovo, fu di espungere tutti gli articoli di giornali dal servizio di News. Chi voleva essere presente in Google News doveva chiederlo espressamente autorizzando Google alla pubblicazione e rinunciando a qualsiasi remunerazione. Risultato? Chi prima e chi dopo, tutti gli editori hanno autorizzato e rinunciato ai soldi. Perché? Perché si sono resi conto che rende di più stare su Google News che starne fuori.

Ed infine, in Spagna la norma prevede che il pagamento dei diritti non è rinunciabile, quindi Google ha semplicemente chiuso il servizio News, trattandosi di un servizio periferico di scarsa importanza (per il business di Google). Risultato? Un forte calo del traffico che ha interessato principalmente i piccoli editori, e quelli indipendenti, un impatto di miliardi di euro all'anno su consumatori, creatori di informazioni, e inserzionisti. La nuova norma e la chiusura degli aggregatori incide sulla concorrenza nel mercato, sulla libertà di informazione e genera ostacoli all'innovazione e allo sviluppo di nuovi progetti locali (qui il rapporto). La perdita di traffico da parte dei giornali è stata fino al 14% per i piccoli editori, il 6% per i grandi editori. L’unico risultato ottenuto con le Link Tax è la contrazione del mercato, dove le perdite maggiori sono state sopportate dai piccoli editori. Alcuni piccoli editori locali hanno dovuto chiudere.

Quindi è apparso ovvio che serve più Google News ai giornali che viceversa, ma soprattutto Google News aiuta molto di più i piccoli editori a farsi trovare dagli utenti.

In conclusione: gli editori non vogliono che Google non pubblichi ("rubi") i link ai loro articoli (basta il parametro precisato sopra), ma vogliono stare su Google News e nel contempo vogliono che Google paghi per il “privilegio” di avere i link ai giornali, ai quali Google comunque fornisce un traffico non indifferente. Insomma, la botte piena e la moglie ubriaca.

A questo punto è arduo pronosticare cosa succederà dopo l’eventuale approvazione della direttiva. Anche se è difficile credere che Google lasci passare un precedente come questo. Tra l’altro, come fa notare Innocenzo Genna, Google potrebbe anche decidere di far pagare il servizio di posizionamento ed indicizzazione ai giornali, così compensando la remunerazione dovuta ai giornali.
Sempre usando le parole di Genna, “gli editori corrono il rischio di rimanere senza nulla”. Tutti siamo d’accordo che i giornalisti dovrebbero essere adeguatamente remunerati ma questo non vuol dire che occorre imporre una vera e propria tassa al primo che troviamo con le tasche larghe. L’articolo della direttiva sembra nato, dietro la spinta degli editori tedeschi, con l’unico scopo di trovare qualcuno che paghi la crisi dell’editoria, senza nemmeno provare ad analizzare i motivi di tale crisi, prendendosene le responsabilità.

Il risultato sarà praticamente nullo per gli editori, peggiorativo per i piccoli editori e in genere per la libertà di espressione e di stampa, e finirà per far chiudere gli aggregatori minori che non si potranno permettere di pagare tali remunerazioni, azzoppando un mercato, con perdita di posti di lavoro. Il problema, al solito, è che delle forme di business alternative a quella principale (degli editori e dell’industria del copyright) non se ne parla praticamente mai, per cui la stragrande maggioranza dei cittadini semplicemente non è a conoscenza del reale impatto che tali norme avranno su tanti lavoratori che finiranno a spasso.

Filtri per il copyright

L’articolo 13 è stato approvato con modifiche più sostanziali. Il testo non contiene più un riferimento alle “tecnologie per il riconoscimento dei contenuti” (i filtri), ma prevede semplicemente che la piattaforma che consente agli utenti di condividere contenuti avrà piena responsabilità per ogni parte di contenuto. L’unico modo per non incorrere in responsabilità per i contenuti immessi dagli utenti rimane solo quello di controllare ogni singolo contenuto immesso sui server. Che per ovvi motivi non può avvenire manualmente, ma dovrà aversi tramite sistemi di filtraggio dei contenuti. Questi sistemi, in base a dei sample forniti dall'industria del copyright, rimuoveranno tutti i contenuti che vengono riconosciuti, dai sistemi algoritmici realizzati dalle aziende del web, uguali o simili ai sample forniti dall’industria del copyright. La conseguenza ovvia sarà di incorrere in numerosi errori. Anche se il numero degli errori in percentuale fosse basso, in valore assoluto si parla di numeri davvero preoccupanti (qui una simulazione del filtraggio da parte dell’esperto di sicurezza Alex Muffet).

Inoltre il testo abolisce le salvaguardie per i diritti degli utenti, consentendo ai titolari dei diritti e alle piattaforme di contrattare i diritti degli utenti come parte dei termini e delle condizioni delle licenze (13.2 “in line with the terms and conditions set out in the licensing agreement”).

In questo caso sono stare introdotte delle esenzioni. Ad esempio sono esentate le piccole e micro imprese (non le medie imprese come impropriamente qualcuno ha scritto), come da definizione dell’allegato alla direttiva ecommerce. Per cui sono da escludere le aziende con meno di 50 dipendenti e con un fatturato fino a 10 milioni l’anno (revisione novembre 2017). Si tratta di un’esenzione doverosa non fosse altro che aziende più piccole semplicemente non possono permettersi il costo (non basso) dei sistemi di filtraggio dei contenuti.

Altre esenzioni sono previste per i servizi non commerciali, e per le piattaforme di sviluppo software open source. Nonostante proprio l’articolo menzioni le enciclopedia online, non è detto che l’esenzione si possa applicare a Wikipedia perché questa consente il riutilizzo delle opere anche a fini commerciali. Inoltre, l’esenzione non si dovrebbe applicare a GitHub perché su quella piattaforma di sviluppo e condivisione di software non è presente solo software open source.

Il testo appare piuttosto incerto nella formulazione e foriero di dubbi interpretativi. Ad esempio laddove statuisce che la pubblicazione di contenuti da parte delle piattaforme deve considerarsi un atto di comunicazione al pubblico, sembra in contrasto con la direttiva ecommerce e la giurisprudenza esistente. È vero che nelle più recenti sentenze la Corte di Giustizia europea si è incamminata in un percorso di estensione del concetto di comunicazione al pubblico, ma la direttiva pare fare un salto in avanti al momento non giustificabile.

Le stesse aggiunte di esenzioni appaiono più che altro un modo, improprio, per isolare nel campo le grandi piattaforme del web come per additare il “nemico” da combattere. In tal modo la direttiva tradisce un certo spirito di fondo da strumento per tutelare l’industria europea contro lo strapotere delle aziende del web.


Peccato che lo strumento sia, nella pratica, peggiorativo della situazione. Perché è evidente, a tutti coloro che non si fermano ai meri slogan, che assegnare alle piattaforme del web il ruolo di sceriffi della rete, delegandogli il potere di decidere cosa è lecito e cosa non lo è, sicuramente da a tali piattaforme ancora più potere di quello che già hanno.

L'industria dell'intrattenimento ha convinto molti, compreso alcuni artisti, che esiste una tecnologia magica che può identificare le opere protette da copyright e impedire che vengano diffuse, e che l’unico ostacolo è la testardaggine delle piattaforme del web. Molti credono che i filtri si limitino a rimuovere ciò che è illecito. Ma questo presuppone che ci sia un organo terzo che decide cosa è violazione e cosa no. Nella realtà sarà delegata agli algoritmi software, che dovranno realizzare le piattaforme del web, proprio la decisione su ciò che è violazione del copyright e ciò che non lo è.

Inoltre i filtri impediscono agli utenti legittimi, compreso gli artisti, di fare cose lecite. Ad esempio è recentissimo il caso del pianista Rhodes che esegue personalmente un’opera di Bach e riceve una avviso di violazione del copyright per la sua personale esecuzione. Non è un unico caso, e occorre chiedersi, a questo punto, come si concilia con la retorica che vede la direttiva in difesa dei diritti degli artisti, nel momento in cui alcuni artisti si vedono negare la possibilità di pubblicare le loro opere (e quindi di trarne profitto). E’ l’industria che decide chi è artista e chi no? Un artista che non vuole cedere i propri diritti all’industria per questo motivo può essere oscurato? Nella realtà la direttiva tutela gli interessi economici della grandi aziende, e gli artisti che non vogliono cedere i loro diritti alle grandi aziende non riceveranno alcuna tutela da questa normativa.

Ma non basta, perché è noto che i filtri non sono così difficili da superare. E qui soccorre l’esperienza relativa ai filtri utilizzati dal governo cinese che, per ovvi motivi, sono considerati i più efficaci al mondo. Un artista cosa dovrebbe fare? Imparare a superare i filtri del sistema? Se sei un artista dovresti dedicarti alle tue opere. Non hai il tempo di fare altro, e non puoi certo metterti in fila dietro a milioni di altre persone che si sono viste cancellare contenuti dai filtri.
Per l’industria dell’intrattenimento non c’è questo problema, loro hanno un accesso privilegiato alle piattaforme del web, e potranno sbloccare un loro contenuto se dovesse incappare nelle maglie del filtro.

Appare evidente, quindi, che al di là della retorica e degli slogan, l’utilità di questa direttiva per gli artisti, i giornalisti, i creativi in genere, sia piuttosto limitata, se non nulla. Di contro l’impatto della direttiva sulla libertà di espressione online può essere piuttosto pesante. Esempi di come si comportino i cosiddetti filtri ne abbiamo da anni, essendo già presenti, in forma volontaria, sulle principali piattaforme del web (cosa che le favorisce perché già sono conformi di fatto, mentre gli altri dovranno spendere un sacco di soldi per adeguarsi). E ogni giorno si trovano esempi di contenuti che vengono oscurati pur essendo del tutto leciti, come ad esempio è accaduto a luglio per una serie di articoli che, appunto, criticavano (guarda caso) proprio la direttiva copyright.

L’impressione è che la direttiva, inquadrata nell’ambito del Digital Single Market, sia, insieme ad altre norme similari, un modo per riorganizzare l’ambiente digitale, centralizzando il controllo del flusso delle informazioni nelle mani di poche grandi aziende, che fungono da sceriffi del web, e di contro riceveranno ovviamente dei vantaggi. In tal modo l'ambiente economico sarà ristrutturato così che certi modelli economici (es. quelli alternativi, tipo piattaforme che consentono il finanziamento diretto del pubblico delle opere degli artisti, saltando l’intermediazione dell’industria che prevede una cessione dei diritti da parte dell'artista medesimo) non siano più redditizi, portandoli alla chiusura, con grave danno per le piattaforme più piccole e gli editori minori.

La caratteristica di questa riforma è l'assoluta indifferenza ai danni collaterali sui diritti e le libertà dei cittadini, il risultato sarà un deserto culturale con un’unica grande pozza d’acqua sulla quale regneranno le grandi industrie, un deserto nel quale la moltiplicazione delle licenze e una frammentazione dei diritti creerà una pervasiva incertezza giuridica online. Sarà difficile anche solo sapere cosa possiamo fare e cosa è illecito, fermo restando che, alla fine, l'ultima parola sarà non di un giudice, non di uno Stato, ma di un freddo e privato algoritmo.

...

Sulla riforma copyright leggi anche:

I danni che la direttiva sul copyright farà alle nostre libertà e cosa possiamo fare per contrastarla (dove spieghiamo perché se una riforma del copyright è importante questa riforma è invece pericolosa per i diritti dei cittadini, evidenziando i pareri degli esperti e dei pionieri del world wide web contrari all’attuale testo).

Riforma Copyright: il dibattito che è mancato per responsabilità dei media

Tornano le proteste dei cittadini contro la direttiva copyright: in pericolo i nostri diritti (dove rispondiamo alle critiche dell’industria dell’editoria e del copyright contro la posizione dei cittadini che criticano l’attuale testo della direttiva).

La Commissione europea costretta a rivelare uno studio sulla pirateria tenuto nascosto

Firma la petizione su Change.org → Stop the censorship-machinery! Save the Internet!

Altro materiale sulla campagna SaveYourInternet

Quando si discute dell'impatto negativo della direttiva sulla libertà di manifestazione del pensiero ho notato che questo argomento non fa alcuna presa su molti cittadini, probabilmente perché non è compresa a pieno la sua importanza, per cui segnalo anche anche >> La libertà di espressione nell’era dei social network

Immagine anteprima via RFI_English

14 Sep 14:49

Viewpoint: Acoustic Experiments without Borders

by Martin Landrø and Nathalie Favretto-Cristini

Author(s): Martin Landrø and Nathalie Favretto-Cristini

A new approach to laboratory acoustic experiments could remove unwanted effects caused by the reflections of acoustic waves from the boundaries of the experimental setup.


[Physics 11, 71] Published Mon Jul 16, 2018

14 Sep 14:42

Synopsis: Ghost Imaging with Electrons

Ghost imaging—a sensitive imaging technique previously demonstrated with visible and x-ray light—has been extended to electrons.


[Physics] Published Tue Sep 11, 2018

14 Sep 12:53

Announcing the 2018 Ig Nobel Prizes winners

by Marc Abrahams

The 2018 Ig Nobel Prizes were awarded at the 28th First Annual Ig Nobel Prize ceremony, on Thursday, September 13, 2018, at Harvard’s Sanders Theatre. The ceremony was webcast. Here’s video of the entire ceremony, and a list of the winners:

For links to the prize-winning studies, see the list of all past (and new!) Ig Nobel Prize winners. The new winners are:

MEDICINE PRIZE [USA] — Marc Mitchell and David Wartinger, for using roller coaster rides to try to hasten the passage of kidney stones.

REFERENCE: “Validation of a Functional Pyelocalyceal Renal Model for the Evaluation of Renal Calculi Passage While Riding a Roller Coaster,” Marc A. Mitchell, David D. Wartinger, The Journal of the American Osteopathic Association, vol. 116, October 2016, pp. 647-652.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: Dave Wartinger

 

ANTHROPOLOGY PRIZE [SWEDEN, ROMANIA, DENMARK, THE NETHERLANDS, GERMANY, UK, INDONESIA, ITALY] — Tomas Persson, Gabriela-Alina Sauciuc, and Elainie Madsen, for collecting evidence, in a zoo, that chimpanzees imitate humans about as often, and about as well, as humans imitate chimpanzees.

REFERENCE: “Spontaneous Cross-Species Imitation in Interaction Between Chimpanzees and Zoo Visitors,” Tomas Persson, Gabriela-Alina Sauciuc, and Elainie Madsen, Primates, vol. 59, no. 1, January 2018, pp 19–29.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: Tomas Persson, Gabriela-Alina Sauciuc

 

BIOLOGY PRIZE [SWEDEN, COLOMBIA, GERMANY, FRANCE, SWITZERLAND] — Paul Becher, Sebastien Lebreton, Erika Wallin, Erik Hedenstrom, Felipe Borrero-Echeverry, Marie Bengtsson, Volker Jorger, and Peter Witzgall, for demonstrating that wine experts can reliably identify, by smell, the presence of a single fly in a glass of wine.

REFERENCE: “The Scent of the Fly,” Paul G. Becher, Sebastien Lebreton, Erika A. Wallin, Erik Hedenstrom, Felipe Borrero-Echeverry, Marie Bengtsson, Volker Jorger, and Peter Witzgall, bioRxiv, no. 20637, 2017.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: Paul Becher, Sebastien Lebreton, Felipe Borrero-Echeverry, Peter Witzgall

 

CHEMISTRY PRIZE [PORTUGAL] — Paula Romão, Adília Alarcão and the late César Viana, for measuring the degree to which human saliva is a good cleaning agent for dirty surfaces.

REFERENCE: “Human Saliva as a Cleaning Agent for Dirty Surfaces,” by Paula M. S. Romão, Adília M. Alarcão and César A.N. Viana, Studies in Conservation, vol. 35, 1990, pp. 153-155.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: The winners delivered their acceptance speech via recorded video.

 

MEDICAL EDUCATION PRIZE [JAPAN] — Akira Horiuchi, for the medical report “Colonoscopy in the Sitting Position: Lessons Learned From Self-Colonoscopy.”

REFERENCE: “Colonoscopy in the Sitting Position: Lessons Learned From Self-Colonoscopy by Using a Small-Caliber, Variable-Stiffness Colonoscope,” Akira Horiuchi and Yoshiko Nakayama, Gastrointestinal Endoscopy, vol. 63, No. 1, 2006, pp. 119-20.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: Akira Horiuchi

 

LITERATURE PRIZE [AUSTRALIA, EL SALVADOR, UK] — Thea Blackler, Rafael Gomez, Vesna Popovic and M. Helen Thompson, for documenting that most people who use complicated products do not read the instruction manual.

REFERENCE: “Life Is Too Short to RTFM: How Users Relate to Documentation and Excess Features in Consumer Products,” Alethea L. Blackler, Rafael Gomez, Vesna Popovic and M. Helen Thompson, Interacting With Computers, vol. 28, no. 1, 2014, pp. 27-46.

WHO PLANS TO ATTEND THE CEREMONY: Thea Blackler

 

NUTRITION PRIZE [ZIMBABWE, TANZANIA, UK] — James Cole, for calculating that the caloric intake from a human-cannibalism diet is significantly lower than the caloric intake from most other traditional meat diets.

REFERENCE: “Assessing the Calorific Significance of Episodes of Human Cannibalism in the Paleolithic,” James Cole, Scientific Reports, vol. 7, no. 44707, April 7, 2017.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: James Cole

 

PEACE PRIZE [SPAIN, COLOMBIA] — Francisco Alonso, Cristina Esteban, Andrea Serge, Maria-Luisa Ballestar, Jaime Sanmartín, Constanza Calatayud, and Beatriz Alamar, for measuring the frequency, motivation, and effects of shouting and cursing while driving an automobile.

REFERENCE: “Shouting and Cursing While Driving: Frequency, Reasons, Perceived Risk and Punishment,” Francisco Alonso, Cristina Esteban, Andrea Serge and Maria-Luisa Ballestar, Journal of Sociology and Anthropology, vol. 1, no. 12017, pp. 1-7.

REFERENCE: “La Justicia en el Tráfico: Conocimiento y Valoración de la Población Española” [“Justice in Traffic: Knowledge and Valuation of the Spanish Population”)], F. Alonso, J. Sanmartín, C. Calatayud, C. Esteban, B. Alamar, and M. L. Ballestar, Cuadernos de Reflexión Attitudes, 2005.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: Francisco Alonso

 

REPRODUCTIVE MEDICINE PRIZE [USA, JAPAN, SAUDI ARABIA, EGYPT, INDIA, BANGLADESH] — John Barry, Bruce Blank, and Michel Boileau, for using postage stamps to test whether the male sexual organ is functioning properly—as described in their study “Nocturnal Penile Tumescence Monitoring With Stamps.”

REFERENCE: “Nocturnal Penile Tumescence Monitoring With Stamps,” John M. Barry, Bruce Blank, Michael Boileau, Urology, vol. 15, 1980, pp. 171-172.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: John M. Barry, Bruce Blank, Michel Boileau

 

ECONOMICS PRIZE [CANADA, CHINA, SINGAPORE, USA] — Lindie Hanyu Liang, Douglas Brown, Huiwen Lian, Samuel Hanig, D. Lance Ferris, and Lisa Keeping, for investigating whether it is effective for employees to use Voodoo dolls to retaliate against abusive bosses.

REFERENCE: “Righting a Wrong: Retaliation on a Voodoo Doll Symbolizing an Abusive Supervisor Restores Justice,” Lindie Hanyu Liang, Douglas J. Brown, Huiwen Lian, Samuel Hanig, D. Lance Ferris, and Lisa M. Keeping, The Leadership Quarterly, February 2018.

WHO ATTENDED THE CEREMONY: Hanyu Liang, Douglas J. Brown, Huiwen Lian, D. Lance Ferris, and Lisa M. Keeping

12 Sep 11:20

I silenzi assordanti

by .mau.

Ora vi racconto una storia. Un paio di settimane fa noi di Wikimedia Italia ci siamo chiesti cosa avremmo potuto fare per sensibilizzare le persone sulla nuova votazione per la direttiva copyright. Mentre a luglio c’era un “tutto o niente” e quindi eravamo andati giù con l’accetta, stavolta c’era la possibilità di modificare alcuni punti che non sarebbero nemmeno troppo controversi: se un’opera è orfana significa che non si sa di chi siano i diritti, quindi nessuno ci guadagnerebbe comunque, e ci saranno forse cinque opere in Italia su cui qualcuno ci guadagna davvero con le foto. La nostra strategia si è così concentrata su quei punti, lasciando perdere la tassa sulle citazioni e il filtraggio sugli upload che erano ormai noti.

A parte l’aver spedito agli eurodeputati una certa quantità di cartoline in cui i monumenti presenti sono stati cancellati a pennarello – ma mi sa che i nostri parlamentari non guardino la posta cartacea… – abbiamo pensato alla possibilità di avere lo spazio per un “op-ed”. Questo termine arriva dagli USA, dove indica in articolo in posizione “opposta all’editoriale”: in pratica una voce indipendente, che non rispecchia la posizione ufficiale del giornale ma permette al lettore di avere altre informazioni. Da noi non esiste un vero e proprio posto per questi articoli, ma in pratica li si trova nelle pagine culturali. Bene: mi sono messo il cappellino di portavoce di Wikimedia Italia e ho scritto una bella letterina al direttore della Stampa chiedendo un po’ di spazio e spiegando che non volevo parlare dell’articolo 11 ma degli altri temi. Risultato: zero, dove per “zero” intendo “nemmeno una risposta preconfezionata che dice che il tema non fa parte degli interessi del giornale”. Dopo due giorni, ho scelto di rivolgermi ad altri giornali, ovviamente senza copincollare ma pensando alle peculiarità del singola testata. Ho così preso i due maggiori quotidiani italiani, Repubblica e Corriere; ho saltato Il Sole-24 Ore perché Confindustria è schierata ancora più dei gruppi editoriali standard; ho provato con Il Foglio, come giornale di nicchia ma con una notevole influenza; non ho scritto al Fatto perché il suo stile è troppo urlato per l’articolo che avevo in testa; avrei scritto al Giornale ma nel colophon non ho trovato un indirizzo email e il mio tentativo di indovinarlo è fallito (ah, le sue pagine culturali sono ottime), e ho scritto ad Avvenire perché lo ritengo interessante, visto che dà spazio a temi che non sono così visibili negli altri media. Risultato: l’unico che ha risposto è stato Avvenire, e così ieri il mio testo è apparso sul quotidiano della CEI.

Vorrei fare due considerazioni. La prima è che a fianco del mio intervento ne è stato pubblicato uno a favore della riforma “così com’è” scritto da un eurodeputato di Forza Italia. Questo è giustissimo. Noi non volevamo l’appoggio di nessuno; il nostro scopo era fare conoscere le nostre posizioni. Avvenire ha pertanto scelto di avere un’altra campana, il che non era solo suo diritto ma anche suo dovere nei confronti dei suoi lettori. La seconda cosa è molto più triste, invece. Wikimedia Italia non sarà famosa quanto il Codacons, ma dopo tutti questi anni non si può nemmeno dire che sia del tutto sconosciuta. Possibile che le segreterie di direzione – crederete mica che la mail ufficiale dei direttori sia quella indicata in colophon? È ovvio che ci debba essere un filtro – non si degnino nemmeno di rispondere “crepa!”? Evidentemente sì. Pensateci su.

10 Sep 16:02

Se i filtri del copyright rimuovono anche Beethoven

by Bruno Saetta
[Tempo di lettura stimato: 4 minuti]

La quinta sinfonia di Beethoven (voce su Wikipedia) fu composta tra il 1807 e l'inizio del 1808, e venne eseguita per la prima volta il 22 dicembre del 1808 al Theater an der Wien (Vienna). Le prime quattro note dell’opera sono famosissime nella cultura popolare, al punto da essere riprese in numerose altre opere. L’attacco della sinfonia è stato usato dalla famosa Radio Londra durante la seconda guerra mondiale. La sinfonia fu utilizzata anche per il film "V per Vendetta", riarrangiata in versione disco da Walter Murphy per il film "La febbre del sabato sera", e riadattata a cover della canzone di Robin Thicke con il titolo "When I Get You Alone".

Questo per rimarcare che si tratta di un’opera pacificamente nel pubblico dominio, cioè sulla quale non insistono più, e da tempo, diritti di autore. Un professore di teoria musicale tedesco, Ulrich Kaiser, decide quindi di utilizzare questa, ed altre opere, come materiale di studio per la sua classe. Ovviamente occorre anche considerare i diritti degli esecutori. In base alle leggi tedesche le registrazioni effettuate prima del 1963 sono entrate nel pubblico dominio (prima del 2013 i termini erano di 50 anni, poi portati a 70), per cui il professor Kaiser utilizza, nel rispetto delle norme, registrazioni precedenti al 1963 (qui l’articolo che illustra la vicenda, scritto direttamente dal professore).

La musica viene caricata sul sito del progetto, nel quale sono state inserite anche ampie note relative alla normativa sul diritto d’autore, e spiegazioni sul perché quelle opere sono nel pubblico dominio. Il primo video caricato su Youtube illustra il progetto, e in sottofondo si sentono alcune delle opere utilizzate, mentre il professore spiega.

Appena tre minuti dopo, il professore riceve una notifica di violazione del copyright, tramite il sistema di filtraggio dei contenuti, ContentID (qui un articolo che spiega cosa sono i sistemi di filtraggio automatizzati). Kaiser replica immediatamente, precisando che l’autore è morto da oltre 70 anni, l’opera è stata registrata nel 1962, e quindi è pacificamente nel pubblico dominio. Ma a questo punto, incuriosito, decide di fare un esperimento sul funzionamento di questi sistemi di verifica delle violazioni del copyright. Apre un nuovo account, Labeltest, al solo scopo di condividere ulteriori estratti di musica, selezionando solo musica nel pubblico dominio, tra le opere di Beethoven, Bartok, Schubert, Puccini e Wagner. Riceve delle segnalazioni di violazione del copyright per tutte queste opere.

Ad ogni segnalazione risponde precisando che: l’autore è morto da oltre 70 anni e si tratta di registrazioni antecedenti al 1963, quindi pacificamente nel pubblico dominio. Fa notare, altresì, che nessuna delle richieste di rimozione fornisce alcun elemento a supporto del diritto reclamato dal richiedente.

Cioé, per chiarire, con i sistemi di rimozione dei contenuti, il segnalante si limita ad affermare un diritto senza provarlo (cosa che potrebbe portare facilmente ad abusare del sistema di segnalazione), mentre chi immette il contenuto è colui il quale deve effettivamente provare di essere in regola col diritto (cosa piuttosto difficile se consideriamo che queste problematiche vengono sviscerate di solito in procedimenti giudiziari che durano anche anni). Insomma, si inverte l’onere della prova, rispetto a ciò che accadrebbe in un qualsiasi tribunale.

Un altro aspetto che il professore ci tiene a precisare è che la sua intenzione era di rilasciare i video con licenza gratuita e libera, così permettendo l’utilizzo a fini educativi per studenti anche ad altri, cosa che è lecita poiché su nessuno di essi insistono più diritti di autore. Ma non è stato possibile. Anche quando le repliche di Kaiser hanno ottenuto l’effetto di non rimuovere il video, comunque non è stato possibile inserire una licenza libera. Il sistema non la accettava.

Il professor Kaiser conclude che i sistemi di filtraggio

presentano notevoli difetti che possono portare alla riduzione delle risorse educative e culturali online”.

A questo punto occorre tenere presente che ContentId è il sistema di filtraggio dei contenuti più costoso, quello più testato e sicuramente uno dei migliori. Il fatto che tale sistema porti a frequenti errori nel riconoscimento delle opere, ma soprattutto il fatto che non sia un grado di distinguere tra un’opera soggetta a diritti ed una nel pubblico dominio, la dice lunga sull’utilità di tali strumenti. Eppure, al Parlamento è ancora in discussione un testo di riforma della direttiva copyright che, nonostante le ultime modifiche e i cosiddetti “compromessi”, nei fatti costringerà le piattaforme del web ad avere sistemi di filtraggio preventivo dei contenuti del tipo di ContentID. Pensate a quelle aziende che non si possono permettere di spendere 60 milioni (il costo di ContentID), che tipo di sistema di filtraggio finiranno per usare.

E non crediate che sia un caso unico. James Rhodes è un artista che ha eseguito un'opera di Bach nella sua casa, registrandola e immettendola online. Eppure riceve comunque un avviso di violazione del copyright. Copyright di chi? Bach è morto da oltre 300 anni e l'esecutore è lo stesso Rhodes.


Il 12 settembre si terrà il voto finale sulla riforma della direttiva copyright.

Leggi anche >> I danni che la direttiva sul copyright farà alle nostre libertà e cosa possiamo fare per contrastarla (dove spieghiamo perché se una riforma del copyright è importante questa riforma è invece pericolosa per i diritti dei cittadini, e menzioniamo i pareri degli esperti contrari all’attuale testo).

Leggi anche >> Tornano le proteste dei cittadini contro la direttiva copyright: in pericolo i nostri diritti (dove rispondiamo alle critiche dell’industria dell’editoria e del copyright contro la posizione dei cittadini contrari all’attuale testo della direttiva).

Leggi anche >> La Commissione europea costretta a rivelare uno studio sulla pirateria tenuto nascosto

Leggi anche >> Firma la petizione su Change.org → Stop the censorship-machinery! Save the Internet!

Leggi anche >> Altro materiale sulla campagna SaveYourInternet

Leggi anche >> Articolo di CopyBuzz (dove si spiega perché la direttiva copyright imporrà un sistema di filtraggio dei contenuti addirittura peggiore di quello americano).

Immagine in anteprima Joseph Karl Stieler [Public domain], via Wikimedia Commons

06 Sep 14:48

Saturday Morning Breakfast Cereal - We Are Here

by tech@thehiveworks.com


Click here to go see the bonus panel!

Hovertext:
I am prepared to lend this speech to any commencement speaker free of charge.


Today's News:
03 Sep 12:31

A simulated annealing approach to the student-project allocation problem

by Abigail H. Chown
American Journal of Physics, Volume 86, Issue 9, Page 701-708, September 2018.
03 Sep 12:31

Which part of a chain breaks?

by Seung Ki Baek
American Journal of Physics, Volume 86, Issue 9, Page 663-669, September 2018.
03 Sep 12:13

Like e anomalie su Twitter? Come funziona e cosa potete fare per difendervi

by David Puente

Negli ultimi giorni c’è una psicosi impressionante su Twitter. Utenti che si lamentano di “like” mai fatti, chi a favore di una o l’altra parte politica (le segnalazioni arrivate sono multiple, cambiano di volta in volta). C’è chi pensa di risolvere il tutto con un cambio password, ma non funziona in questo modo. È piuttosto probabile che dietro a questa storia ci sia un’applicazione che gli stessi utenti hanno deciso di usare accettandone i termini d’uso senza leggerli.

Vi ricordate il caso della Lega Nord e dei tweet automatici a favore di Salvini? In mezzo a quella storia c’era un’applicazione Twitter che aveva l’autorizzazione da parte degli utenti per pubblicare a nome loro:

Il trucco è nelle mani del social media manager di Salvini, che in occasione del raduno leghista svoltosi a Bologna l’8 novembre aveva ridato vita a una semplice applicazione, LegaNordIllustrator, compatibile con Twitter e già sfruttata in diverse occasioni (ora oscurata, ma era disponibile a questo indirizzo): chiunque poteva associare il proprio account Twitter autorizzando l’applicazione, e garantendo così un retweet automatico di ogni post indicato dall’applicazione. Di fatto quella creata dal social media manager di Salvini è una botnet—in un certo senso ‘legale’, visto che gli utenti avevano volontariamente autorizzato l’utilizzo dell’applicazione; sicuramente ben lontana dall’essere eticamente corretta.

Ho chiesto a coloro che hanno riscontrato i “like” anomali di inviarmi gli screenshot con le applicazioni che hanno attivato sul proprio account, al fine di individuare l’App più ricorrente e che poteva essere sospettata come colpevole. La più presente era una che verifica (ci prova) gli account veri che seguono un account, ma devo dire che tra le segnalazioni c’era chi inviava gli screen senza spiegarmi le anomalie riscontrate e alcuni non ce l’avevano. Forse l’avevano tolta dopo l’uso iniziale, non possiamo esserne sicuri al 100%. Tuttavia è bene che sappiate come funzionano certe cose e vi lascio questa guida per proteggere il vostro account.

 

Applicazioni e termini d’uso

Quando volete usare un’applicazione o un servizio legato a Twitter dovete accettare i termini d’uso. Questa schermata di esempio che vi mostro di seguito è fondamentale perché comprendiate il problema:

Schermata di autorizzazione di un’applicazione Twitter e i permessi che darete al suo gestore

Nella schermata notiamo che l’applicazione potrà:

  • Leggere i Tweet dalla vostra cronologia.
  • Vedere chi seguite e seguire nuove persone.
  • Aggiornare il vostro profilo.
  • Pubblicare Tweet dal vostro account.

Non male, ma potrebbe fare di più. Non potrà, infatti:

  • Accedere ai vostri Messaggi Diretti.
  • Vedere il vostro indirizzo email.
  • Vedere la vostra password di Twitter.

Dicevo “non male” così per dire, perché queste libertà consentono a chi gestisce l’applicazione di fare tante cose per conto vostro.

 

Come può un’applicazione fare “like” per voi?

Volete provare voi stessi? Avete un account Twitter? Bene, provate l’app “Likamelo” che ho creato a scopo educativo da questo link.

Successivamente seguite le istruzioni nel seguente capitolo dell’articolo e revocate l’accesso all’app “Likamelo“.

 

Basta cambiare la password? No!

Intanto, per la vostra sicurezza fate un primo controllo andando a cliccare sul menu account “Impostazioni e privacy” e subito dopo la voce “App e dispositivi” (da PC cliccate qua). Troverete l’elenco delle applicazioni collegate all’account (revocate l’accesso a quelle che ritenete inutili o a voi sconosciute, con attenzione) e in fondo i dispositivi utilizzati di recente per accedere a Twitter. Se in quest’ultima lista trovate qualche connessione strana potete scegliere di preoccuparvi o meno, ma a volte una località diversa da quella “comune” potrebbe essere dovuta al vostro operatore telefonico mobile o perché vi siete collegati a qualche Wi-Fi. Per essere sicuri in futuro dovete impostare la verifica dell’accesso via SMS.

Per prima cosa dovete avere un numero di cellulare associato al vostro account Twitter e confermarlo (qui trovate la guida utile):

  1. Clicca sull’icona del profilo in alto a destra della barra di navigazione e seleziona Impostazioni e privacy dal menu a tendina.
  2. Clicca sulla scheda Telefono.
  3. Seleziona il Paese nel menu a tendina.
  4. Inserisci il tuo numero di telefono. Non è necessario includere il prefisso internazionale o lo zero iniziale in quanto gestiamo queste informazioni automaticamente. Clicca su Continua.
  5. Invieremo un codice tramite SMS al numero di telefono che hai indicato. Inseriscilo nella casella Codice di verifica e clicca su Attiva numero di telefono.
  6. Comparirà il messaggio Il tuo numero di telefono è stato attivato! per confermare che il numero è stato aggiornato.
Menu “Account” e l’area per la verifica dell’accesso (premere su “Configura la verifica d’accesso”

Questi, invece, i passi per accedere al vostro account con utente, password e codice di autenticazione via SMS:

Per configurare la verifica dell’accesso su twitter.com:

  • Nel menu in alto, clicca sull’icona del tuo profilo e poi su Impostazioni e privacy.
  • Clicca sulle impostazioni dell’Account e poi su Configura la verifica dell’accesso.
  • Leggi le istruzioni generali, quindi clicca su Inizia.
  • Inserisci la tua password e clicca su Verifica.
  • Per aggiungere il tuo numero di telefono, clicca su Invia codice.
    Nota: se hai già un numero di telefono associato al tuo account Twitter, ti invieremo un SMS per confermare il numero.
  • Inserisci il codice di verifica inviato al tuo dispositivo, quindi clicca su Invia.
  • Clicca su Ottieni codice di backup per visualizzare un codice generato da Twitter. Ti consigliamo di salvare uno screenshot del codice, nel caso dovesse servirti in futuro. In questo modo ti sarà più facile accedere al tuo account se perdi il telefono o cambi numero.

Quando accederai al tuo account su twitter.com, Twitter per iOS, Twitter per Android o mobile.twitter.com, riceverai sul tuo telefono un SMS contenente un codice di accesso a sei cifre. Inserisci il codice quando ti viene richiesto di accedere all’account.

Con questo sistema, anche se non siete vittime di questa anomalia dei “like” indesiderati, potete comunque proteggere il vostro account. Utile, no?

L'articolo Like e anomalie su Twitter? Come funziona e cosa potete fare per difendervi proviene da Il Blog di David Puente.

03 Sep 11:41

08/31/18 PHD comic: 'Exam View'

Piled Higher & Deeper by Jorge Cham
www.phdcomics.com
Click on the title below to read the comic
title: "Exam View" - originally published 8/31/2018

For the latest news in PHD Comics, CLICK HERE!

31 Aug 13:11

Learning to see through multimode fibers

by Navid Borhani
Navid Borhani, Eirini Kakkava, Christophe Moser, Demetri Psaltis
Deep neural networks (DNNs) are used to classify and reconstruct the input images from the intensity of the speckle patterns that result after the inputs are propagated through multimode fiber (MMF). We were able to demonstrate this result for fibers up to 1 km long by training the DNNs with ... [Optica 5, 960-966 (2018)]
30 Aug 15:50

Folding photography in the time domain

by Sylvain Gigan

Folding photography in the time domain

Folding photography in the time domain, Published online: 29 August 2018; doi:10.1038/s41566-018-0245-x

Exploiting an optical cavity that folds space in time in a conventional lens design provides a novel route for time-resolved imaging and depth sensing.
30 Aug 15:44

Constant-pressure sound waves in non-Hermitian disordered media

by Etienne Rivet

Constant-pressure sound waves in non-Hermitian disordered media

Constant-pressure sound waves in non-Hermitian disordered media, Published online: 02 July 2018; doi:10.1038/s41567-018-0188-7

Perfect transmission of sound waves through a strongly disordered environment is demonstrated using a set of speakers that provide exactly the right input to counteract scattering by the disorder. These principles can also be applied to light.
30 Aug 15:40

Reconstructing the topology of optical polarization knots

by Hugo Larocque

Reconstructing the topology of optical polarization knots

Reconstructing the topology of optical polarization knots, Published online: 30 July 2018; doi:10.1038/s41567-018-0229-2

Knotted lines representing torus knot and figure-eight knot are produced in the polarization profile of optical beams, leading to a topological characterization of the structure of the polarization field.
21 Aug 11:26

Chi diffonde davvero le bufale

by .mau.

La tesi di base di Scimmie digitali, il libro che io e Paolo Artuso abbiamo pubblicato all’inizio di quest’anno, è che la cosiddetta rivoluzione digitale di questi ultimi anni non ha in realtà cambiato il modo in cui noi esseri umani comunichiamo. Certo, sono cambiati i mezzi con cui comunichiamo: ma per quanto plastico il nostro cervello sia esso non può essere così diverso da quello di vent’anni fa. In fin dei conti, anche senza rifarci alle grandi scimmie antropomorfe come abbiamo raccontao nel libro, vediamo tutti come i temi alla base delle tragedie greche sono ancora oggi riciclati per film e serie televisive.

Il mio pensiero è sempre stato che le chiacchiere da Facebook non hanno nulla di diverso, né nei temi trattati né nel loro contenuto medio, dalle chiacchiere da bar di una volta, e da quelle in piazza ancora prima: tutt’al più abbiamo un numero maggiore di potenziali intelocutori, anche se la legge di Dunbar ci dovrebbe ricordare che non riusciamo fisicamente ad avere interazioni serie con più di un centinaio o due di altre persone: un’altra prova che non siamo poi cambiati più di tanto. Eppure sembra proprio che questo sia falso: oggi pare che i leoni da tastiera siano sempre di più, e che si stia precipitando sempre più verso un baratro che nemmeno la legge di Cipolla aveva previsto così profondo: per lui in fin dei conti la quantità totale di intelligenza nel mondo rimane costante, non in diminuzione. Come spiegare questa discrepanza tra la teoria e la pratica, oltre che ammettere che la teoria è sbagliata, cosa su cui però non cediamo per nulla?

Un punto importante è sicuramente il copia-e-incolla, che non nasce con Internet ma con essa ha certo avuto un impulso notevolissimo. Il mantra “CONDIVIDI SE SEI INDIGNATO!!!!11!!” presenta l’enorme vantaggio competitivo di non richiedere uso del cervello o capacità di lettura del resto del testo – lasciamo perdere la comprensione, sarebbe davvero pretendere troppo – ma solo un clic. Magari non ci ricordiamo nemmeno del motivo per cui avevamo cominciato a seguire quella pagina: chissà, all’inizio forse scriveva cose che ci interessavano, e non ci siamo accorti della lenta deriva dei temi da essa trattati, perché non possiamo seguire proprio tutto quello che ci arriva come ci ricorda il numero di Dunbar. O peggio ancora abbiamo scelto di fidarci acriticamente di loro, sempre per la stessa ragione dell’impossibilità di seguire tutto, e abdicato all’uso dei nostri neuroni.

Tutto questo però non è sufficiente. Certo, arrivare ai grandi numeri è più facile di un tempo. Certo, la natura sociale umana fa sì – da millenni… – che più persone si radunino maggiore è la quantità di idiozie che possono produrre, e l’aumento è molto più che lineare perché tutti fanno a gara per spararle più grosse. Ma anche così non si spiega questo boom, non foss’altro che perché i copincollatori seriali per definizione non sono di solito in grado di esprimere un pensiero compiuto più lungo di dieci parole. Di chi è dunque la colpa di questa deriva? Semplice. La colpa è di tutti i politici che fanno campagna elettorale permanente a colpi di tweet, scegliendo quello che pare il punto di vista più condiviso (che in realtà almeno inizialmente è il più urlato). La colpa è di tutti i giornalisti che invece che fare il loro lavoro si limitano a fare cassa di risonanza non solo dei tweet dei politici ma di tutte le peggiori beceraggini trovate, per aumentare l’audience e non dover faticare. Soprattutto la colpa è di tutti noi. Sì, la colpa è nostra. È assolutamente inutile rispondere nel merito a qualcuno che tanto non leggerà mai quello che scriviamo, e probabimente non lo capirebbe comunque; spiegare le cose in modo comprensibile è una cosa complicata, io cerco di farlo da anni in un campo di per sé poco controverso come la matematica e non ci riesco mica sempre. È stupido pensare di replicare ai loro slogan con altri slogan di segno opposto: l’incisività è un’arte ancora piû complicata della divulgazione, e non possiamo competere con i professionisti pagati per creare gli slogan per politici e affini. Infine è deleterio condividere anche solo per ridere i post più imbecilli che troviamo in giro. Il post sarà anche imbecille per noi, ma non lo è evidentemente per tanta altra gente, e condividendolo stiamo facendo gli untori permettendogli di raggiungere altri lettori “non vaccinati”. Bel risultato, vero?

Attenzione. Non dico di rassegnarci e tacere; una soluzione simile è forse ancora peggiore di quanto capita oggi. Invece che condividere oppure commentare su post in cui tanto nessuno ci darà retta, è forse più utile scrivere una risposta ex novo (meglio se pubblica) e taggare i postatori originari. In questo modo avremo il vantaggio di giocare in casa, di potere cancellare i commenti pavloviani senza nessun contenuto e soprattutto di non contribuire a propagare quanto scritto da altri. Chiaramente quanto scriviamo deve essere a prova delle truppe cammellate di segnalatori seriali – ma tanto non vogliamo mica scendere al livello dialettico di certa gente, no? – il che dovrebbe essere più semplice se ricominciamo da zero e non rispondiamo. Evitiamo di entrare nelle discussioni; come si sa, non conviene mai farlo con un minus habens, perché prima lui ti porta al suo livello e poi grazie alla sua esperienza vince facile. E infine cominciamo a condividere i post con cui siamo d’accordo. Non potremo mai arrivare ai numeri dei bercianti, per l’ottima ragione che prima di condividere dovremmo essere certi che il testo altrui è interessante e questo richiede necessariamente tempo; ma almeno sapremo di non essere soli e che la nostra fatica non è inutile. Non raddrizzeremo le zampe ai cani, ma daremo un bastone agli zoppicanti.

20 Aug 10:16

Dark Matter Candidates

My theory is that dark matter is actually just a thin patina of grime covering the whole universe, and we don't notice it because we haven't thoroughly cleaned the place in eons.
17 Aug 14:20

Cosa prevede la convenzione Autostrade – Anas e la sua revoca

by Andrea Zitelli
[Tempo di lettura stimato: 7 minuti]

Il giorno successivo il crollo di una parte del “Ponte Morandi” a Genova in cui sono morte almeno 39 persone, con decine di persone ferite e altre ancora disperse, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annunciato che il governo ha deciso di:

«(...) Avviare le procedure di revoca della concessione alla società Autostrade, sulla quale incombeva l'obbligo e l'onere di curare la manutenzione del viadotto».

Una decisione, ha specificato Conte, che va “al di là di quelle che sono le verifiche che verranno fatte in sede penale” perché non si può “attendere i tempi della giustizia penale” in quanto il governo ha il “compito di far viaggiare tutti i cittadini in sicurezza”. Simili dichiarazioni sulla revoca della concessione ad Autostrade per l'Italia erano state fatte in precedenza dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio e da quello dei Trasporti, Danilo Toninelli.

Leggi anche >> Quello che si sapeva da tempo del “Ponte Morandi” di Genova

Successivamente, però, in base a nuove dichiarazioni di esponenti del governo, la decisione di avviare una procedura è sembrata più sfumata.  In una nota il Ministero dei Trasporti ha dato notizia che è stata istituita che una "Commissione ispettiva" il cui lavoro "è il primo atto" con cui si "intende fare luce sull'accaduto e avviare tutti gli accertamenti necessari". "Le risultanze del lavoro svolto dalla Commissione – si legge ancora – entreranno nella valutazione per la procedura di un'eventuale revoca della concessione". Nel Il blog delle stelle viene pubblicato un post in cui si legge: "Attendiamo il lavoro dei tecnici inviati dal ministro Toninelli, attendiamo il lavoro della magistratura nell’accertare eventuali responsabilità, ma non attendiamo neanche un minuto di più a esigere – insieme ai ministri Di Maio e Toninelli – le immediate dimissioni dei vertici di autostrade per l’Italia. Quel ponte necessitava di una profonda manutenzione da decenni! Bene ha fatto il ministro delle Infrastrutture, a evocare, qualora ce ne siano le condizioni, anche il ricorso alla revoca della concessione e alle eventuali multe connesse ad inadempienze".  Il ministro dell'Interno, Salvini, ha dichiarato infine che "da Autostrade puntiamo ad ottenere, nell'immediato, fondi e interventi a sostegno dei parenti delle vittime, dei feriti, dei 600 sfollati e della Comunità di Genova tutta, anche in termini di esenzione dai pedaggi. Di tutto il resto parleremo soltanto dopo".

Nella serata di ieri arriva però una dichiarazione di Luigi Di Maio che sembra far tornare certa la decisione sulla revoca: "Chi non vuole revocare le concessioni deve passare sul mio cadavere. C’è la volontà politica del Governo: vogliamo revocare queste concessioni".

Cosa prevede la convenzione tra Anas e Autostrade per I’Italia

Come spiega il Post “le autostrade italiane, comprese quelle gestite da Autostrade per l’Italia, sono un bene di proprietà dello Stato, ma sono state spesso gestite da società 'concessionarie' che gestiscono la rete autostradale e ne raccolgono i profitti pagando in cambio un canone allo Stato”. In questo caso, il canone pagato è del 2,4% dei proventi netti da pedaggio, mentre la durata prevista della concessione arriva al 31 dicembre 2038, ma è stata prevista una proroga fino al 2042 dopo che l’Ue ha dato il via libera agli investimenti per fare altre opere (come ad esempio la Gronda di Genova), a patto di applicare degli incrementi tariffari limitati.

Sul ponte Morandi correva l’autostrada A10, gestita, insieme ad altre autostrade (in totale la gestione arriva a quasi la metà delle rete autostradale formata da 6668 km complessivi), da Autostrade per l’Italia (di Atlantia, controllata dalla famiglia Benetton) in base a una convenzione tra Anas (dal 2012 è subentrato il Ministero dei Trasporti) e la società firmata il 12 ottobre 2007 e diventata efficace l’8 giugno 2008.

Fino a gennaio dello scorso anno queste convenzioni erano secretate, poi però sotto il governo Gentiloni, con il ministro dei Trasporti guidato da Graziano Delrio, sono state rese pubbliche in parte (mancavano, specifica il Corriere della Sera, ad esempio, i piani economico-finanziari). Al riguardo Toninelli ha annunciato che verranno desecrate “integralmente tutti i contratti in essere con i concessionari autostrade” e pubblicati sul sito del Ministero dei Trasporti.

Tra gli obblighi previsti per il Concessionario (cioè Autostrade per l’Italia) all’articolo 3, comma 1, lettera b), c’è quello del “mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse”.

I poteri del concedente (cioè lo Stato) sono stabiliti dall’articolo 7: può richiedere informazioni ed effettuare controlli, “con poteri di ispezioni, di accesso, di acquisizione della documentazione e delle notizie utili in rispetto degli obblighi” di Autostrade per l’Italia. Nella lettera d) del comma 1 si legge che lo Stato, in caso di inosservanza da parte del Concessionario degli obblighi stabiliti o in caso di una sua mancata ottemperanza alle richieste di informazioni e i documenti acquisiti non siano veritieri, può irrogare, “salvo che il caso costituisca reato”, sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori a 25mila euro e non superiori a 150 milioni. Nel testo si aggiunge anche che “in caso di reiterazione delle violazioni” lo Stato ha la facoltà di “proporre al ministro competente la sospensione o la decadenza della concessione”.

Con l’articolo 8 della convenzione viene previsto che nel caso in cui lo Stato accerti che si sia verificato un grave inadempimento riguardo gli obblighi stabiliti, provvederà a comunicare gli elementi dell’accertamento effettuato stabilendo “un congruo termine” entro il quale Autostrade per l’Italia dovrà provvedere, “in ordine degli accertamenti”, fornendo le proprie giustificazioni. Se il tempo stabilito trascorrerà senza che Autostrade abbia presentato i chiarimenti e giustificazioni richiesti, oppure se quest’ultime non vengano accettate dallo Stato, allora il concedente può avviare il procedimento che porterà alla decadenza dalla concessione.

La decadenza è regolata dall’articolo 9 della convenzione e viene dichiarata nel caso in cui “perdura la grave inadempienza” da parte del Concessionario, cioè Autostrade per l’Italia, degli obblighi previsti.

Una volta constatato il perdurare degli inadempimenti da parte del Concessionario, lo Stato lo diffida ad adempiere ai suoi obblighi entro un termine di tempo non inferiore a 90 giorni. Se non vengono rispettati i tempi della prima diffida, il Concedente può intimare Autostrade per l’Italia di rispettare gli obblighi entro un ulteriore lasso di tempo di 60 giorni. Se anche queste tempistiche non vengono rispettate, allora il Ministero delle Infrastrutture stabilirà la decadenza con decreto legge.

Al termine del procedimento di decadenza, lo Stato dovrà comunque pagare ad Autostrade per l’Italia un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, “prevedibile dalla data del provvedimento di scadenza sino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi costi, oneri, investimenti ed imposte prevedibile nel medesimo periodo” (il testo di come stabilire l’importo continua prevedendo anche altra clausole).

Nell'articolo 9 bis del contratto si trova poi scritto che "fermo restando quanto previsto dall'articolo 9", Autostrade per l'Italia "avrà diritto, nel rispetto del principio dell'affidamento, a un indennizzo/risarcimento" che lo Stato dovrà pagare nel caso di "recesso, revoca, risoluzione, anche per inadempimento del Concedente, e/o comunque cessazione anticipata del rapporto di Convenzione pur indotto da atti e/o fatti estranei alla volontà" della Stato, anche "di natura straordinaria e imprevedibile".

Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera scrive che “considerato che nell’ultimo anno gli utili di Autostrade per l’Italia sono stati pari quasi a un miliardo di euro, 968 milioni” e la scadenza prevista della concessione per il 2042, l’indennizzo che lo Stato dovrà pagare si aggirerebbe intorno ai 20 miliardi di euro. Questa calcolo viene riportato anche dal Sole 24 ore e dal Fatto Quotidiano.

Ma quindi revocare la concessione è possibile?

Come abbiamo visto a livello il procedimento è possibile, ma, come scrive Marcello Clarich sul Sole 24 Ore, "richiede necessariamente una serie di approfondimenti tecnici, giuridici ed economici da avviare con le dovute forme" e termina con un indennizzo che lo Stato dovrà pagare.

Luigi Olivieri sul blog Phastidio.net spiega che nel contratto tra le due parti (agli articoli 9 e 9-bis) sono previste quattro ipotesi di interruzione anticipata del rapporto: decadenza, recesso, revoca e risoluzione. In particolare, continua Olivieri, la decadenza opera sul piano amministrativo ed "è generalmente conseguenza dello spirare del termine o del venire a mancare delle condizioni soggettive od oggettive (carenza che può anche essere originaria del rapporto concessorio, ma scoperta dopo) necessarie per l’efficacia di provvedimenti amministrativi finalizzati a permettere ad un privato l’esercizio di attività o anche di concessioni. Ma la decadenza può anche conseguire ad inadempimenti gravi (...)". Per quanto riguarda la revoca: "è un provvedimento amministrativo che priva di efficacia durevole un altro precedente provvedimento, ed ha alla base sopravvenuti motivi di pubblico interesse, oppure un mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento revocato o, ancora, una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario".

Comunque, precisa Olivieri, questi atti di interruzione di rapporti durevoli hanno un elemento comune: "un iter procedurale che passa dalla comunicazione (se non dalla vera e propria diffida) dell’intenzione di avvalersene, con invito a rimuovere le situazioni che possono portare allo scioglimento del vincolo, per poi giungere successivamente all’adozione del provvedimento, nel rispetto dei termini previsti per consentire al concessionario di “controdedurre” e giustificare il proprio comportamento".

Maurizio Caprino specifica sempre su il Sole 24 ore, che le incognite giuridiche sono tante, “a partire dal fatto che non è mai stata mossa alcuna contestazione formale per gravi inadempienze, come richiesto in prima battuta dalla convenzione. Poi occorrerà vedere come il ministero delle Infrastrutture riuscirà a dettagliare le accuse che ora muove alla società. Potrà farlo solo con il materiale in possesso della sua Svca (Struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali, ex-Ivca, incorporato nel 2013 dopo che per decenni la vigilanza era stata discutibilmente affidata all’Anas), che non ha mai brillato per efficacia. Per esempio, i controlli sulle condizioni delle infrastrutture venivano svolti spesso da vetture in movimento, senza deviare il traffico per esami più approfonditi. La Svca, poi, non ha abbastanza personale per fronteggiare i suoi compiti istituzionali (problema comune a molti uffici ministeriali)”.

Inoltre, si legge ancora sul quotidiano, “è prevedibile che un eventuale provvedimento di revoca della concessione verrà impugnato (ndr davanti al Tar e poi al Consiglio di Stato) da Autostrade per l’Italia, aprendo un contenzioso che non potrà non essere lungo e combattuto data l’importanza della posta in palio”.

La risposta di Autostrade per l'Italia e di Atlantia

Dopo gli annunci di una possibile revoca, la società ha pubblicato una nota in cui si legge che "si dichiara fiduciosa di poter dimostrare di aver sempre correttamente adempiuto ai propri obblighi di concessionario, nell'ambito del contraddittorio previsto dalle regole contrattuali che si svolgerà nei prossimi mesi". Questa fiducia "si fonda sulle attività di monitoraggio e manutenzione svolte sulla base dei migliori standard internazionali". Nella nota la società specifica che "peraltro non è possibile in questa fase formulare alcuna ipotesi attendibile sulle cause del crollo" e dichiara che "sta lavorando alacremente alla definizione del progetto di ricostruzione del viadotto, che completerebbe in cinque mesi dalla piena disponibilità delle aree".

Anche Atlantia, che gestisce Autostrade per l'Italia, ha pubblicato un comunicato in cui si legge che, "in relazione a quanto annunciato in merito all’avvio di una procedura finalizzata alla revoca della concessione nella titolarità della controllata Autostrade per l’Italia, deve osservare che tale annuncio è stato effettuato in carenza di qualsiasi previa contestazione specifica alla concessionaria ed in assenza di accertamenti circa le effettive cause dell’accaduto". Inoltre, continua Atlantia, "pur considerando che anche nell’ipotesi di revoca o decadenza della concessione - secondo le norme e procedure nella stessa disciplinate - spetta comunque alla concessionaria il riconoscimento del valore residuo della concessione", cioè un risarcimento.

Aggiornamento 17 agosto, ore 11:30: Abbiamo aggiornato l'articolo inserendo il contenuto dell'articolo 9 bis della convenzione tra Anas e Autostrade per l'Italia e gli articoli di Marcello Clarich e Luigi Olivieri sulla differenza tra decadenza e revoca di un contratto.

Foto in anteprima via Ansa

13 Aug 15:58

La verità, vi prego, sul mais OGM

by Dario Bressanini

Come ogni estate arrivano le nuove statistiche sull’adozione degli OGM nel mondo raccolte dall’ISAAA e, per reazione, puntuali come il mio raffreddore allergico stagionale, gli immancabili comunicati stampa di chi vede gli OGM come il diavolo in persona, conditi dagli altrettanto immancabili “sondaggi” di Coldiretti. Sono sempre gli stessi: “8 Italiani su 10 …” sia che si parli di gelato, carciofi o, appunto, OGM. Probabilmente hanno un generatore automatico di sondaggi.

Giornali e agenzie di stampa ormai non fanno altro che rilanciare meccanicamente i vari comunicati senza mai approfondire. Quindi mi svesto dei panni che ultimamente sono solito portare e invece di bistecche e grano torno a parlare di OGM, facendo il punto sul mais. Usando indegnamente la forma del dialogo perché (spero) sia più sopportabile nella sua lunghezza.

Uei, ciao. Senti, ho letto il comunicato di Coldiretti. Mi spieghi un po’ la faccenda del mais OGM?

Sì certo, ma ti avviso che se ti aspetti rispostine semplici da me non le avrai. Se inizio a raccontarti la storia devi promettermi di seguirmi fino alla fine. Altrimenti non inizio neppure. Dammi almeno dieci minuti del tuo tempo altrimenti vai altrove a leggerti qualche tweet.

Va bene. Promesso. Allora, di che mais si sta parlando?

Si chiama “mais Bt”, ed è l’unico OGM autorizzato alla coltivazione in Europa, mentre sono centinaia gli OGM autorizzati all’importazione, commercio e consumo. È il segreto di pulcinella che molti prodotti tipici di cui l’Italia va giustamente fiera, dal Parmigiano reggiano al prosciutto di Parma, sono prodotti da filiere con animali alimentati a soia e mais OGM, importati.

Perché si chiama Bt?

Perché produce una proteina, normalmente prodotta dal batterio Bt (Bacillus thuringiensis) che agisce da insetticida contro alcuni specifici insetti lepidotteri, ma è completamente innocua per l’uomo e altri animali. Tanto è vero che il batterio – o le spore o la proteina – è il principale pesticida utilizzato in agricoltura biologica.

Ma questa proteina che fa?

Come ti dicevo è mortale per alcuni insetti. La pianta la produce e si difende da sola dalla piralide del mais, Ostrinia nubilalis, un insetto che scava le piante danneggiandole. Oppure dalla Sesamia nonagrioides, un insetto simile alla piralide. L’uso di questo mais riduce l’uso degli insetticidi che sono usati, anche in Italia, per proteggere il mais.

Ma mi fa male? È pericolosa?

No, come ho detto è innocua. Se ci fosse qualche rischio dovrebbero probabilmente ritirare dal mercato, per il principio di precauzione, anche la gran parte dei prodotti biologici. Più in generale non c’è più alcun dibattito scientifico sui possibili effetti nocivi di questo OGM nella comunità scientifica. È un dibattito morto e sepolto e le conclusioni condivise dalla comunità scientifica sono che questo mais non è più pericoloso dalla controparte senza quel gene. Anzi, in alcuni casi potrebbe essere più sano per il minor contenuto di micotossine cancerogene.

Già che li citi, come mai le associazioni di produttori biologici (e le catene di supermercati) sono contro gli OGM?

Certo, potrebbero benissimo stare nel loro brodo. Perché se uno coltiva rapanelli biologici dovrebbe scaldarsi tanto se qualcuno invece coltiva mais OGM? Beh, fatti la domanda, guarda i prezzi dei prodotti bio e datti la risposta ;) Se le persone hanno paura degli OGM, indistintamente, (ma anche dei prodotti convenzionali, spesso descritti quasi come “tossici”) sono disposte a spendere di più per qualche cosa che percepiscono come meno pericoloso o addirittura “più sano”. Ho detto “percepiscono”, sì.

Quindi, dicevi, è sicuro?

Almeno tanto quanto il mais non modificato. Purtroppo il dibattito pubblico in Italia è cristallizzato su questioni scientificamente ormai morte e sepolte, come appunto i possibili effetti sulla salute. Ma è ormai riconosciuto dalla comunità scientifica, e scritto in centinaia di rapporti di accademie e istituzioni scientifiche internazionali, che non c’è alcun motivo di considerare un OGM più pericoloso della pianta di partenza solo per il particolare tipo di tecnologia utilizzata per ottenerlo. Il dibattito purtroppo rimane cristallizzato su questi temi (che ripeto sono obsoleti) perché giocare sulla paura delle persone è l’unico modo per mantenere paralizzato il pubblico, e di conseguenza la politica.

Ma allora quello studio che dimostrava una pericolosità per l’uomo? I topi deformi?

Tutti i vari allarmi mediatici si sono poi rivelati delle bufale, o pieni di errori, per cui la comunità scientifica li ha poi criticati e smentiti. Ma a livello mediatico servono per mantenere alta la tensione. Non importa se poi vengono sconfessati. L’effetto c’è stato. Chi legge le smentite? E poi ti rimane sempre un po' di dubbio no? È umano. È una tecnica comunicativa ben consolidata. Alcuni studi poi sono addirittura risultati finanziati da grandi catene di supermercati, tu pensa. Comunque ragiona: tutto il dibattito pubblico in Europa verte sulla coltivazione, non sul consumo. La UE ha ritenuto che questi OGM non pongano problemi per il consumo sia degli animali che dell’uomo. Quindi sono argomenti da fumo negli occhi. Tutto chiacchiere e distintivo. Tanto è vero che mica nessuno si sogna di chiedere un blocco delle importazioni.

Ma la biodiversità di cui tanto parlano?

Se mi avessero dato un euro ogni volta che qualche personaggio pubblico cita a sproposito la biodiversità ora sarei ricco. Consiglio ai giornalisti: la prossima volta che intervistate qualcuno sugli OGM e questo esprime preoccupazioni sulla biodiversità, abbiate il coraggio di metterlo in difficoltà: “mi scusi, ma lei cosa intende esattamente con biodiversità e perché mai il mais Bt la metterebbe a rischio?”.

Ma quindi non è importante la biodiversità?

Certo che è importante, ma in altri contesti, e bisogna capire bene di cosa si parla. Ci sono vari significati che si possono dare al termine ‘biodiversità’ e si deve capirne il contesto. Può indicare il numero di specie viventi in una certa area, per esempio un campo coltivato. Da questo punto di vista l’agricoltura stessa è nemica della biodiversità, perché se in un campo coltivo cavolfiori riduco quasi a zero il numero di altre piante (che normalmente l’agricoltore non vuole e le chiama “erbacce”) e riduco anche il numero di insetti che vivevano nutrendosi di quelle piante e di animali che mangiano quegli insetti. Per non parlare degli animali che uccido con gli insetticidi. Un campo incolto ha molta più biodiversità con uno coltivato.

Ok, ma quindi com’è la biodiversità in un campo di mais Bt?

Beh, rispetto a un campo convenzionale irrorato di insetticidi teoricamente ne ha di più, visto che gli insetticidi uccidono normalmente un gran numero di specie di insetti mentre le proteine del Bt sono molto specifiche. Le coccinelle, per esempio, non vengono uccise. Solo la piralide e pochi altri insetti.

Ma il mais Bt è uno solo? Non si riduce comunque questo tipo di biodiversità?

No, sono centinaia di varietà diverse ma tutte accomunate dal gene proveniente dal Bt. Tecnicamente si parla di “evento”. Questa “leggerezza linguistica” tipica (purtroppo) degli scienziati quando si parla di OGM fa erroneamente sembrare che si produca una sola varietà di mais (o di soia, o di altri OGM) ma non è così. Quindi anche la “biodiversità genetica” è salvaguardata. E comunque questo tipo di biodiversità è preservata non sui campi coltivati ma nelle banche dei semi e del germoplasma. Dal punto di vista di questa biodiversità si dice che gli OGM sono neutri, non la alterano.

Ma quindi quando sento che l’uso del mais Bt danneggerebbe la biodiversità dei nostri prodotti alimentari?

È una cazzata. Prima di tutto perché proprio non ha senso parlare di “biodiversità” parlando di prodotti alimentari. I termini scientifici andrebbero usati in modo corretto. "Chi parla male pensa male" (cit.). E poi perché come ho detto i nostri formaggi, salumi, carne, uova, latte, yogurt e prodotti animali in genere, anche DOP, sono già prodotti con animali alimentati a OGM. Quindi di che cosa stiamo parlando?

Mi vuoi dire che in un supermercato italiano posso trovare prodotti OGM?

Certamente. Se cerchi bene trovi anche del mais OGM. Io l’ho trovato. E qui un altro prodotto. Se un prodotto è OGM è obbligatorio scriverlo in etichetta. Se invece ti stai chiedendo come mai sull’etichette di formaggi e salumi non trovi scritto “Prosciutto da maiali alimentati con mangimi OGM” è perché la regolamentazione europea lo permette. E quindi non lo fa nessuno. Ma dato che almeno l’80% dei mangimi animali italiani sono a base di OGM, pensa a quante etichette vedresti se fosse obbligatorio metterlo in etichetta.

Ma il glifosato?

Parlando di questo mais OGM c’entra come i cavoli a merenda. Anche qui, se prendessi un euro per ogni citazione “ad minchiam” di un diserbante, come è il glifosato (o se preferite all’inglese “glifosate”) quando parliamo di OGM che non c’entrano nulla con la resistenza ai diserbanti sarei già ricco. Se qualcuno in una discussione cita a sproposito il glifosato vuol dire che o è ignorante in materia oppure mente sapendo di mentire. In ogni caso, signori giornalisti, ancora una volta siete invitati a chiedere al politico di turno, o al presidente dell’associazione X: “Senta, ma mi spieghi un po’ cosa c’entra un diserbante con questo mais,”

Ma quindi spesso mi hanno raccontato delle balle?

Beh sì.

D’accordo, può essere. Ma perché mi dovrei fidare di quello che dici?

Infatti non “devi”. Ci mancherebbe! Nella scienza non ci si deve “fidare” di nessuno. Ma se vuoi approfondire personalmente l’argomento, come ho fatto io perché non mi fidavo di quello che leggevo sui giornali (e a posteriori avevo ragione, lasciamelo dire) puoi iniziare a leggere questo rapporto della Accademia Nazionale delle Scienze USA. Puoi partire da qui perché è un riassunto di migliaia di pubblicazioni scientifiche (diffida sempre di chi basa i propri argomenti su un singolo articolo, fosse pure pubblicato su Nature o Science, per non parlare dell’opinione di singoli individui, premi Nobel, singoli scienziati oppure medici). Sono 607 pagine. Buona lettura.

Hai bamblinato troppo. Give me the numbers!

Hai ragione, ci vogliono i numeri per discutere di qualsiasi tema scientifico. Ma ho aspettato perché purtroppo molti non sopportano i numeri, le discussioni quantitative. E quindi se avessi iniziato con quelli mi sarei perso il 95% dei lettori subito.

Oh, bene. Quindi, questo mais Bt è un fallimento in Europa giusto? “Storico flop” dice Coldiretti.

Beh, se parliamo di fallimento politico certamente. Perché in molte nazioni europee, compresa l’Italia, non è possibile coltivarlo (però lo importiamo, l’ho già detto). E questa è una decisione politica. Però ovunque sia stata data la possibilità legale di coltivarlo, questo è stato adottato con piacere dagli agricoltori. Come in Spagna. E così sarebbe anche in Italia. Non a caso l’Associazione Italiana Maiscoltori ha più volte chiesto di poter coltivare il mais Bt. Senza successo.

E quindi?

E quindi le percentuali di crescita o decrescita nella UE hanno di per sé poco significato: non misurano tanto la propensione degli agricoltori alla coltivazione di OGM quanto gli effetti del clima politico, che influenza le scelte economiche e commerciali attraverso l’autorizzazione o meno a coltivare determinati OGM. Nella UE solo la Spagna ha coltivazioni importanti di mais OGM quindi in realtà si sta parlando solo di quello, della coltivazione di mais Bt in Spagna. E basta. E le variazioni percentuali di ettari coltivati a mais Bt si devono ovviamente interpretare anche alla luce dell’andamento generale della coltivazione del mais, che varia di anno in anno come tutte le altre colture.

Ma insomma, questi numeri?

Eccoli. Nel 2017 la Spagna ha coltivato 124.227 ettari di mais Bt. Nel 2016 ne aveva coltivati 129.081

Ah ecco, un calo netto del 3,8%. Ha ragione Coldiretti! Muti gli scienziati!1‼

Beh sì, 100*(129081-124227)/129081 = 3,76. Però sai come si dice: “CI sono tre tipi di bugie. Le bugie semplici, le dannate bugie e la statistica”. Funziona così la disinformazione: se qualcosa tira acqua al tuo mulino la citi, altrimenti no. Che penseresti se io lanciassi un dado e ti comunicassi il risultato tutte e solo le volte che esce un numero dispari? Se vai a vedere i comunicati stampa dello scorso anno vedrai che non hanno dato lo stesso spazio alla notizia che le coltivazioni in Spagna erano passate da 107749 a 129081, con un aumento del 20%. Notizia che invece, specularmente, si trovava enfatizzata in molti siti pro-OGM. E l’anno prima ancora Coldiretti faceva notare come ci fosse stato un calo del 18% (“Flop OGM”, adorano la parola "Flop") rispetto all’anno prima.

Mi stai confondendo con tutti questi numeri. Fammi CAPIRE!

Hai ragione. Un grafico è meglio di cento parole e mille numeri, quindi ora ti mostro il grafico dell’andamento della coltivazione di mais Bt in Spagna a partire dal 1998, anno della prima coltivazione.

2018 mais bt in Spagna

Sbam!

Già. Il trend generale è sicuramente in crescita. Segno che gli agricoltori spagnoli sono soddisfatti. Cosa per altro confermata da vari sondaggi locali. Fino al 2013, anno di adozione record, il mais OGM in Spagna è cresciuto. Successivamente pare essersi stabilizzato, fluttuando attorno a un valore medio.

Fonte: http://www.mapama.gob.es/es/estadistica/...

Però nel 2017 è diminuito!

Sì certo, ma tieni conto che è dal 2013 che l’area totale coltivata a mais è in diminuzione. Sono le normali dinamiche del mercato. Quest’anno coltivo mais ma magari l’anno prossimo coltivo altro perché mi conviene di più. Quindi se vogliamo capire davvero se il mais Bt convenga (e piaccia) o meno agli agricoltori spagnoli è più utile guardare la percentuale di adozione rispetto alle superfici totali coltivate a mais, piuttosto che i numeri assoluti.

Vabbè, ormai sono rassegnato, risparmiami il grafico degli ettari totali di mais e vai al punto

Eccolo il punto, ma ti ricordo che mi hai chiesto tu i numeri. E hai fatto bene perché di leggere discorsi “un tanto al chilo” non se ne può più. Questo è il grafico della percentuale di mais Bt in Spagna rispetto al totale. Ho preso i dati dal ministero dell’agricoltura e ambiente spagnolo.

maisbtpercentuale

Come vedi nel corso degli anni sempre più maiscoltori spagnoli hanno adottato il mais OGM che nel 2017 è arrivato a circa il 37% del totale. Questo sicuramente non l’hai letto nel comunicato di Coldiretti.

No, in effetti no

Pensa che nonostante nel 2017 in valore assoluto gli ettari di mais Bt siano diminuiti, così come sono diminuiti gli ettari totali, l’adozione è addirittura un po’ aumentata rispetto al 2016.

Ma non è il 100%!

No, è non ha senso che lo diventi. Per due motivi. Il primo è che i semi OGM costano di più di quelli convenzionali. Scusa un attimo prima che continui: non è che ti devo spiegare che anche chi semina mais convenzionale nel 99,9% dei casi lo compra ogni anno sempre dalle stesse multinazionali sementiere vero? Che vendono mais OGM, mais convenzionale o persino mais biologico. Lo sai vero che i maiscoltori mica si fanno i semi da soli, no? Quella è l’immagine oleografica immaginaria del tipico cittadino che a malapena tiene la piantina di basilico sulla finestra ma si vanta di fare urban agriculture.

Ahem, coff coff, no no figurati! (però il mio basilico antic…) dicevi?

Dicevo che poiché i semi OGM costano di più degli altri, li comprano solo gli agricoltori che ritengono di ricavarne un vantaggio. Per esempio coloro che coltivano in zone a più alta infestazione di insetti parassiti. In particolare agli spagnoli interessa tenere sotto controllo Sesamia nonagrioides. Se l’infestazione è bassa o se il costo degli insetticidi convenzionali è più basso del costo aggiuntivo dei semi ogm o se i prezzi di mercato del mais sono bassi non conviene coltivare mais Bt. Non a caso in Spagna l’adozione di questo mais è concentrato nel Nord Est, nella valle dell’Ebro, dove più di tre quarti del mais è OGM. Evidentemente altrove non necessariamente conviene. Mica sono scemi gli agricoltori. Vuoi vedere i dati?

No no grazie, ci credo. La seconda ragione qual è?

Beh, quel mais è vecchio. Obsoleto. In realtà mi stupisco che venga ancora coltivato. Ma d’altra parte in Europa non ne hanno approvati altri quindi non è che ci siano molte alternative.

Non capisco, che vuol dire che “è vecchio”?

È il mais coltivato per la prima volta nel 1996 in USA. 22 anni fa. Ormai negli USA non lo coltiva praticamente più nessuno perché ne sono stati sviluppati altri più performanti. Quasi tutte le varietà coltivate di vegetali, quelle che poi compri al supermercato, durano solo pochi anni per poi essere rimpiazzate da altre con caratteristiche migliorate. Tu non te ne accorgi perché non lo scrivono, e pensi di mangiare le stesse melanzane che mangiava tua nonna. Ma non è così. Quando compri una scatola di riso Arborio non crederai davvero di mangiare quella varietà vero? Ma sto divagando.

Già. Arriva al punto!

Brevemente: la Spagna inizia nel 1998 a coltivare mais Bt. Ma non quello che usa oggi. Nel 1997 l’Unione Europea aveva approvato il mais Bt evento 176, sviluppato dalla multinazionale svizzera Syngenta. In Spagna ne piantano 22.000 ettari (col nome commerciale di Compa CB). L’adozione è piuttosto bassa, il 5%, e rimane tale fino al 2003. Intanto la UE ha approvato un altro mais Bt: il mais MON810 sviluppato dalla Monsanto. Gli agricoltori spagnoli iniziano a coltivare quello, migliore del Bt176 che verrà abbandonando e poi tolto dal mercato. Nel 2006 è circa il 16% del mais spagnolo. E poi come hai visto nel grafico qui sopra continua a crescere, anche se non in modo rapidissimo. Segno che non ha le caratteristiche adatte per essere appetibile da molti più agricoltori. D’altra parte, come ti ho detto, l’Unione Europea per dissidi politici interni a un certo punto ha smesso totalmente di approvare nuovi OGM per la coltivazione. Mentre ha continuato ad approvarne per l’importazione e il consumo interno. Altrimenti come faceva a produrre tutti i suoi prodotti tipici?

Ma quindi all’estero ce ne sono altri che noi possiamo importare ma non coltivare?

Certamente. Mettiti comodo che ormai ti spiego tutto fino alla fine. In fondo l’hai voluto tu. Quello che vedi è il grafico con le percentuali di adozione del mais Bt in USA a partire dal 1996, quando è stato coltivato per la prima volta (fonte:USDA)

mais bt solo

Come vedi è cresciuto fino al 1998, poi è calato ed è rimasto costante fino al 2001. Segno che la maggior parte dei maiscoltori americani non lo riteneva poi tanto interessante. L’adozione del cotone Bt per esempio è stata molto più rapida. Solo dopo il 2002 è ricominciato a crescere. Vuoi sapere perché?

Aspetta! Cresce ma poi cala fino ad arrivare quasi a zero. Hanno ragione: è un fallimento anche in USA! Sveglia!11!!

Calma, fammi prima spiegare l’aumento che mi serve da chiusa per il discorso del mais spagnolo. Hanno adottato quel mais solo gli agricoltori che avevano forti problemi di attacchi di piralide. Chi non aveva grossi problemi con la piralide (un aspetto che dipende molto dal clima) non lo ha coltivato, perché magari aveva problemi con altri insetti contro cui il MON810 era inefficace, o aveva in generale poche difficoltà dagli insetti e invece il problema principale erano le erbe infestanti. Vuoi sapere cosa è successo nel 2002?

Non credo di poterti impedire di dirmelo, vero?

Ovviamente no :-) . Nel 2002 è stato annunciato un nuovo mais Bt con un nuovo evento, il MON863, disponibile dal 2003, che proteggeva le piante nei confronti di un altro insetto che assillava i maiscoltori: la diabrotica (Diabrotica virgifera virgifera). Chi aveva problemi di diabrotica ha iniziato ad usarlo, contribuendo ad aumentare l’adozione del mais Bt. Questo mais, come altri che sono seguiti, non è mai stato autorizzato per la coltivazione nella UE. Ecco perché prima ti dicevo che in Spagna hanno a disposizione solo quella vecchia carretta, e se la fanno andare bene.

Va bene, ammetto che il mais resistente alla Diabrotica potrebbe essere interessante persino da noi. Ma non capisco perché nel grafico che mi hai mostrato l’adozione cala quasi a zero. Non dirmi che in USA ora è tutto mais biologico?

Ma figurati! Guarda, questo è il grafico dell’adozione di tutto il mais OGM in USA

mais totale usa

Da qualche anno è stabile al 92%. Probabilmente ha raggiunto la saturazione.

Non capisco. Ma il grafico di prima scendeva…

Quello era il grafico del solo mais Bt. Esistono anche altri tipi di mais geneticamente modificati, mai approvati alla coltivazione in Europa. Ti dicevo prima che per alcuni agricoltori il problema sono le erbe infestanti, e infatti anche l’adozione del mais solo tollerante agli erbicidi (HT) è aumentato nel tempo.

mais ht

Ho capito. Anche questo dal 2007 diminuisce. Lasciami indovinare: c’è un terzo tipo di mais OGM.

Indovinato. Sono sempre più diffusi gli OGM che possiedono caratteristiche diverse. Ora è sul mercato anche un mais che sopporta meglio la siccità per esempio. Praticamente tutti i coltivatori poi hanno problemi con le erbacce, e non a caso il 50% dei pesticidi usati al mondo sono diserbanti, quindi sono diventati sempre più utilizzati i mais che combinano la resistenza agli insetti, o altre caratteristiche, con la tolleranza a vari diserbanti ad ampio spettro. Si chiamano “stacked”, “impilati”. Eccoti il grafico.

mais stacked

Lo so, lo so! Questi non si possono coltivare in Europa ma li importiamo.

Bravo! Come ti ho detto quel vecchio mais Bt che non resiste neppure alla diabrotica è l’unico OGM coltivabile in Europa. Almeno per ora.

Le multinazionali non saranno contente hehehe! (Sai, non mi stanno simpatiche)

Guarda, magari mi sbaglio ma secondo me almeno per mais e soia se ne fregano. Noi, intesi come Unione Europea, acquistiamo comunque un sacco di mais e soia OGM. Che poi siano coltivati in Europa oppure altrove, quei semi le multinazionali li hanno venduti comunque, no? E una volta venduti a loro cosa interessa che siano coltivati e utilizzati in Europa, oppure coltivati in Brasile, Argentina e USA e poi utilizzati in Europa? Si chiama globalizzazione.

In effetti… Comunque con tutto quel mais resistente agli erbicidi l’uso di diserbanti sarà schizzato

In realtà no. Almeno sul mais. Non è che prima non si usassero i diserbanti. Semplicemente se ne usavano altri. I dati dell’USDA indicano che dal 1996 l’uso dei diserbanti sul mais è diminuito, per poi tornare ad aumentare un po’.

USDA herbicide use

Però se vogliamo parlare di diserbanti dobbiamo stare qui un altro paio di ore, visto che comunque non ha molto senso confrontare e misurare i diserbanti a peso, senza conoscere il loro effetto e la loro tossicità. Hai un altro paio d’ore?

No, per oggi ho già dato.

Ecco. Anche perché, come tu hai ricordato, non sono coltivabili in Europa e quindi sono discorsi un po’ lontani dalla nostra realtà. Non i diserbanti eh, quelli ovviamente li utilizziamo. Intendo gli OGM resistenti ai diserbanti. Che comunque importiamo. Ma mi sto ripetendo. È l’età. E poi comunque coltiviamo anche noi in Italia piante rese resistenti ad alcuni diserbanti. Come il riso. O il girasole. Nel 2015 una risaia italiana su tre coltivava riso con un gene per resistere a un diserbante. Però non è un OGM. Ma ne parliamo un’altra volta.

Grazie per l’esauriente spiegazione. Ci abbiamo messo più dei 10 minuti che avevi detto, e non sono convinto di aver colto proprio tutto. Ma grazie.

Prego. Mi piace raccontare cose che difficilmente si trovano spiegate altrove. Altrimenti mi eviterei la fatica.

Tu sai che il “Ki ti paka” è dietro l’angolo, vero? Non appena si diffonderà in rete questo pippone che hai scritto qualcuno ti accuserà di “Lesa coldirettità” per chissà quali loschi motivi.

Beh (facendo spallucce), sai cosa scrissero Fruttero e Lucentini ne “La prevalenza del cretino”?

«Sconfiggerlo [il cretino] è ovviamente impossibile. Odiarlo è inutile. Dileggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d'inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni. [..] Il cretino è imperturbabile, la sua forza vincente sta nel fatto di non sapere di essere tale, di non vedersi né mai dubitare di sé. Colpito dalle lance nostre o dei pochi altri ostinati partecipanti alla giostra, non cadrà mai dal palo, girerà su se stesso all'infinito svelando per un istante rotatorio il ghigno del delirio, della follia».

Ma a te cosa ti frega di assumerti la bega di stare lì a spiegare il mais OGM?

Guarda [canticchiando un medley], godrei molto di più nell’occuparmi di cottura delle bistecche, o al limite di cristalli di sale. Ma sui giornali, con Coldiretti che pontificava, Greenpeace fra l'assenzio cantava, mi sono stufato di sentir sparare cazzate.

Io scrivo quando posso e come posso, quando ne ho voglia senza applausi o fischi. Vendere o no non passa fra i miei rischi. E quindi tiro avanti e non mi svesto del camice che son solito portare. Ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare, e arrivederci a presto!

Dario Bressanini

13 Aug 14:57

Getting to the Point: Asymptotic Expansions in the Wolfram Language

by Devendra Kapadia

Asymptotic expansions have played a key role in the development of fields such as aerodynamics, quantum physics and mathematical analysis, as they allow us to bridge the gap between intricate theories and practical calculations. Indeed, the leading term in such an expansion often gives more insight into the solution of a problem than a long and complicated exact solution. Version 11.3 of the Wolfram Language introduces two new functions, AsymptoticDSolveValue and AsymptoticIntegrate, which compute asymptotic expansions for differential equations and integrals, respectively. Here, I would like to give you an introduction to asymptotic expansions using these new functions.

The history of asymptotic expansions can be traced back to the seventeenth century, when Isaac Newton, Gottfried Leibniz and others used infinite series for computing derivatives and integrals in calculus. Infinite series continued to be used during the eighteenth century for computing tables of logarithms, power series representations of functions and the values of constants such as π. The mathematicians of this era were aware that many series that they encountered were divergent. However, they were dazzled by the power of divergent series for computing numerical approximations, as illustrated by the Stirling series for Gamma, and hence they adopted a pragmatic view on the issue of divergence. It was only in the nineteenth century that Augustin-Louis Cauchy and others gave a rigorous theory of convergence. Some of these rigorists regarded divergent series as the devil’s invention and sought to ban their use in mathematics forever! Fortunately, eighteenth-century pragmatism ultimately prevailed when Henri Poincaré introduced the notion of an asymptotic expansion in 1886.

Asymptotic expansions refer to formal series with the property that a truncation of such a series after a certain number of terms provides a good approximation for a function near a point. They include convergent power series as well as a wide variety of divergent series, some of which will appear in the discussion of AsymptoticDSolveValue and AsymptoticIntegrate that follows.

As a first example for AsymptoticDSolveValue, consider the linear differential equation for Cos:

deqn={(y^′′)
&#10005
deqn={(y^′′)[x]+y[x]==0,y[0]==1,(y^′)[0]==0};

The following input returns a Taylor series expansion up to order 8 around 0 for the cosine function:

sol = AsymptoticDSolveValue
&#10005
sol = AsymptoticDSolveValue[deqn, y[x], {x, 0, 8}]

Here is a plot that compares the approximate solution with the exact solution :

Plot
&#10005
Plot[Evaluate[{sol, Cos[x]}], {x, 0, 3 π}, PlotRange -> {-2, 5},PlotLegends->"Expressions"]

Notice that the Taylor expansion agrees with the exact solution for a limited range of near 0 (as required by the definition of an asymptotic expansion), but then starts to grow rapidly due to the polynomial nature of the approximation. In this case, one can get progressively better approximations simply by increasing the number of terms in the series. The approximate solution then wraps itself over larger portions of the graph for the exact solution:

nsol
&#10005
nsol[n_]:=Callout[AsymptoticDSolveValue[{y''[x]+y[x]==0,y[0]==1,y'[0]==0},y[x],{x,0,n}],n]
Plot
&#10005
Plot[{nsol[4],nsol[8],nsol[12],nsol[16],nsol[20],Cos[x]}//Evaluate,{x,0,3Pi},PlotRange->{-2,5}]

Next, consider Bessel’s equation of order , which is given by:

besseleqn= x^2 (y^′′)
&#10005
besseleqn= x^2 (y^′′)[x]+x (y^′)[x]+(x^2-1/4) y[x]==0;

This linear equation has a singularity at in the sense that when , the order of the differential equation decreases because the term in becomes 0. However, this singularity is regarded as a mild problem because dividing each term in the equation by results in a pole of order 1 in the term for and a pole of order 2 for . We say that is a regular singular point for the differential equation and, in such cases, there is a Frobenius series solution that is computed here:

sol=AsymptoticDSolveValue
&#10005
sol=AsymptoticDSolveValue[besseleqn,y[x],{x,0,24}]

Notice that there are fractional powers in the solution, and that only the second component has a singularity at . The following plot shows the regular and singular components of the solution:

Plot
&#10005
Plot[{sol /. {C[1] -> 1, C[2] -> 0}, sol /. {C[1] -> 0, C[2] ->1}}//Evaluate, {x, 0,3π}, PlotRange -> {-2, 2}, WorkingPrecision -> 20,PlotLegends->{"regular solution", "singular solution"}]

These solutions are implemented as BesselJ and BesselY, respectively, in the Wolfram Language, with a particular choice of constant multiplying factor InlineMath:

Series
&#10005
Series[{BesselJ[1/2,x],-BesselY[1/2,x]},{x,0,8}]//Normal

As a final example of a linear differential equation, let us consider the Airy equation, which is given by:

airyode=(y^′′)
&#10005
airyode=(y^′′)[x]-x y[x]==0;

This equation has an irregular singular point at , which may be seen by setting , and then letting approach 0, so that approaches . At such a point, one needs to go beyond the Frobenius scale, and the solution consists of asymptotic series with exponential factors:

AsymptoticDSolveValue
&#10005
AsymptoticDSolveValue[airyode, y[x], {x, ∞, 3}]

The components of this solution correspond to the asymptotic expansions for AiryAi and AiryBi at Infinity:

s1 = Normal
&#10005
s1 = Normal[Series[AiryAi[x], {x, ∞, 4}]]
s2 = Normal
&#10005
s2 = Normal[Series[AiryBi[x], {x, ∞, 4}]]

The following plot shows that the approximation is very good for large values of :

Plot
&#10005
Plot[Evaluate[{AiryAi[x], AiryBi[x], s1, s2}], {x, -3, 3}, PlotLegends -> {AiryAi[x], AiryBi[x], "s1", "s2"}, PlotStyle -> Thickness[0.008]]

The asymptotic analysis of nonlinear differential equations is a very difficult problem in general. Perhaps the most useful result in this area is the Cauchy–Kovalevskaya theorem, which guarantees the existence of Taylor series solutions for initial value problems related to analytic differential equations. AsymptoticDSolveValue computes such a solution for the following first-order nonlinear differential with an initial condition. Quiet is used to suppress the message that there are really two branches of the solution in this case:

eqn={3 (y^′)
&#10005
eqn={3 (y^′)[x]^2+4 x (y^′)[x]-y[x]+x^2==0,y[0]==1};
sol=AsymptoticDSolveValue
&#10005
sol=AsymptoticDSolveValue[eqn, y[x],{x,0,37}]//Quiet

Notice that only three terms are returned in the solution shown, although 37 terms were requested in the input. This seems surprising at first, but the confusion is cleared when the solution is substituted in the equation, as in the following:

Evaluate[sol]
eqn /. {y -> Function[{x}, Evaluate[sol]]} // Simplify

Thus, the asymptotic expansion is actually an exact solution! This example shows that, occasionally, asymptotic methods can provide efficient means of finding solutions belonging to particular classes of functions. In that example, the asymptotic method gives an exact polynomial solution.

The examples that we have considered so far have involved expansions with respect to the independent variable . However, many problems in applied mathematics also involve a small or large parameter ϵ, and in this case, it is natural to consider asymptotic expansions with respect to the parameter. These problems are called perturbation problems and the parameter is called the perturbation parameter, since a change in its value may have a dramatic effect on the system.

Modern perturbation theory received a major impetus after the German engineer Ludwig Prandtl introduced the notion of a boundary layer for fluid flow around a surface to simplify the Navier–Stokes equations of fluid dynamics. Prandtl’s idea was to divide the flow field into two regions: one inside the boundary layer, dominated by viscosity and creating the majority of the drag; and one outside the boundary layer, where viscosity can be neglected without significant effects on the solution. The following animation shows the boundary layer in the case of smooth, laminar flow of a fluid around an aerofoil.

Prandtl’s work revolutionized the field of aerodynamics, and during the decades that followed, simple examples of perturbation problems were created to gain insight into the difficult mathematics underlying boundary layer theory. An important class of such examples are the so-called singular perturbation problems for ordinary differential equations, in which the order of the equation decreases when the perturbation parameter is set to 0. For instance, consider the following second-order boundary value problem:

eqn={ϵ (y^′′)
&#10005
eqn={ϵ (y^′′)[x]+2 (y^′)[x]+y[x]==0,y[0]==0,y[1]==1/2};

When ϵ is 0, the order of the differential equation decreases from 2 to 1, and hence this is a singular perturbation problem. Next, for a fixed small value of the parameter, the nature of the solution depends on the relative scales for and , and the solution can be regarded as being composed of a boundary layer near the left endpoint 0, where ϵ is much larger than , and an outer region near the right endpoint 1, where is much larger than . For this example, AsymptoticDSolveValue returns a perturbation solution with respect to :

psol = AsymptoticDSolveValue
&#10005
psol = AsymptoticDSolveValue[eqn, y[x], x, {ϵ, 0, 1}]

For this example, an exact solution can be computed using DSolveValue as follows:

dsol = DSolveValue
&#10005
dsol = DSolveValue[eqn, y[x], x]

The exact solution is clearly more complicated than the leading term approximation from the perturbation expansion, and yet the two solutions agree in a very remarkable manner, as seen from the plots shown here (the exact solution has been shifted vertically by 0.011 to distinguish it from the approximation!):

Plot
&#10005
Plot[Evaluate[{psol,dsol+0.011}/. {ϵ->1/30}],{x,0,1},PlotStyle->{Red,Blue}]

In fact, the approximate solution approaches the exact solution asymptotically as ϵ approaches 0. More formally, these solutions are asymptotically equivalent:

AsymptoticEquivalent
&#10005
AsymptoticEquivalent[dsol, psol,ϵ->0,Direction->-1,Assumptions->0

Asymptotic expansions also provide a powerful method for approximating integrals involving a parameter. For example, consider the following elliptic integral, which depends on the parameter
:

Integrate
&#10005
Integrate[1/Sqrt[1-m Sin[θ]^2],{θ,0,π/2},Assumptions->0

The result is an analytic function of for small values of this parameter, and hence one can obtain the first five terms, say, of the Taylor series expansion using Series:

Normal
&#10005
Normal[Series[%, {m, 0, 5}]]

The same result can be obtained using AsymptoticIntegrate by specifying the parameter in the third argument as follows:

AsymptoticIntegrate
&#10005
AsymptoticIntegrate[1/Sqrt[1-m Sin[θ]^2],{θ,0,π/2},{m,0,5}]

This technique of series expansions is quite robust and applies to a wide class of integrals. However, it does not exploit any specific properties of the integrand such as its maximum value, and hence the approximation may only be valid for a small range of parameter values.

In 1812, the French mathematician Pierre-Simon Laplace gave a powerful method for computing the leading term in the asymptotic expansion of an exponential integral depending on a parameter, whose integrand has a sharp peak on the interval of integration. Laplace argued that such an approximation could be obtained by performing a series expansion of the integrand around the maximum, where most of the area under the curve is likely to be concentrated. The following example illustrates Laplace’s method for an exponential function with a sharp peak at :

f
&#10005
f[x_]:=E^(-ω (x^2-2 x)) (1+x)^(5/2)
Plot
&#10005
Plot[f[x] /. {ω -> 30}, {x, 0, 10}, PlotRange -> All, Filling -> Axis, FillingStyle -> Yellow]

Laplace’s method gives the following simple result for the leading term in the integral of from 0 to Infinity, for large values of the parameter :

AsymptoticIntegrate
&#10005
AsymptoticIntegrate[f[x], {x, 0, ∞}, {ω, ∞, 1}]

The following inputs compare the value of the approximation for with the numerical result given by NIntegrate:

% /. {ω -> 30.}
&#10005
% /. {ω -> 30.}
NIntegrate
&#10005
NIntegrate[Exp[-30 (x^2-2 x)] (1+x)^(5/2),{x,0,∞}]

The leading term approximation is reasonably accurate, but one can obtain a better approximation by computing an extra term:

AsymptoticIntegrate
&#10005
AsymptoticIntegrate[f[x], {x, 0, ∞}, {ω, ∞, 2}]

The approximate answer now agrees very closely with the result from NIntegrate:

% /. {ω -> 30.}
&#10005
% /. {ω -> 30.}

The British mathematicians Sir George Gabriel Stokes and Lord Kelvin modified Laplace’s method so that it applies to oscillatory integrals in which the phase (exponent of the oscillatory factor) depends on a parameter. The essential idea of their method is to exploit the cancellation of sinusoids for large values of the parameter everywhere except in a neighborhood of stationary points for the phase. Hence this technique is called the method of stationary phase. As an illustration of this approach, consider the oscillatory function defined by:

f
&#10005
f[x_]:=E^(I ω Sin[t])

The following plot of the real part of this function for a large value of shows the cancellations except in the neighborhood of , where has a maximum:

Plot
&#10005
Plot[Re[f[x]/. {ω->50}],{t,0,π},Filling->Axis,FillingStyle->Yellow]

The method of stationary phase gives a first-order approximation for this integral:

int=AsymptoticIntegrate
&#10005
int =AsymptoticIntegrate[f[t],{t,0,π},{ω,∞,1}]

This rather simple approximation compares quite well with the result from numerical integration for a large value of :

int/. ω->5000.
&#10005
int/. ω->5000.
NIntegrate
&#10005
NIntegrate[Exp[I 5000 Sin[t]],{t,0,π},MinRecursion->20,MaxRecursion->20]

As noted in the introduction, a divergent asymptotic expansion can still provide a useful approximation for a problem. We will illustrate this idea by using the following example, which computes eight terms in the expansion for an integral with respect to the parameter :

aint=AsymptoticIntegrate
&#10005
aint=AsymptoticIntegrate[E^(-t)/(1+x t),{t,0,Infinity},{x,0,8}]

The term in the asymptotic expansion is given by:

a
&#10005
a[n_]:=(-1)^n n! x^n
Table
&#10005
Table[a[n],{n,0,8}]

SumConvergence informs us that this series is divergent for all nonzero values of :

SumConvergence
&#10005
SumConvergence[a[n],n]

However, for any fixed value of sufficiently near 0 (say, ), the truncated series gives a very good approximation:

aint/.x-> 0.05
&#10005
aint/.x-> 0.05
NIntegrate
&#10005
NIntegrate[E^(-t)/(1 + 0.05 t),{t,0,Infinity}]

On the other hand, the approximation gives very poor results for the same value of when we take a large number of terms, as in the case of 150 terms:

AsymptoticIntegrate
&#10005
AsymptoticIntegrate[E^(-t)/(1 + x t), {t, 0, Infinity}, {x, 0, 150}]/.{x-> 0.05`20}

Thus, a divergent asymptotic expansion will provide excellent approximations if we make a judicious choice for the number of terms. Contrary to the case of convergent series, the approximation typically does not improve with the number of terms, i.e. more is not always better!

Finally, we note that the exact result for this integral can be obtained either by using Integrate or Borel regularization:

Integrate
&#10005
Integrate[E^(-t)/(1+x t),{t,0,Infinity},Assumptions-> x>0]
Sum
&#10005
Sum[a[n],{n,0,Infinity},Regularization->"Borel"]

Both these results give essentially the same numerical value as the asymptotic expansion with eight terms:

{%,%%}/.x-> 0.05
&#10005
{%,%%}/.x-> 0.05

In connection with the previous example, it is worth mentioning that Dutch mathematician Thomas Jan Stieltjes studied divergent series related to various integrals in his PhD thesis from 1886, and is regarded as one of the founders of asymptotic expansions along with Henri Poincaré.

As a concluding example for asymptotic approximations of integrals, consider the following definite integral involving GoldenRatio, which cannot be done in the sense that an answer cannot presently be found using Integrate:

Integrate
&#10005
Integrate[1/(Sqrt[1+x^4](1+x^GoldenRatio)),{x,0,∞}]

This example was sent to me by an advanced user, John Snyder, shortly after the release of Version 11.3. John, who is always interested in trying new features after each release, decided to try the example using AsymptoticIntegrate after replacing GoldenRatio with a parameter α, as shown here:

sol=AsymptoticIntegrate
&#10005
sol=AsymptoticIntegrate[1/(Sqrt[1+x^4](1+x^α)),{x,0,∞},{α,0,4}]

He noticed that the result is independent of α, and soon realized that the GoldenRatio in the original integrand is just a red herring. He confirmed this by verifying that the value of the approximation up to 80 decimal places agrees with the result from numerical integration:

N
&#10005
N[sol, 80]
NIntegrate
&#10005
NIntegrate[1/(Sqrt[1+x^4](1+x^GoldenRatio)),{x,0,∞},WorkingPrecision->80]

Finally, as noted by John, the published solution for the integral is exactly equal to the asymptotic result. So AsymptoticIntegrate has allowed us to compute an exact solution with essentially no effort!

Surprising results such as this one suggest that asymptotic expansions are an excellent tool for experimentation and discovery using the Wolfram Language, and we at Wolfram look forward to developing functions for asymptotic expansions of sums, difference equations and algebraic equations in Version 12.

I hope that you have enjoyed this brief introduction to asymptotic expansions and encourage you to download a trial version of Version 11.3 to try out the examples in the post. An upcoming post will discuss asymptotic relations, which are used extensively in computer science and elsewhere.


Download this post as a Wolfram Notebook.
09 Aug 12:50

Voting Software

There are lots of very smart people doing fascinating work on cryptographic voting protocols. We should be funding and encouraging them, and doing all our elections with paper ballots until everyone currently working in that field has retired.
08 Aug 15:18

the glorious new master race

glorious_tesla_gaming_master_race
06 Aug 14:35

Complex Numbers

I'm trying to prove that mathematics forms a meta-abelian group, which would finally confirm my suspicions that algebreic geometry and geometric algebra are the same thing.
31 Jul 09:49

10 physics facts you should have learned in school but probably didn’t

by Sabine Hossenfelder
[Image: Dreamstime.com] 1. Entropy doesn’t measure disorder, it measures likelihood. Really the idea that entropy measures disorder is totally not helpful. Suppose I make a dough and I break an egg and dump it on the flour. I add sugar and butter and mix it until the dough is smooth. Which state is more orderly, the broken egg on flour with butter over it, or the final dough? I’d go for
30 Jul 12:21

Photo













30 Jul 12:09

Peer Review

Your manuscript "Don't Pay $25 to Access Any of the Articles in this Journal: A Review of Preprint Repositories and Author Willingness to Email PDF Copies for Free" has also been rejected, but nice try.
27 Jul 10:15

Saturday Morning Breakfast Cereal - The Best

by tech@thehiveworks.com


Click here to go see the bonus panel!

Hovertext:
Physicists would love Heaven if they ever went there.


Today's News:
20 Jul 11:24

Come si distingue un genio incompreso da un ciarlatano

by Roberta Villa

M etti un giovane medico, arrivato da fuori, che riesce là dove commissioni d’inchiesta su commissioni d’inchiesta hanno fallito. Uno che riesce a spiegare perché nel reparto dove si addestrano i futuri luminari della medicina le partorienti muoiono come mosche, mentre dove si formano le ostetriche no, ed escogita anche un rimedio semplice, efficace e abbastanza economico per evitarlo. Lo fa però affermando implicitamente che in qualche caso la medicina “ufficiale” può fare più male che bene.

Un’onta per la classe medica, non solo di allora. Sostenere che tra le donne che partoriscono in casa i tassi di mortalità sono largamente inferiori a quelli registrati nelle corsie di quella stessa prestigiosa clinica universitaria di Vienna che studenti di tutta Europa ambiscono a frequentare, inserendosi in lunghe liste di attesa. Uno scandalo. Aggiungici un carattere poco diplomatico, che porta il nostro eroe a scagliarsi con violenza contro i superiori che non gli credono, arrivando ad accusarli, con toni accesi e violenti, di essere addirittura degli assassini. E per finire, inserisci tutto in un contesto storico, intorno al 1848, l’anno che l’Europa ricorda come “primavera dei popoli”, in cui l’Ungheria, come altri Paesi, scalpitava sotto il dominio austriaco: l’ebreo Ignaz Semmelweiss a Buda e a Pest, allora ancora separate, era guardato con sospetto per il cognome che tradiva origini tedesche, ma a Vienna, nella capitale dell’Impero, era inequivocabilmente bollato come ungherese, e quindi potenzialmente un ribelle. Una ragione in più di ostilità verso chi pretendeva di mettere in discussione procedure consolidate nel tempo, fino al punto di estrometterlo dal posto di lavoro. Se alle sue stesse conclusioni fosse arrivato un attempato professore austriaco riconosciuto dall’establishment accademico, uno stimato medico di Corte, è facilmente ipotizzabile che la reazione sarebbe stata diversa.

Non sembra la storia di tanti sostenitori di pseudomedicine più o meno alternative, isolati e osteggiati dalla comunità scientifica, additati come pericolosi ciarlatani? Oggi Semmelweiss, di cui ricordiamo in questi giorni il bicentenario della nascita, è ricordato come il “salvatore delle madri”. Se già qualcuno prima di lui aveva intuito la possibilità che la febbre puerperale fosse contagiosa, a lui si riconosce il merito di aver individuato per primo un metodo antisettico, la disinfezione delle mani con cloruro di calce, capace di impedire la trasmissione di quelle entità invisibili che lui chiamava “particelle cadaveriche”. La microbiologia era di là da venire, microrganismi non ne poteva vedere, ma l’odore che restava sulle mani di chi aveva effettuato un’autopsia, nonostante il lavaggio con acqua e sapone, testimoniava che “qualcosa” ancora restasse attaccato alla pelle dell’operatore. Ci sarebbero voluti ancora molti anni prima che Louis Pasteur elaborasse la sua “teoria dei germi della malattia”, individuando la presenza di microrganismi invisibili come causa delle infezioni, e prima che il chirurgo scozzese Joseph Lister rendesse più sicure le pratiche chirurgiche introducendo l’antisepsi attraverso il lavaggio di routine delle mani con acido fenico.

Oggi Semmelweiss è ricordato come il “salvatore delle madri”: ha il merito di aver individuato un metodo antisettico capace di impedire la trasmissione della febbre puerperale.

Chi ci dice allora che quelli oggi considerati ciarlatani non siano precursori e innovatori, a cui le conoscenze della scienza attuale ancora non sono in grado di fornire un supporto teorico, ma che un domani saranno portati agli onori degli altari per la loro lungimiranza?

Il metodo, sostanzialmente. Insieme a qualche altro piccolo ulteriore dettaglio che ci permette di distinguere i geni incompresi della scienza e della medicina come Semmelweiss, appunto, dai tanti imbroglioni o visionari che da sempre cercano di arricchirsi rifilando agli ammalati olio di serpente, acqua fresca dinamizzata o svariati stabilizzatori di misteriosi equilibri energetici.

Il metodo
Semmelweiss non aveva quote nelle aziende produttrici di cloruro di calce, né sperava di guadagnare facendo partorire le donne a domicilio. Anzi, anche a causa della sua insistenza si trovò senza lavoro e senza soldi. Non si sa se e quanto furono queste persecuzioni o piuttosto una forma di neurosifilide contratta dalle donne che aveva curato, ma finì anche preda di una grave psicosi con cui morì in manicomio, forse per una sepsi provocata dagli stessi germi a cui aveva dato la caccia tutta la vita. Finì dimenticato da tutti, e riabilitato solo a distanza di molti anni. Non esattamente il ritratto dei guru di oggi, alla Davide Vannoni o alla Andrew Wakefield, per intenderci, che della scelta di andare controcorrente hanno fatto prima di tutto un enorme business.

Inoltre, per un Semmelweiss di cui si è riconosciuto a distanza di tempo il valore, ci sono centinaia, migliaia di “medici controcorrente” a cui la storia non solo non ha dato ragione, ma di cui anzi ha confermato la pericolosità. In altre parole, è anche possibile che un outsider sia un genio incompreso da tutti, ma non è vero il contrario, cioè che tutti gli outsider lo siano. Anzi, è molto, molto più probabile che abbiano torto. Attenzione quindi al facile, quanto errato, sillogismo: siccome Galileo e Semmelweiss non sono stati compresi, ma anzi sono stati perseguitati dai loro contemporanei, il tempo sarà galantuomo con tutti coloro che vanno contro le posizioni condivise dalla maggior parte degli scienziati. Non è così. Per poche eccezioni che si contano sulle dita delle mani, di centinaia di migliaia di ciarlatani si sono perse le tracce e la memoria.

Quel che ci permette di distinguere gli uni dagli altri è però soprattutto il metodo: logico e rigorosissimo, come si può chiaramente leggere qui, quello del giovane medico magiaro, nell’affrontare la tragica situazione con cui viene a contatto nella grande Maternità viennese.

Non che il problema in sé fosse occultato, o trascurato: la cosiddetta “febbre puerperale” era all’ordine del giorno tra le questioni che turbavano le notti dei medici del tempo, e non solo in Austria. Alla metà dell’Ottocento, infatti, fino al 15-20 per cento delle donne seguite fin dall’inizio del travaglio nei migliori reparti universitari, in Europa come in America, sviluppavano, durante il parto o nelle ore successive, un importante rialzo della temperatura accompagnato da ascessi dolorosi, linfangite, peritonite, pleurite, meningite e progressivo, fatale, cedimento di tutte le funzioni vitali. L’incidenza del fenomeno era di 10-20 volte superiore a quanto accadeva quando i bambini nascevano in casa.

Alla metà dell’Ottocento, fino al 15-20 per cento delle donne seguite fin dall’inizio del travaglio nei migliori reparti universitari, in Europa e in America, sviluppavano la febbre puerperale.

Perché allora le donne di bassa estrazione socioeconomica, soprattutto se prostitute o non sposate, continuavano a rivolgersi alle Cliniche dell’Ospedale generale di Vienna e non davano alla luce i loro figli tra le lenzuola del proprio letto? Perché la puntuale organizzazione del welfare imperiale aveva messo in piedi lì un sistema ingegnoso per conciliare diverse esigenze: da un lato far fronte alle numerose gravidanze indesiderate tra le donne del popolo, accogliendo e facendo crescere i loro figli, che altrimenti sarebbero stati ad alto rischio di abbandono o soppressione; dall’altro addestrare su grandi numeri, e – terribile dirlo – senza grosse conseguenze in caso di errore, i giovani professionisti, prima che si cimentassero a far partorire nobildonne e persone di alto rango. Le donne che partorivano nei due reparti diretti rispettivamente dal professor Klein e dal professor Bartch potevano infatti affidare senza difficoltà né oneri economici i figli all’adiacente orfanotrofio, offrendo in cambio il loro latte per bambini dell’orfanotrofio stesso che ne avessero bisogno e soprattutto acconsentendo che su di loro facessero pratica gli studenti in medicina (allora esclusivamente maschi) e le ostetriche (allora esclusivamente femmine).

Dall’ottobre 1840, le due categorie di studenti, maschi e femmine, vennero divise tra le due Cliniche: alla prima, diretta da Klein, gli aspiranti medici, alla seconda, diretta da Bartch, le ostetriche. L’accettazione delle partorienti seguiva una rigorosa tabella temporale: dal lunedì pomeriggio alle 4 fino alla stessa ora del giorno successivo le pazienti erano ricoverate in un reparto, nel giorno successivo nell’altro, e così via.

Il dottor Semmelweiss
Quando il ventottenne Semmelweiss mise piede nella clinica diretta dal professor Joann Klein, la differenza tra i due reparti gli saltò subito all’occhio: come racconta, in maniera un po’ romanzata, nella sua tesi di laurea dedicata a “Il dottor Semmelweiss”, Louis Ferdinand Auguste Destouches, non ancora noto con il nome dello scrittore Céline, le donne e i loro familiari piangevano e supplicavano per riuscire a entrare nella seconda clinica, mentre nessuno voleva andare nella prima.

Fu forse l’ascolto delle pazienti a spingerlo a consultare i dati. Una volta accertato che la percezione popolare corrispondeva a una differenza reale nel rischio di mortalità tra i due reparti, le mille spiegazioni addotte dalla scienza ufficiale per spiegare il flagello non gli bastarono più.

Un eccesso di fibrina o di acqua nel sangue, la pressione dell’utero gravido sugli organi circostanti e sulla circolazione o addirittura i “miasmi” presenti nell’aria di città, tra le dozzine di cause indicate dalle diverse commissioni imperiali che avevano indagato sul fenomeno, non potevano esercitare in maniera tanto diversa la loro azione tra i due reparti, pensò il giovane Ignaz, che cominciò a essere letteralmente ossessionato dalle domande che questa osservazione gli apriva.

Si diceva che la malattia potesse essere provocata dall’offesa al senso del pudore delle donne, costrette a mostrare la propria intimità a medici e studenti, o dalla semplice suggestione, indotta dalla paura stessa della morte legata alla cattiva fama del reparto, scatenata dal ricorrente suono della campanella del cappellano che portava l’estrema unzione. “Perché mai non dovrebbe verificarsi nei soldati al fronte, allora?” si chiedeva il medico, evitando di aderire ai pregiudizi sessisti che la sua epoca gli offriva.

Iniziò invece a raccogliere sistematicamente tutti i dati relativi ai casi di febbre puerperale che si erano verificati negli anni precedenti nei due reparti, cercando di individuare tutti i possibili fattori di rischio che distinguessero tra i due, per cercare di cogliere quale potesse essere determinante. Le procedure erano le stesse, tranne che le ostetriche spesso consentivano alle donne posizioni diverse da quella supina. Semmelweiss introdusse l’innovazione nelle sue sale parto, ma i risultati non cambiarono.

Semmelweiss iniziò a raccogliere sistematicamente tutti i dati relativi ai casi di febbre puerperale nei due reparti, cercando di individuare tutti i possibili fattori di rischio che li distinguessero.

Notò invece che nel reparto incriminato il fenomeno era nettamente più frequente più lungo era stato il travaglio (e quindi, come avrebbe capito poi, quando le donne erano state sottoposte a un maggior numero di visite). Diversamente da quello che ci si potrebbe aspettare, però, le donne che partorivano per strada prima di riuscire ad arrivare in ospedale, e lo raggiungevano poi col fagottino raccolto nella gonna, spesso col maltempo, e comunque in condizioni evidentemente peggiori, tendevano ad avere la stessa bassa incidenza di febbre puerperale di quelle che erano restate a casa o erano affidate alle ostetriche del reparto di Bartch.

A un primo caso, poi, ne seguivano spesso altri lungo la stessa fila di letti della corsia, seguendo la direzione del “giro”, durante il quale le pazienti era sottoposte una dopo l’altra a ripetute visite da parte di medici e studenti. Accadeva indifferentemente nei letti posti sul lato nord o sud, est od ovest: difficile pensare che la loro posizione geografica potesse c’entrare qualcosa.

Se la relativamente bassa incidenza di febbre puerperale, e conseguente mortalità, nel reparto gestito dalle aspiranti ostetriche corrispondeva a quella registrata fuori dall’ospedale, a fare la differenza dovevano essere gli studenti in medicina. Era l’unica altra differenza evidente. Qualcuno allora ipotizzò che fossero i modi più rudi di quelli stranieri a provocare lesioni all’utero delle partorienti. Vennero quindi rispediti a casa, e in effetti nei mesi successivi l’incidenza di eventi fatali da Klein calò un po’, per poi però risalire. Semmelweiss intanto si segnava tutte queste fluttuazioni, per tenerne conto al momento di formulare una ipotesi che spiegasse il tutto. Un analogo calo notò tra dicembre 1846 e marzo 1847. Tutto segnato, tutto da spiegare.

Anche il fatto che la malattia colpisse anche una certa quota di neonati, ma solo se anche la madre ne era vittima, aiutava a indirizzare il ragionamento: evidentemente la causa si esercitava prima di tutto sulle donne, e da lì passava col sangue ai figli, escludendo il ruolo di un fattore ambientale esterno.

Eureka
La svolta venne quando il professor Jacob Kolletschka, docente di medicina forense, dopo essersi ferito con un bisturi nel corso di un’autopsia, sviluppò gli stessi sintomi, e lo stesso tipo di lesioni, caratteristiche delle donne con febbre puerperale. Questo episodio accese una lampadina nella mente di Semmelweiss, facendogli pensare alla routine della vita di reparto: le autopsie la mattina presto prima del giro, frequentate solo dagli studenti di medicina, mai dalle ostetriche; il fatto che nell’inverno 1846-1847, mesi in cui il fenomeno si era ridotto moltissimo, assistenti e studenti, per ragioni esterne, avevano disertato la sala settoria; la consapevolezza che gli stranieri sfruttavano i pochi mesi di specializzazione a Vienna concentrando il maggior numero possibile di corsi e attività, comprese quelle di anatomia patologica, più di quanto non facessero i locali.

Corse a frugare nelle serie storiche, e scoprì che dall’Istituzione della maternità, nel 1784, fino al 1823, quando all’approccio teorico venne sostituito quello anatomico e si cominciarono a praticare frequenti autopsie, il tasso di mortalità per febbre puerperale si era mantenuto sotto l’1 per cento, balzando fin oltre il 15 solo con il diffondersi delle pratiche necroscopiche.

La svolta venne quando il professor Jacob Kolletschka, docente di medicina forense, si ferì con un bisturi nel corso di un’autopsia e sviluppò gli stessi sintomi delle donne con febbre puerperale.

Tutti questi indizi tuttavia ancora non facevano una prova. Indicavano correlazioni da dimostrare. Cosa che Semmelweiss fece, invitando tutti i colleghi a non accontentarsi di acqua e sapone ma a usare cloruro di calce sulle mani fino a quando non fosse sparito l’odore tipico delle autopsie. Con questo semplice provvedimento, adottato nel corso di tutto il 1848, la mortalità crollò all’1,27 per cento, addirittura sotto l’1,33 per cento della seconda clinica.

Per avere un termine di confronto, oggi in Italia le morti materne, cioè tutte quelle dovute a cause legate alla gravidanza e al parto, sono in media meno di 1 su 10.000, in linea con le percentuali europee. L’osservazione di Semmelweiss riguardo la maggior sicurezza del parto a casa rispetto a quello in ospedale non è più applicabile al contesto odierno, dove si tende piuttosto a pensare il contrario (ma per altre ragioni: anche in Italia, come in altri Paesi, la scelta di far nascere il figlio in casa con l’aiuto di un’ostetrica, pur restando assolutamente marginale – circa 1000 casi l’anno – sta riconquistando consenso).

Il risultato era evidente, e Semmelweiss pretendeva che solo per questo gli venisse riconosciuto. Ancora però non aveva pubblicato nulla di quel che aveva scoperto e dovettero passare più di dieci anni prima che, su pressione dei pochi amici che gli erano rimasti, uscisse, pochi anni prima di morire, con la sua opera: “Eziologia, concetto e profilassi della febbre puerperale”.

Già allora era importante che alla raccolta dei dati seguisse la loro condivisione con la comunità scientifica, così che anche altri potessero verificare e riprodurre le esperienze. Lui ci arrivò tardi, ma alla fine consegnò alla storia la documentazione dei dati raccolti e del limpido ragionamento che lo portò a risolvere il mistero della morte delle puerpere. Dai ciarlatani di oggi, questo, in genere, non si riesce proprio a ottenere. Se pubblicassero dati statisticamente significativi, raccolti con una metodologia rigorosa, riprodotti e verificati da altri, nessuno li chiamerebbe più così.

L'articolo Come si distingue un genio incompreso da un ciarlatano proviene da il Tascabile.

19 Jul 09:35

Negative Results

P.S. We're going to the beach this weekend, so I'm attaching my preregistration forms for that trip now, before we find out whether it produces any interesting results.
19 Jul 09:27

Saturday Morning Breakfast Cereal - College Level Mathematics

by tech@thehiveworks.com


Click here to go see the bonus panel!

Hovertext:
The point I'm trying to make is that we should have some government-guaranteed loans for the purchase of exotic cats.


Today's News: