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16 Sep 15:40

Codici PIN di quattro cifre che potreste voler utilizzare

by zar
0042

Lo sapete tutti, è la risposta alla Domanda Fondamentale sulla Vita, sull'Universo e Tutto quanto.

"Quarantadue!" urlò Loonquawl. "Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?"
"Ho controllato molto approfonditamente," disse il computer, "e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda."


1138

È il numero preferito da Lucas. Da quando esiste Jar Jar Binks, però, non so quanti possano seriamente desiderare di utilizzare questo numero.


1337

Nella codifica leet, si legge leet.


1701

NCC-1701 è il numero di matricola della nave stellare Enteprise, classe Constitution.


1969

Questo è l'unico numero naturale n minore di 4000000 per il quale la funzione standard di Ackermann modulo n non si stabilizza.

Ma è anche l'anno in cui l'uomo ha messo piede sulla luna, eh.


3435

È l'unico numero per il quale la somma delle sue cifre elevate a un esponente uguale a loro stesse è uguale al numero stesso. Si fa prima a scrivere la formula:

33 + 44 + 33 + 55 = 3435.

(No, non è vero, non è l'unico numero di questo tipo, l'altro è 1, ma vabbé. Comunque si chiamano numeri di Münchhausen, perché si elevano da soli, come l'omonimo barone)


5141

Questo è l'unico numero che, rovesciato e letto in esadecimale, rimane uguale a sé stesso.

514110 = 141516.


6174

È la costante di Kaprekar. Funziona così:

  1. prendete un numero qualsiasi di quattro cifre, usando almeno due cifre diverse,
  2. ordinate le cifre in ordine decrescente e in ordine crescente, ottenendo (altri) due numeri
  3. sottraete il più piccolo dal più grande
  4. ripetete i passi 2 e 3

Dopo al massimo sette passi si arriva a 6174, e da lì non ci si muove più.


(Via Facebook)
14 Sep 13:39

Quello che non vi hanno mai insegnato al corso d’inglese: (gli altri) 10 errori più comuni degli italiani

by fabristol

false-friendsVisto il grande successo del precedente post sui 10 errori più comuni degli italiani con l’inglese ho pensato di compilare una lista di altri 10 errori abbastanza comuni. Enjoy!

1) To miss/to lose (accezione 1): questo errore è così comune che faccio veramente fatica a capire perché non venga corretto dagli insegnanti d’inglese. Questo lo fate tutti fino a quando qualche madrelingua ve lo fa notare. Quante volte avete perso il treno, il bus o l’aereo e avete esclamato: “Oh no, I lost my train/flight/bus!”. E gli inglesi che vi guardano e vi chiedono con stupore: “You lost a… train? Was it yours? And where is it now?”. Mentre in italiano il verbo perdere ha il doppio significato di “perdere un oggetto” e “perdere un mezzo di locomozione” in inglese esistono due verbi ben distinti per indicare le due azioni. Il primo è to lose (I lost something) mentre il secondo è to miss (I missed the train). Ora questa cosa è così difficile da fare entrare in testa che perfino io che vivo qui in UK da dieci anni devo pensare qualche millisecondo prima di dire “I missed the train” (o forse è perché non perdo mai treni?). Mentre per altri errori ho inventato trucchi linguistici e associazioni di suoni che mi permettono di evitare gli errori più comuni per questo ho sempre serie difficoltà. Non sbaglio mai ma quando dico quella frase mi devo fermare per qualche millisecondo perché l’ho messa nel cassetto mentale delle frasi intraducibili con il bollino rosso. Da un po’ di tempo a questa parte cerco di pensarla così: mentre gli italiani perdono oggetti d’ogni tipo inclusi aerei e treni gli inglesi “mancano all’appuntamento con la partenza del mezzo”.

2) to miss/to lose (accezione 2): simile ma forse più insidioso l’utilizzo di to lose per indicare la perdita di una occasione. Proprio l’altro giorno leggevo una recensione su Amazon di una italiana che faceva più o meno così: “A book not to be lose”. Ora a parte che sarebbe dovuto essere “lost” ma quello che avrebbe dovuto scrivere sarebbe stato “a book not to be missed”. Il commento più sotto era “hilarious”: “How can you lose such a big book?”

3) Terrific/dramatic/tremendous: quando qualcuno vi descrive la propria vacanza come “terrific” e i paesaggi che ha visto come “dramatic” non pensate che sia state così terrificante né drammatica. Vi sta semplicemente dicendo che è stata magnifica, eccezionale e che i paesaggi erano sensazionali. “A tremendous experience” è stata un’esperienza positiva, anzi straordinaria. Devo dire che però qui è la lingua inglese che ha “messed up tremendously” con le radici romanze di queste parole.

4) foreigner/stranger: altra incredibile figuraccia del sottoscritto che per mesi nella mia prima esperienza all’estero in Svezia parlava di tutti gli immigrati come strangers quando invece erano foreigners. Devono avere pensato che fossi un po’ razzista o semplicemente pazzo. Come infatti potevo chiamare me stesso o i miei amici stranieri come “estranei”. “We strangers.”. Se solo al corso di inglese per prepararmi all’Erasmus qualcuno si fosse degnato di dirmi che io sarei stato un “foreigner in Sweden” e non un “estraneo in Svezia” forse mi sarei risparmiato un bel po’ di figuracce. Ma non avrei scritto il punto 4 e voi non l’avreste letto, quindi forse è meglio così.

5) sensitive/sensible: capisco che siate delle persone sensibili e che siate rimasti shockati nel sapere che gli inglesi parlino con i morti (sensitive). Infatti sensibile si dice sensitive. Mentre sensitivo si dice medium. Siate ragionevoli invece, usate emotional. Infatti sensible vuol dire “ragionevole”. Questa differenza mi è entrata così tanto in testa che ormai in italiano sbaglio sempre e dico “fammi un’offerta sensibile” e dico “è una persona sensitiva”.

6) factory/fabric/farm: è vero, esistono fattorie che sembrano delle fabbriche (poveri animali in batteria!) ma ciò non significa che in inglese factory abbia lo stesso significato che in italiano. Factory significa industria/fabbrica mentre fattoria è farm. Questi me li ricordo perché uno dei miei gruppi preferiti è Fear Factory (la fabbrica di paura) e Animal Farm è un libro distopico di Orwell che parla di una fattoria di animali “politicamente schierati”. Fabric d’altro canto vuol dire tessuto e questo me lo ricordo grazie a Doc di Ritorno al futuro: “the encounter could create a time paradox, the result of which could cause a chain reaction that would unravel the very fabric of the space-time continuum and destroy the entire universe!”. Ricordatevi quindi che quando andate dietro nel tempo e baciate vostra madre potreste “disfare il tessuto dello spazio tempo!”. (beside you are morally disgusting!)

7) pretendo/to pretend: come con miss/lose questo false friend è nel mio cassetto mentale con il bollino rosso e ho ancora difficoltà a trovare un’associazione mentale che mi permetta di evitarla. Ti pretendo cantava Raf negli anni 80 ma forse non intendeva dire che “faceva finta” di volere la sua amata. To pretend infatti significa “far finta di”, non pretendere. Non ho alcun problema ad usare to pretend in inglese per questo significato, il problema è quando cerco di dire “pretendere” in inglese. Per il quale si dovrebbe utilizzare “to expect” or “to demand”.

8) vacancy/estate: può capitare che qualcuno cerchi lavoro come giardiniere o custode (vacancy) per una proprietà/residenza (estate) ma è sicuramente più comune di chi invece pensa di aver prenotato una vacanza estiva in una agenzia immobiliare! Vacancy vuol dire letteralmente posto vacante e significa sia che c’è un posto di lavoro disponibile o una camera disponibile in un albergo. Estate, pronunciato “esteit” invece indica una proprietà, non l’estate!

9) fresh: “She is fresh, fresh, exciting” cantava il ritornello di una canzone anni 80 che ad un orecchio italiano fa sorridere. Una ragazza fresca? Magari si è appena buttata in piscina è la sua pelle bagnata ha una temperatura fresca? Mmm. Quando qualcosa è fresh significa il più delle volte “nuovo”. Per esempio una casa appena dipinta può essere fresh, un nuovo look di capelli può essere fresh (fresh look). Se invece volete andare a mangiare fuori al fresco, attenzione perché un inglese potrebbe capire che volete mangiare nella Cappella Sistina. Fresco significa affresco. Per l’acqua fresca o il vino fresco, non chiedete fresh water/fresh wine. Il cameriere potrebbe offendersi: è ovvio che non vi porterà acqua/vino andati a male! Utilizzate invece cool. Bonus: si dice still water non sweet water!

10) to watch/to see: tempo fa lessi un articolo molto divertente della BBC sui false friends degli immigrati (non solo italiani) a Londra. In uno dei tanti episodi una ragazza italiana era appena entrata in un negozio di abbigliamento (to browse o to have a look at) e quando la commessa le ha chiesto se avesse bisogno d’aiuto lei ha semplicemente detto “no, I’m just watching”. Al che la commessa ha chiamato la guardia di sicurezza del centro commerciale e la poveretta è stata arrestata per poche ore, giusto il tempo di spiegare l’equivoco. L’inglese distingue tra to watch che in questo caso avrebbe pouto significare “osservare”, nel senso di spiare qualcuno per controllare cosa fa, e to see o to have a look at. che significa appunto vedere, guardare. Big brother is watching you!! è la famosa frase dell’orwelliano 1984. Ecco, quando usate to watch ricordatevi di Orwell, a parte quando guardate la TV ovviamente: to watch the TV. Io distinguo tra i due semplicemente pensando ad un vedere attivo e un vedere passivo. You can see something in front of you or you can watch something in front of you. Un po’ come to listen e to hear. I can hear someone listening to the music. To hear è passivo, nel senso che si usa per sentire dei suoni senza essere molto attenti mentre “if you listen carefully” se ascolti bene… Il passaggio da to hear a to listen richiede attenzione da parte della persona.

P.S.

Kudos if you get the joke in the cartoon. ;)

 

 


14 Sep 13:19

Paper scientifici

by eriadan

Ammetto che la striscia di oggi è per palati particolarmente fini

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11 Aug 12:04

Nella casa c'è un locale che davvero non è male

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Tratto dal nº 37 del 13 settembre 1964 del Corriere dei Piccoli.



11 Aug 12:03

C'è chi butta i gelati

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Tratto dal nº 38 20 settembre 1964 del Corriere dei Piccoli.



11 Aug 11:57

Divulgare è barare?

by Maurizio Codogno

Non è facile trovare la giusta via tra semplificazione e correttezza [Continua]

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11 Aug 11:11

Off the radar

by fabristol

Da giorni leggo sui giornali de “la guerra in Medio-Oriente”, de “la più grande crisi umanitaria”, degli appelli di pacifisti vari per l’una o l’altra parte, dei potenti della terra che cercano di trovare una soluzione, di migliaia di commenti pro o contro Israele o pro o contro Hamas copia-incolla delle guerre precedenti tra Israele-Palestina (sinceramente mi sentirei un po’ stupido nel 2014 a dover scrivere ancora di argomenti triti e ritriti sulla situazione israelo-palestinese. Seriously? Get over it. A cominciare dal fatto che oggi sì dovrebbe chiamare conflitto israelo/egiziano/saudita contro Hamas). L’attenzione è stata “rapita” volontariamente da media e politici e dai pappagalli che ripetono sul web tutto quello che gli danno in pasto i primi due su una guerra così sopravalutata che mi vengono i conati appena ne sento parlare.

Mentre in Palestina morivano terroristi di Hamas e civili nel numero di 1850 persone circa, nel raggio di appena 2000 chilometri venivano trucidate, impalate e decapitate decine di migliaia di persone, mezzo milione cercavano rifugio nei paesi vicini, decine di moschee e templi venivano rasi al suolo, la sharia veniva imposta su 6 milioni di abitanti e due stati venivano cancellati dalle mappe geografiche.

Quello che vi siete persi nelle puntate precedenti (perché eravate troppo intenti a dare dei puzzoni ai palestinesi o dei nazisionisti agli israeliani):

1) L’ISIS (o come ha imposto ai suoi sudditi d’ora in poi IS, pena frustate e multa) si è espanso verso il nord. Ha catturato la più grande diga del nord del paese, quella di Mosul e per la prima volta sta combattendo contro i peshmerga curdi. Peshmerga che per la prima volta hanno chiesto l’intervento dell’aviazione irakena.

2) nel frattempo l’ISIS ha già trovato il prossimo target, il Libano, dove ha conquistato una città al confine tra Libano e Siria. Simpatizzanti dell’ISIS hanno dimostrato nelle strade di Tripoli e il Libano si appresta a diventare il prossimo stato mediorientale a cadere nell’inferno della guerra civile sciiti-sunniti.

3) mentre i media di tutto il mondo si stanno scandalizzando per i cristiani a cui viene imposta la jizya, la tassa sui seguaci delle religioni del Libro, o l’esilio centinaia di migliaia di Yazidi scappavano sulle colline del Kurdistan da morte certa dopo che l’ISIS ha bombardato con colpi di mortaio il loro principale villaggio al Nord dell’Iraq. I poveri Yazidi, appena 500000, non hanno nessuno in Europa che simpatizzi per loro. La Francia si è offerta di accogliere i cristiani irakeni ma nessuno si è offerto di accogliere gli Yazidi, una religione di serie B evidentemente. La solidarietà è selettiva si sa. Questo è il 73esimo massacro della millenaria storia degli Yazidi, seguaci di una religione antichissima e vicina allo Zoroastrismo. I mujaidin dell’ISIS hanno ucciso a sangue freddo centinaia di uomini Yazidi e rapito migliaia tra donne e bambini di cui non si sa più nulla. Uccisi perché infedeli adoratori del diavolo, secondo l’Islam, non perché resistenti o armati. Neppure la scelta della jizya per loro. Tra l’altro la jizya nei califfati del passato c’è sempre stata. I califfati che i radical-chic in Europa considerano tolleranti. Parlano perfino di epoca d’oro dell’Islam. Un posto dove devi pagare una tassa perché sei un cittadino di serie B. Chissà se gli stessi radical chic si scandalizzano per l’imposizione della jizya ai cristiani irakeni oggi. Ma come 500 anni fa era tolleranza, ora invece fondamentalismo?

4) con questa nota vorrei ringraziare quel simpaticone di Sarkozy che ha ucciso Gheddafi lasciando la Libia nel caos più o meno allo stesso livello della Somalia. Mentre postavate su Facebook le immagini dei bambini palestinesi che piangono con il pupazzo in mano la Libia è scomparsa, non esiste più. Infatti l’aeroporto di Tripoli è distrutto, Bengasi è stata proclamata un califfato affiliato all’ISIS e Ansar Al Sharia, il più grande gruppo jihadista del maghreb ha giurato fedeltà a Al Baghdadi, il parlamento è scappato a Tobruk. Ah, 13000 filippini sono stati salvati da navi greche (nei giorni scorsi un filippino è stato decapitato in pubblico e una filippina stuprata da una gang di jihadisti) e decine di migliaia di stranieri stanno scappando in queste ore su navi militari britanniche, greche e maltesi per sfuggire al massacro. Algeria e Egitto stano pensando ad un attacco militare in territorio libico e decine di militari tunisini e egiziani sonos tati uccisi in scontri a fuoco al confine con la Libia. Per quanto mi riguarda la Libia non esiste più e si limita alla città stato di Tobruk. Poi fate voi eh. Fate finta che a poche miglia dalle coste siciliane ci sia ancora un paese che si chiama Libia.

5) potrei continuare a parlarvi di Boko Haram in Nigeria, di Al shabab in Somalia e Kenia, dei simpatizzanti pro-ISIS in India, Pakistan, Kashmir o degli occidentali che stanno partendo in migliaia per il fronte tra cui centinaia di britannici. Carina la storia delle gemelle britanniche che studiavano medicina a Machester che candidamente hanno detto che “Non voglio studiare per curare questi pagani. Ora farò il medico per i combattenti dell’ISIS.”

Quello che sta succedendo ha dell’incredibile: l’avanzata dell’ISIS ha la stessa importanza storica di una Rivoluzione Francese, di una guerra civile spagnola o della salita al potere de bolshevichi. La gente non si rende conto di quello che sta succedendo. La Rivoluzione jihadista non si può fermare più e arriverà a lambire l’Europa in pochi anni. tutti i rapporti di forza verranno riscritti, l’intera mappa del vecchio continente, dell’africa e dell’asia verrà riscritta. E anche se l’ISIS verrà fermato come fu fermata la Rivoluzione francese, arriverà sempre un Napoleone su cavallo che sguaina una scimitarra che cambierà il mondo o un Gengis Khan che lo raderà al suolo. E tutto questo mentre i giornali italiani danno consigli sulla prova bikini o sulle file chilometriche augostane. Buona apocalisse a tutti.

 

 


11 Aug 11:06

LA DREAMWORKS ACQUISTA IL GATTO FELIX (aggiornamenti)

by Luca Boschi

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La notizia che la Dreamworks Animation si è acquistata il personaggio di Felix merita più attenzione di quanta gliene sia stata fornita da tutti quanti, sottoscritto compreso, nella giornata di ieri.

Il fatto che un personaggio quasi centenario sia acquistato da una major con l’intenzione di farne una star, riportandolo ai fasti di un trapassato remoto dimenticato quasi da tutti e un’ottima mossa, complimenti vivissimi.

A memoria d’uomo solo un’altra, peraltro recente, vi si può paragonare: il recupero da parte della Disney del coniglio Oswald, poi impiegato in un pugno di fumetti e in due videogiochi che forse avrebbero meritato maggior successo, soprattutto il secondo.

Il nostro pensiero va a quel genio che fu Otto Messmer (per la prima volta riconosciuto in tutti i suoi meriti grazie a aun articolo del sottoscritto su un remoto numero dell’Eternauta) e a quel mezzo negriero dai neuroni spappolati dall’alcol (al pariu del suo fegato) che pare sia stato Pat Sullivan.

A quest’ultimo va il nostro pensiero in negativo.

Il Presidente della DreamWorks Jeffrey Katzenberg, dirigente Disney negli anni Novanta, ha dichiarato giorni fa che Felix “(…) goes beyond evergreen status and rises to something even more uncommon, as he is a true icon. We plan to make him one of the most desired fashion brands in the world.”

Icona, sicuramente lo è.

Maltrattata (come icona) lo è stato a lungo e ripetutamente.

Si pensi a cosa ne hanno fatto i tedeschi, in comic book dove era decisamente deforme e irriconoscibile.

Lo studio ha comprato il personaggio (per una cifra che non è dato conoscere) dalla Felix the Cat Productions, il cui proprietario è Don Oriolo, figlio di Joe Oriolo, che sua volta aveva acquistato e provvisto di nuovo design il gatto nero all’inizio degli anni Cinquanta.

Intanto, che ne dite di The Twisted Tales of Felix the Cat ?

Che ne sarà, adesso, dei fumetti di Felix? Da chi dovrà acquistare la licenza di pubblicarli l’editore del caso? Dal KFS (in contatto con la Dreamworks, che detiene la titolarità sull’iconoa)? O direttamente dalla Dreamworks, se vorrà gestire per intero anche questo tipo di licenza? Non lo sappiamo. Ma sul merchandise di Felix (e i volumi, insomma. in un certo qual modo, tutto sommato, effettivamente, è vero, non è vero, lo sono) i piani di Katzenberg sembrano ben delineati.

Così riporta Deadline.

But Katzenberg told the audience of merchandise makers and retailers that “without question, one of our biggest and most important diversification strategies is … you.” DWA made its first big appearance at the Expo last year, and “wanted to make clear that we were serious about becoming a much more significant player in licensing and retail.” The company’s other diversification efforts give it “ a very powerful engine to drive Consumer Products with a 52-week supply of broadcast TV, Netflix shows, online entertainment and location-based entertainment.”

Secondo Variety, Felix non è solo, alla Dreamworks.

DreamWorks Animation acquired Classic Media in 2012 from private equity group Boomerang Media Holdings for $155 million. The library includes family characters and brands — such as Casper, George of the Jungle, Where’s Waldo and Rocky and Bullwinkle — along with 450 films and more than 6,100 episodes of animated and live-action programming.

.

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Questo simpatico animale antropomorfo è un parto di Al Columbia, autore del quale mi parlò una ventina di anni fa Graziano Origa, che su di lui confezionò un servizio sull’indimenticabile Fumetti d’Italia.

Ma se ne parla (forse) in uno dei prossimi, lontanissimi post, spediti in una bottiglietta fra le onde.

11 Aug 11:03

Il mio problema con Greenpeace

by Dario Bressanini

L’immagine irrompe sullo schermo con tutta la sua brutalità. Un pugno di temerari con un piccolo gommone cerca di interferire con le operazioni di una baleniera. Si vede, nel filmato concitato, una balena arpionata. Il mare tinto di rosso sangue. Gli idranti sparano violenti getti d’acqua su quegli uomini e donne che, incuranti del pericolo, rischiano la vita per opporsi alla barbarie della caccia alle balene. Un guscio di noce in un mare in tempesta sembrerebbe un posto meno pericoloso di quel piccolo scafo a fianco del gigante grigio.

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Ero ancora un giovane studente quando per la prima volta ho sentito parlare, e visto le loro azioni, dei guerrieri di Greenpeace. Erano fighi. Combattevano per una causa giusta, erano ambientalisti, avevano a cuore la natura e il mondo che ci circonda. Non era forse una battaglia di tutti e per tutti? Non volete mica stare dalla parte delle baleniere, no?

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Non possiamo non dirci ambientalisti! Ero giovane. Pieno di speranze e illusioni.

Passano gli anni, inizio a scrivere per Le Scienze e, occupandomi anche di OGM, incrocio spesso Greenpeace mentre cerco materiale e informazioni scientifiche sul tema. Non ci è voluto molto per trasformarsi ai miei occhi, da faro da seguire a cattivo esempio di piccola multinazionale dell’ambientalismo ideologico, poco interessata all’approccio scientifico e molto invece all’organizzazione di pagliacciate mediatiche pubbliche che catturano l’attenzione dei media, usando le stesse tattiche comunicative di altre multinazionali come Monsanto.

Ma agli occhi di uno scienziato come me il peccato mortale della multinazionale verde è di fare disinformazione scientifica. Di piegare la scienza ai loro obiettivi. Di mistificare le ricerche scientifiche che non corroborano le loro posizioni. Parole grosse dite?

Nel 2002 Greenpeace ha rilasciato un rapporto teso a dipingere negativamente l’esperienza del cotone Bt resistente agli insetti in Cina. Per far ciò il rapporto citava a supporto, tra gli altri, i lavori del Prof. Kongming Wu, un entomologo esperto di insetti infestanti del cotone, autore di numerosi articoli scientifici, membro dell’Accademia delle Scienze Cinese e membro del comitato nazionale di biosicurezza per gli OGM.

Peccato che i lavori del Prof. Kongmin Wu sostenessero l’esatto contrario di quanto Greenpeace volesse dimostrare. Venuto a conoscenza del rapporto il Prof. Kongmin rilasciò un comunicato inequivocabile:

Dopo aver letto attentamente il rapporto, tornato a Beijing il 21 giugno, sono rimasto sbigottito nello scoprire che i nostri studi sull’impatto ecologico del cotone Bt fossero stati riassunti in modo scorretto dagli autori. In realtà, i nostri risultati  si oppongono fortemente alle conclusioni principali del rapporto di Greenpeace e non supportano il loro punto di vista.

Tu chiamala se vuoi, “disinformazione”.

Anche stamane li ho incrociati. Sono stato chiamato all’ultimo momento a partecipare a “Tutta la città ne parla”, una trasmissione radiofonica di Radio3. Il tema erano gli OGM. O meglio, il modo con cui la trasmissione Radio3Scienza tratta gli OGM. Secondo alcuni ascoltatori troppo “favorevole agli OGM”. Forse perché non invita, come altre trasmissioni, scienziati farlocchi o non accetta come fonti scientifiche improbabili siti web o comunicati stampa e perché, come spiega la giornalista Silvia Bencivelli, nella scienza non ha senso cercare sempre di far sentire “l’altra campana” e si deve partire dai fatti accertati, non dalle opinioni.

Prima di me interviene un esponente di Greenpeace che accusa di falsità chi sostiene che “gli OGM riducono l’utilizzo dei fitofarmaci”. Lì, lo ammetto, ho perso la mia flemma, e ho ribattuto che chi sparge falsità è Greenpeace. Il trucco, il solito, è quello di accorpare tutti gli OGM esistenti come se fossero una categoria omogenea. L’abbiamo detto mille volte qui: l’impiego di OGM resistenti ai diserbanti, come la soia che importiamo legalmente per milioni di tonnellate, non può che incentivare l’uso di questi prodotti. Invece piante che resistono naturalmente ad alcuni insetti parassiti, come il mais Bt, sono state progettate proprio per ridurre l’utilizzo di insetticidi. E ormai non vi è più alcun dubbio che questo sia accaduto veramente negli ultimi 15 anni. In Spagna, In Cina, In India, In USA. Ovunque queste piante hanno permesso una riduzione dell’uso “della chimica in agricoltura”. E nei paesi poveri hanno avuto anche il merito di ridurre i casi di avvelenamenti da agrofarmaci per gli agricoltori. Potrei sommergere Greenpeace con le fonti ma, davvero, ormai è come citare le fonti che la terra è rotonda.

Non possiamo non dirci ambientalisti, e quindi non possiamo non gioire di questa cosa. Se però sei una multinazionale dell’ideologia verde, e ti opponi per principio agli ogm, questa cosa non la puoi accettare. Va contro il tuo “core business”. Le balene ormai non fanno più presa e anche il riscaldamento globale non se la passa tanto bene, mediaticamente. E se vuoi continuare a ricevere donazioni dal pubblico lo devi spaventare per poi dire “arrivo io, il gigante verde che ti difende”. E allora usi un trucco: sommi le mele con le pere, anche se hai imparato alle scuole elementari che è una cosa che non si fa. Sommi l’aumento nell’uso di diserbante a seguito della diffusione della soia resistente all’erbicida (lasciamo perdere qui il fatto che si dovrebbe tenere conto della tossicità relativa e non dei semplici quintali), con la diminuzione dell’uso di insetticidi grazie all’uso degli OGM Bt. Tanto sono tutti OGM no? Che ne capisce la sempre proverbiale casalinga di Voghera? E poiché di diserbante in agricoltura se ne usa molto, e la soia OGM resistente è un prodotto di estremo successo, in questo modo affoghiamo la riduzione di insetticidi nell’aumento dei diserbanti. E quindi possono periodicamente mandare il comunicato stampa “Gli OGM hanno bisogno di più pesticidi”.

Uno sporco trucco. Utilizzato non solo da Greenpeace per carità. Anche altre associazioni di attivisti usano questi trucchi. I Friends of the Earth a pagina 21 del loro rapporto del 2009, in quattro scarne righe lo ammettono a denti stretti, ma non si vergognano di sommare l’aumento d’uso di glifosate con la riduzione d’uso di insetticidi.

Un vero scienziato è sempre disposto a cambiare le proprie idee e, perché no, i propri preconcetti, se questi vengono contraddetti dai fatti. Fatti accertati più e più volte in modo indipendente. Se invece sei un attivista ideologizzato preferisci metterti gli occhialini e scartare i fastidiosi fatti piuttosto che dire “mi sono sbagliato”. Si tratta di onestà intellettuale, che a troppi manca. E alla fine messi alle strette l’unica cosa che riescono a dire è un idiota “Ki ti paga” pur di difendere con le unghie le proprie opinioni assaltate dai fatti che non piacciono.

Non stupisce quindi che Greenpeace sia vista come il proverbiale «fumo negli occhi» da parte di molti scienziati che lavorano nel campo e come non sia possibile alcun tipo di dialogo tra gli scienziati che lavorano su questi argomenti e dirigenti e militanti di questa organizzazione. Spesso spregiativamente chiamati militonti nei corridoi dei laboratori, a indicare quanto spesso questi ragazzotti che ti fermano, con le loro tute colorate, siano quasi sempre solo in grado di ripetere a pappagallo quello che gli hanno detto di ripetere. Io ci ho provato a parlargli. Più volte. Se gli chiedi della biodiversità, dei geni, della chimica, ti rispondono con il vuoto pneumatico. Ripetono il compitino, tutti fieri della loro piece teatrale come quando si appendono ai monumenti. Chissenefrega di che cosa è la biodiversità veramente o cosa facciano le molecole. È chimica, biologia, ecologia. Loro sono laureati in scienze politiche, o lettere. Mica ne capiscono. E hanno assolto allo scopo assegnatogli: attirare le telecamere. “Detox NOW”. Domani il Corriere e Repubblica parleranno di loro.

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Insomma, il “dialogo” tra la scienza e Greenpeace ha visto tempi migliori. Non a caso alcuni ex dirigenti sono molto critici verso le posizioni attuali di questa organizzazione. Mi chiedo, da scienziato, come si può “dialogare” con chi ha una posizione di opposizione “di principio”. Le “granitiche certezze” hanno più a che fare con la fede e la religione che con la scienza. Insomma, è come pretendere di far dialogare uno scienziato dell’evoluzione con un creazionista. Semplicemente non si può.

Opposizione a prescindere

Domanda 101 Lord Reay (Presidente della Camera dei Lord): “Lord Melchett, in relazione alle modifiche genetiche, che cosa avete da obiettare e perché?

Lord Melchett, Direttore Esecutivo di Greenpeace UK: “Signor presidente, l’obiezione fondamentale è che vi sono rischi inaffidabili e imprevedibili.”

Domanda 107: “La vostra opposizione al rilascio di OGM, è una opposizione assoluta e definitiva? Non è dipendente da ulteriori ricerche scientifiche o dallo sviluppo di procedure migliorate o da qualche soddisfazione che potreste avere in futuro riguardo alla sicurezza?”

Lord Melchett:Si tratta di una opposizione permanente, definitiva e completa basata sulla visione che ci saranno sempre grandi incertezze. È la natura della tecnologia, in verità è la natura della scienza, che non vi sarà alcuna prova assoluta. Nessuno scienziato si siederà mai davanti a voi sostenendo ciò, se è un vero scienziato.”

Deposizione di Lord Peter Robert Henry Mond, 4° Barone Melchett, Direttore Esecutivo di Greenpeace UK, alla Camera dei Lord del Parlamento britannico. 3 Giugno 1998.

Greenpeace è il prototipo dell’ONG (Organizzazione Non Governativa) che si oppone per principio agli OGM, come ammesso dal suo alto dirigente. Per Greenpeace non è questione di avere più dati scientifici a disposizione, svolgere ulteriori indagini o di soppesare i costi con i benefici. Anzi, nei suoi rapporti i benefici sono sistematicamente minimizzati o semplicemente ignorati, quando non addirittura negati mistificando l’evidenza scientifica come vi ho dimostrato sopra.

Greenpeace gode generalmente di «buona stampa», i suoi rapporti sono graficamente curati e ricchi di immagini, scritti in uno stile simil-scientifico, con molte citazioni bibliografiche, ovviamente selezionate ad-hoc con il peggiore cherry picking e un sacco di autocitazioni. Forse è per questo che generalmente i mezzi di informazione fanno solitamente da eco acritica ai loro documenti, senza prendersi la briga di controllare i riferimenti bibliografici, verificare le fonti e calarle nel giusto contesto. È noto come si possa benissimo raccontare delle falsità dicendo solo cose vere.

Mentire con le statistiche

Nel 2011 a seguito dei nuovi dati sull’adozione degli OGM nel mondo Greenpeace gongolava :”gli agricoltori europei affossano gli OGM”. Nella UE l’unico paese ad avere coltivazioni significative di mais OGM è la Spagna. Negli altri paesi UE dove si coltivano (Portogallo, Romania, Germania, Svezia, Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia) non si superano i 5000 ettari. Non a caso chi è favorevole alla coltivazione in Italia del mais Bt cita sempre il caso Spagnolo, perché è l’unico realmente significativo. Greenpeace gioisce del fatto che nel 2009 in Spagna si coltivassero 76057 ettari di mais Bt, stimati a 67726 nel 2010. l’11% in meno! Segno di un disamoramento degli agricoltori spagnoli per il mais OGM?

Il documento citato nella nota 2 fornisce, dal 1998, le superfici Spagnole coltivate a mais Bt. I dati sono del ministero dell’ambiente spagnolo. Ci fidiamo. Scopriamo che nel 2008 le superfici erano ancora maggiori: 79269 ettari. Una conferma del declino?

Come nel caso del famoso pollo di Trilussa (io e te mangiamo un pollo a testa in media) manca qualche informazione per dare pieno significato alla statistica (io però ne mangio due ogni giorno, e tu rimani a digiuno!).

I numeri che mancano in questo caso sono gli ettari totali coltivati a mais in Spagna. Dati che troviamo sempre sul sito del ministero dell’agricoltura spagnolo, ma che Greenpeace non si è mica sognata di segnalare. A pagina 7 leggiamo che nel 2008 sono stati seminati 372 migliaia di ettari a mais, nel 2009 erano 345 e nel 2010 ne sono stati stimati 322. Perbacco, ma era una riduzione generale delle coltivazioni di mais! Quindi forse la diminuzione non aveva nulla a che fare con gli OGM. Per verificare questa ipotesi andiamo quindi a calcolare la proporzione di mais ogm su quello totale nei tre anni

2008: 21%

2009: 22%

2010: 21%

Bingo! La percentuale di mais Bt rispetto a quello convenzionale in Spagna tra il 2008 e il 2010 è rimasta sostanzialmente invariata. E un sondaggio del 2011 tra i coltivatori spagnoli di mais OGM conferma infatti la loro soddisfazione nella coltivazione di questa pianta: per la buona salute della spiga (sì insomma, la "pannocchia"), per i vantaggi economici, per la facilità di gestione e per le maggiori rese (parole loro).

Come mai non abbiamo più sentito parlare del “fallimento” del mais spagnolo? Neanche da Coldiretti, che ci investe periodicamente con i suoi comunicati stampa a mitraglia.

Beh, forse perché nel 2011 e 2012 il mais Bt in Spagna ha avuto un incremento notevole, arrivando a circa il 30% del mais totale iberico.

Hectareas-maiz-bt-historico-transgenicos

Insomma, da quando ho beccato Greenpeace con le mani nella marmellata per me è cessata di essere credibile. Per qualsiasi cosa. Voi fate quello che volete ma io non credo più a una sola parola delle cose che dice, anche se probabilmente in altri settori non sono così antiscientifici come nel campo delle biotecnologie. Ma la credibilità è lunga e difficile da costruire, e ci si mette nulla a perderla.

Certo, continuerò a essere contro l’uccisione delle balene, ma non perché lo dice Greenpeace.

Dario Bressanini

13 Jun 14:18

Paperino e il nome

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Gianluigi.ulaula

Marco Rota

Tratto dal nº 37 del 19 settembre 1976 del Giornalino.



13 Jun 14:17

DONALD DUCK: 80 YEARS OF HAPPY FRUSTRATIONS

by Luca Boschi
Gianluigi.ulaula

L'ipotesi mi lascia un po' perplesso, ma è possibile, il tratto non sembra troppo diverso da quello del model sheet originale

Poster

Vediamo se il titolo in Inglese attrae qualche lettore dall’estero.

Sono già passati 20 anni netti da quando compilai il mio primo numero di quello che allora si chiamava Paperino Mese, con un ampio servizio sui 60 anni dalla nascita di Paolino Paperino e alcune storie classiche o che lo sarebbero divenute.

Gaudenzio Capelli aveva appena passato il testimone a Paolo Cavaglione alla direzione dei periodici Disney, e io lavoravo nella sezione diretta da Marco Iafrate, che poco dopo avrebbe lasciato la Company per altri incarichi editoriali nella Capitale, dopo aver tentato di pubblicare Batman tramite la Disney, per rinverdire una tradizione mondadoriana che accumunava (per dire) Super Pippo (oggi in edicola con due interessanti storie disegnate da Romano Scarpa e un articolo introduttivo del sottoscritto) con l’Uomo Pipistrello.

Kari Korhonen

Fra i tanti omaggi e ricordi che circolano oggi nella rete, vne scelgo uno insolito, fatto dal grande fumettista Kari Korhonen, in foto (sopra) vicino al neonato Paperino, ispirato chiaramente ad una copertina multipla disegnata a suo tempo da Marco Rota, per esempio per un rinomato Classico di Walt Disney del remoto 1984.

COP_PAPERINO_80ANNI

Di Korhonen è anche la bella illustrazione collettiva di apertura. La speranza è che anche in Italia si possano leggere storie di questo talentuosissimo autore, filologo nei soggetti e nel disegno, versione personalizzata e addolcita della linea dell’ultimo Carl Barks e del Daniel Branca del penultimo periodo, che precede i pur interessanti e deformanti stravolgimenti presenti nelle sue ultime storie.

La copertina sopra, invece, è del volume fresco di stampa Paperino Una vita a fumetti, 80° anniversario, pubblicato da Disney Libri.

Racconta di Donald Fauntleroy Duck dal suo esordio, il 9 giugno 1934, fino al raggiungimento della popolarità worldwide.

Diceva di lui Walt Disney (cito):

WALT DISNEY said of the character: “One of the greatest satisfactions in our work here at the studio is the warm relationship that exists within our cartoon family. Mickey, Pluto, Goofy, and the whole gang have always been a lot of fun to work with. But like many large families, we have a problem child. You’re right, it’s Donald Duck.”

Dopo le prime mosse nei fumetti al fianco di Topolino, il successo individuale del Papero fu così strepitoso che, già a partire dal 1938, Al Taliaferro si incaponì a creare strisce quotidiane a fumetti di Paperino, che vennero pubblicate su 322 giornali.

Il comunicato ufficiale della Disney ci ricorda che:

Dal suo debutto nel 1934, Paperino è apparso in oltre 200 produzioni cinematografiche – più di qualsiasi altro personaggio Disney! – e solo quattro anni dopo le sue prime apparizioni di successo, ha incontrato l’amore della sua vita, Donna Duck, più tardi conosciuta come Daisy Duck, in Italia semplicemente Paperina.

donna3

In realtà, sappiamo (lo abbiamo scritto più volte nelle pubblicazioni ufficiali Disney, e in altre lo abbiamo letto, che Donna Duck e Daisy Duck sono due personaggi diversi, al punto che proprio nella produzione di Taliaferro a fumetti compaiono insieme (come si vede nella vignetta sopra, del 1951), con scene di gelosia all’ordine del giorno, in un breve ciclo di strisce poi riformattate e pubblicate anche dal nostro Topolino. Paperina nasce nel 1940 con in cartoon Mr. Duck Steps Out.

Eccolo di seguito.

Nel 2013, Donna Duck ricompare di nuovo nei fumetti.

donna-donald-2013

A suo tempo, la relazione con lei si era interrotta (e Paperino aveva fatto ritorno da Daisy) perché Donna si era innamorata di un certo… Manuel Gonzales! Il nome è quello di un altro eccelso dissegnatore di fumetti Disney dell’epoca (come i lettori di Cartoonist Globale ben sanno).

Gonzales

E con il successo sono arrivati anche tanti riconoscimenti: un Oscar nel 1943 quale Miglior cortometraggio d’animazione, nel quale Paperino prendeva posizione contro Hitler

il suo nome a un asteroide (Asteroid 12410) nel 1995 e una stella sulla celebre Walk of Fame a Los Angeles.

Per festeggiare la longeva e deflagrante carriera di Donald, Disney Libri riassume in un volume a fumetti 80 anni di storie con protagonista un personaggio tanto amato.

In pochi anni una schiera di artisti di talento (con gli italiani in prima linea, che si accorsero subito che Paperino aveva le carte in regola per diventare una star di alto livello) lo ha trasformato dal buffo palmipede dal collo lungo e la blusa da marinaio degli esordi in uno dei personaggi Disney più amati, che fanno letteralmente impazzire il pubblico.

Il volume racconta la storia di Paperino attraverso fatti, aneddoti, curiosità e tante irresistibili avventure e si apre con la storia che potremmo definire “rappresentazione onirica”. Un fumetto nato per un cartonato speciale dalla copertina dorata che Marco Rota scrisse e disegnò per i primi 50 anni del Papero, inventandosi un impossibile rapporto di fratellanza fra Nonna Papera e Zio Paperone (che sappiamo far parte addirittura di due ceppi famigliari diversi).

Riprende poi cronologicamente la storia di Paperino dalle prime apparizioni nelle Silly Symphonies fino alle storie in cui assume il ruolo di vero e proprio protagonista, oltreoceano con Carl Barks e in Italia con la storia del geniale Federico Pedrocchi e la testata a nome Paperino e altre avventure dalla mondadoriana A.P.I. (Anonima Periodici Italiani).

Paperino e altre avv.

È la prima storia di ampio respiro con un personaggio Disney realizzata in Italia, nonché uno dei più antichi e precoci esempi di un’avventura completa con protagonista Paperino (seconda solo a una continuity inglese, recentemente riproposta in un bel volume dell’Anafi), proiettato dal contesto urbano e rurale delle strip statunitensi in uno scenario fantascientifico. E’ la prima volta che questa avventura viene pubblicata integralmente e non rimontata.

Arrivando ai nostri giorni la selezione delle storie mette in luce anche le diverse facce di Paperino: fidanzato di Paperina, nipote di Paperone, eroe con Paperinik prima e PK poi e infine il suo lato infantile di Paperino Paperotto nonché quello più recente dell’agente segreto DoubleDuck, idealto da Fausto Vitaliano.

Il volume si chiude proprio con DoubleDuck-Prima della Prima, thriller spionistico disegnato da Giorgio Cavazzano negli anni 2000, con Paperino spia al servizio di un’agenzia talmente segreta da non avere nemmeno un nome e come arma un gadget fuori dal comune: un telecomando globale che apre e accende tutto…frullatori compresi.

Al giorno d’oggi, Paperino è uno dei più popolari personaggi Disney al mondo e appare ogni giorno ne La Casa di Topolino in onda su Disney Junior e ha anche un ruolo chiave ne I Corti di Topolino in onda invece su Disney Channel (nell’aerea EMEA l’82% dei bambini di età compresa tra 0-5 anni e il 98 % di quelli tra i 6-14 anni di età conosce Paperino).

Solo nell’arco del 2013, in tutta Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA) sono state vendute 80 milioni di copie delle riviste Donald Duck in 16 edizioni locali – compresi settimanali, mensili e altri titoli collezionati insieme alla rivista. Tutto questo è solo un segno della popolarità di Paperino, un personaggio senza tempo che in parte ci rappresenta tutti, rimasto fresco e popolare attraverso i decenni.

Buon compleanno Paperino e… buona lettura a tutti!

Sotto, un incipit dio un mio articolo di cinque anni fa, per il settantacinquennale del Papero, e una “coda” suul suo primo effettivo creatore grafico, per anni sepolto dall’oblìo: Ferdinand Horvath.

Vecchio articolo

Lupo sirena

Il numero 29 di Film TV in edicola con data del 26 luglio, contiene un pezzo degno di nota a firma di Andrea Fornasiero, dove (con un po’ di ritardo) si celebra il settantacinquennanale della creazione di Donald Fauntleroy Duck.

© Disney per alcune delle (rarissime!) immagini.

Fornasiero Film TV blog
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Horvath

L’articolo, del quale riporto l’incipit qua sopra, ha per titolo Non si sevizia un Paperino, riprendendo quello omonimo del film horror del 1972 diretto da Lucio Fulci.

Sulla vita e sulla carriera del Grande Papero Fornasiero interroga Giulio Giorello, Giorgio Cavazzano e Tito Faraci.
Al sottoscritto è chiesto di far luce sulle misteriosi origini del personaggio, visto che chi abbia definito, almeno graficamente, i caratteri distintivi di Paolino Paperino non è mai stato individuato con certezza.
Articolando la risposta “da un fantastiliardo di dollari” esce fuori ancora una volta il nome abbastanza ignoto di Ferdinand Huszti Horvath (1891 – 1973), artista che ha lavorato per Walt Disney in vari progetti anche molto importanti, da Biancaneve ad Alice, ma che non è stato accreditato, a quanto mi risulta, per il suo importante contributo: un’attività atipica paragonabile in gran parte a quella di “visualizer creativo” affidata ad Albert Hurter.
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Scrofa
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L’archivista storico della Disney, Dave Smith, conferma l’”avvenuta esistenza” di un remoto questo model sheet, che sarebbe servito da traccia e punto di riferimento per gli animatori. Ma questo documento non esiste più da decenni negli Archivi di Burbank.
Probabilmente, si è perso poco dopo la realizzazione del film o subito prima, dato che non rivestiva più alcuna funzione pratica: il personaggio, una volta lanciato, sarebbe stato progressivamente sottoposto a restyling e il suo modello iniziale sarebbe addirittura apparso come motivo di confusione.

La prima illustrazione con Paperino, invece, esiste, e nasce per essere allegata al kit del suo primo cortometraggio. Disegnata a mezzatinta, è la probabile opera del disegnatore Ferdinand Horvath, il quale (perché no? Avanzo solo in questa sede, per la prima volta, l’ipotesi che segue)… potrebbe anche essere stato incaricato di realizzarla perché aveva abbozzato egli stesso il model sheet originario del Papero in divisa da marinaio.

Alla luce della carrellata di immagini che riproduco in questo articolato post, l’ipotesi non è affatto peregrina. Horvath aveva il compito di disegnare in forma abbozzata ma efficace, proposte creative per vari personaggi di film lunghi e corti. In apertura (a sinistra del bozzetto con Ezechiele Lupo vestito da sirena incantarice), possiamo infatti vedere due proposte per il gigante di Topolino Ammazzasette (The Brave Little Taylor), con l’indicazione approssimativa delle sue dimensioni rispetto al coraggioso sarto Mickey (il piccolo sorcio appena abbozzato tra i due energumeni è appunto lui).
Sotto, altri quattro giganti, degli gnomi, degli orsi per un cortometraggio mai realizzato su Goldilocks (Riccioli d’oro) e bozzetti per i Tre Porcellini, con un Gimmi e un fratellino vestito alla marinara molto simili ai loro design finali.
Non si fa fatica a realizzare che Horvath sia stato anche responsabile del rough model di Peter Pig (Meo Porcello).

Il primo disegnatore di Paperino nei fumetti è invece ben noto. Si tratta di Al Taliaferro, che del personaggio si innamorerà al punto da fare pressioni più volte presso i fratelli Disney affinché una tavola domenicale e una striscia con Donald Duck vedano la luce.
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Cavalieri
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Horvath, illustratore di libri emigrato in USA dall’Ungheria, era nato nel 1891. Morirà per un infarto nel 1973.
Dal 1934 al 1937, lavora per i Disney Studios facendo un po’ di tutto, compresa la pubblicità e le illustrazioni per i pop-up book, quelli che a suo tempo erano stati attribuiti da qualche critico a Floyd Gottfredson o addirittura a Ub Iwerks (cosa impossibile, peraltro, poiché Ub all’epoca non lavorava più con Walt).
In questo lasso di tempo Horvath dipinge anche fondali ad acquerello e esegue dei layout per la construzione di oggetti tridimensionali da usarsi come modelli; per esempio un piccolo mulino a vento tridimensionale del quale studiare i movimenti durante la lavorazione del cortometraggio The Old Mill, nel quale debutterà la famosa macchina da ripresa a piani multipli, la Multiplane Camera.

L’illustratore ungherese si occuperà di bozzetti da impiegare nei film per delle gag e del character design di personaggi assortiti per oltre cinquanta corti dei cicli Silly Symphonies e Mickey Mouse. Qui sotto, per esempio, un bozzetto a colori per il character design dei tre topolini ciechi per la Silly Symphony dal titolo Three Blind Mousketeers.
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Three Mouseketeeers
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Alcune visualizzazioni saranno messe a profitto anche molti anni dopo che Horvath avrà lasciato lo studio, partendo verso “nuove avventure”. Così, l’Umbrella Bird servirà da spunto per un personaggi secondario di Alice in Wonderland, che vedrà la luce nelle sale solo nel 1951.
Le immagini di questo post, non tutte di uso e ispirazione disneyani, comprese le memorie che riporto di seguito, provengono dal libro-catalogo di e su Horvath della collana Illustrators of Childrens’ Books: 1744-1945 (Mahoney, 1947).

Eccome Horvath racconta la sua storia:

“In 1921, I arrived in New York and when my forty dollars was spent I went to work painting window frames on Avenue A, hanging between the eleventh floor and the sidewalk, caulking and painting boat hulls on the Hudson River. After dozens of odd jobs, I went into stage effects, set designing, and finally into animated cartoons. In time I did some work for Harper’s Bazaar and other New York publications, and finally found my way into book illustration.

In 1933 I joined Walt Disney’s staff in Hollywood and worked with Disney as a sketch artist, idea man, and model creator. After the outbreak of the Second World War, I went to North American Aviation and later to Howard Hughes in a technical capacity to work on confidential designs.”
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Bosco Horvath
Bianca-Foresta
Animali circo
Grasshopper
Leo
Ciuchi
Horvath umbrella bird
Gnomi
Giganti Brave Little Taylor
Porcelli e orsi

13 Jun 14:15

BILL WATTERSON HA RICOMINCIATO A…

by Luca Boschi

scrivere e disegnare strisce.
Chi l’avrebbe mai detto, eh?
Eccone una prova.
La striscia Pearls Before Swine. Chi se la prenota in Italia? Linus nel suo cinquantennale?

strip Watterson

Strana persona, certo. Ci sono più foto del mostro di Lochness che di lui.

Io ne conosco solo una.
Questa.
La sua somiglianza con il mio edicolante Igor (sotto in foto insieme a Don Rosa, nella sua sontuosa edicola) è abbastanza evidente. Ma non c’entra nulla.

Bill Watterson

Don Rosa e Igor, vecchi amici

Si dice anche che nel mondo del fumetto siano stati più quelli che hanno incontrato lo Yeti che lui. Si racconta che quando Steven Spielberg lo chiamò per proporgli un film, nemmeno abbia risposto, Che timbro di voce avrà?

Pearls Before Swine - pb_c140607.tif

pb140604

A proposito di strisce, il loro © è dei rispettivi aventi diritto.
Ciò vale anche per questa Liberty Meadows di Frank Cho.

liberty

Attualmente questo post (sabato pomeriggio del 7 giugno) è pieno di sgangheratezze, come lo straripamento a destra di tutte le immagini.
Ma può darsi che in futuro si riassesti. Già accadde in passato. Poi, il misterioso topolino dei dentini, appena ha un momento di libertà, sollevato dalle incombenze della costruzione dei grattacieli di molari e incisivi, nottetempo mette tutto a posto.

Per attrarre un po’ di attenzione in più su quest post, copiato e retwittato da altri qualche minuto dopo la sua messa online, celebro una ricorrenza embeddando per intero un cartoon molto censurato, pratimente invisibile in una sua versione di qualità accettabile (infatti, questa sotto fa schifo, ma tant’è).

E’ un cartoon con Daffy Duck dal titolo A Coy Decoy, diretto da Bob Clampett. Una variazione sul tema dello stupendo Book Review, eccetera. La sua data di distribuzione fu, nell’anno 1941, proprio il 7 di giugno.

13 Jun 14:08

No, un “supercomputer” non ha superato il Test di Turing

by Paolo Attivissimo
Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “sergio.tom*” e “dabogirl” ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Impazza ovunque la notizia che un computer, anzi un “supercomputer”, come titola Il Sole 24 Ore, avrebbe superato il mitico Test di Turing, dimostrando quindi di essere dotato d'intelligenza. È una balla spacciata da un ricercatore, Kevin Warwick, già noto per le sue dichiarazioni roboanti e del tutto prive di fondamento scientifico. Il test non è stato affatto superato, nonostante Warwick ne abbia alterato le regole a proprio favore.

Prima di tutto, facciamo un ripassino veloce di cos'è il Test di Turing. Non ne esiste una definizione univoca, ma il matematico Alan Turing nel 1950 scrisse un celebre articolo, Computing Machinery and Intelligence, in cui proponeva un “gioco dell'imitazione” che è stato usato come ispirazione per il test: un esaminatore conversa liberamente via chat (allora si pensava a una telescrivente) con un computer e con un essere umano. Se non riesce a distinguere quale dei due è il computer e quale è l'essere umano, allora si può concludere – argomentava Turing – che il computer “pensa” o perlomeno è in grado di imitare perfettamente il pensiero umano e quindi è intelligente quanto un essere umano. Il test ha molti limiti, dovuti anche all'età: all'epoca l'intelligenza artificiale era un campo inesplorato.

Quello che è successo invece alla Royal Society di Londra, secondo il comunicato stampa dell'Università di Reading, è che il computer (o meglio, un software denominato “Eugene Goostman”) è riuscito a convincere soltanto il 33% degli esaminatori che era un essere umano. Uno su tre. Cito: “Eugene managed to convince 33% of the human judges that it was human.” L'altro 67% non s'è fatto fregare. Questo, a casa mia, non si chiama “superare” un test.

Non solo: secondo il comunicato stampa, il test di Turing prevederebbe che “se un computer viene scambiato per un essere umano più del 30% del tempo durante una serie di conversazioni via tastiera di cinque minuti, allora supera il test” (“If a computer is mistaken for a human more than 30% of the time during a series of five minute keyboard conversations it passes the test”). Falso: Turing non ha mai scritto una percentuale del genere come criterio di superamento. Ha invece scritto che il test viene superato se l'esaminatore sbaglia con la stessa frequenza sia quando deve distinguere fra un uomo e una donna, sia quando deve distinguere fra un essere umano e un computer (“We now ask the question, "What will happen when a machine takes the part of A in this game?" Will the interrogator decide wrongly as often when the game is played like this as he does when the game is played between a man and a woman? These questions replace our original, "Can machines think?"”).

L'unica cosa che si avvicina a quanto asserito dal comunicato stampa è una previsione di Turing, sempre in Computing Machinery and Intelligence, che entro il 2000 sarebbe stato possibile programmare un computer in modo che “un esaminatore medio non avrebbe avuto più del 70% di probabilità di fare un'identificazione corretta dopo cinque minuti di domande” (“I believe that in about fifty years' time it will be possible, to programme computers [...] to make them play the imitation game so well that an average interrogator will not have more than 70 per cent chance of making the right identification after five minutes of questioning”). Ma non è una descrizione del criterio di superamento del test: è, appunto, soltanto una previsione che fra cinquant'anni l'informatica sarà arrivata a questo livello. Tutto qui.

In altre parole, il test annunciato sui giornali non corrisponde affatto ai criteri originali enunciati da Turing, che non ponevano limiti di tempo, di argomento o di competenza all'esaminatore. Invece in questo evento:
– l'interrogatorio è stato limitato a sessioni di cinque minuti (forse ripetute);
– non tutti i giudici (che erano forse trenta o cinque in tutto; c'è una confusione sorprendente anche su cose semplici come questa) erano esperti nel valutare software d'intelligenza artificiale: i nomi finora resi noti sono quelli di Robert Llewellyn (attore noto come il robot Kryten di Red Dwarf), Aaron Sloman (professore d'informatica presso la University of Birmingham) e Lord Sharkey (che non sembra avere qualifiche nel settore dell'AI, anche se la BBC lo definisce “esperto” in questo campo);
– è stato detto ai giudici che dovevano decidere se stavano comunicando con un computer che simulava un bambino di tredici anni oppure con un vero tredicenne; ma la scelta di un adolescente equivale a barare, perché impedisce ai giudici di fare domande complesse di cultura o di etica e quindi semplifica molto il compito di imitare un essere umano;
– è stato inoltre comunicato ai giudici che “Eugene Goostman” non parlava bene l'inglese perché era ucraino: un trucco che permetteva di dare una spiegazione credibile alle sgrammaticature del software, incapace di formare frasi idiomatiche.

Infatti Time ha pubblicato una trascrizione di un dialogo con il software che avrebbe “superato” il Test di Turing: basta leggerla per notare che il programma non fa altro che produrre frasi preconfezionate, sviando le domande dell'intervistatore. Quando il software non trova nulla di utile nella domanda, risponde “Preferisco non parlare di questo”. Così son capaci tutti: questa non è intelligenza, è pura elaborazione meccanica. In pratica “Eugene Goostman” è un chatbot e nulla di più. Ne potete provare una versione qui (se il sito non è sovraccarico).

Il Guardian ha pubblicato una foto di uno spezzone di conversazione con “Eugene”: valutatene voi la credibilità. Notate che in due occasioni il software si limita a prendere la frase dell'interlocutore e ripresentarla sotto forma di domanda e per due volte risponde cambiando argomento.

ESAMINATORE: Hello

EUGENE: Hello, how are you?

ESAM: I am fine, you?

EUG: I am pleased you are fine.

ESAM: and you?

EUG: I do not want to answer that right now.

ESAM: Why not?

EUG: Lets talk about something else.

ESAM:  Ok what?

EUG: What is on your mind?

ESAM: I am wondering if you are a robot.

EUG: Would if be a problem if I was a robot?

ESAM: Not really.

La contraddizione tra le affermazioni del comunicato stampa e la realtà dei fatti è resa particolarmente palese da questo articolo della BBC, nel quale gli organizzatori sottolineano che “le conversazioni non avevano restrizioni” (“crucially, the conversations were unrestricted”) e subito dopo dichiarano che simulare un tredicenne ucraino limitava astutamente la conversazione (“It was very clever ruse to pretend to be a 13-year-old Ukranian boy, which would constrain the conversation”). Decidetevi.

Non è finita: anche l'affermazione che “nessun computer è mai riuscito a ottenere questo risultato finora” (“No computer has ever achieved this, until now”) è falsa. Già tre anni fa il chatbot Cleverbot aveva convinto il 59% degli esaminatori che era un essere umano. Ben più del 33% di “Eugene”.

Il professor Warwick, inoltre, è già in sé una garanzia di bufala. Anni fa aveva annunciato di essere il primo cyborg perché s'era impiantato un chip in un braccio (se così fosse, tutti i cani e gatti con microchip sottocutaneo d'identificazione sarebbero dei cyborg). Poi aveva fatto la sparata di annunciare il primo essere umano infettato da un virus informatico: in realtà aveva semplicemente preso un chip contenente un virus informatico e l'aveva inserito nel braccio di un collega. Ne ha dette talmente tante che The Register ha una compilation delle stupidaggini sensazionaliste annunciate da Warwick.

Una cialtronata in piena regola, insomma, che è indegna della Royal Society e cavalca il sessantesimo anniversario della morte di Turing, causando soltanto confusione nell'opinione pubblica. Non c'è nessuna intelligenza artificiale in arrivo: continueremo a essere circondati dalla stupidità naturale e dall'ingenuità dei giornalisti che scrivono di cose che non sanno e pubblicano qualunque cosa senza verificarla. E questo “test” dimostra semmai che se basta così poco per imitare un tredicenne, allora i tredicenni non sono esseri pensanti. Ho qualche dubbio in proposito anche su molti giornalisti.

Fonti aggiuntive: Techdirt, Ars Technica.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.
13 Jun 14:08

Particle physics: The hunt for Majorana neutrinos hots up

by David Wark

Particle physics: The hunt for Majorana neutrinos hots up

Nature 510, 7504 (2014). doi:10.1038/nature13501

Author: David Wark

Finding that neutrinos are their own antiparticles would revolutionize particle physics. A high-sensitivity technique accelerates the search for the nuclear-decay process that would enable such a discovery. See Article p.229

24 May 13:15

Lewis Carroll in Numberland

Charles Dodgson is best known for his "Alice" books, "Alice's Adventures in Wonderland" and "Through the Looking-Glass", written under his pen-name of Lewis Carroll.
 

If he hadn't written them, he'd be mainly remembered as a pioneering photographer, one of the first to consider photography as an art rather than as simply a means of recording images. But if Dodgson had not written the Alice books or been a photographer, he might be remembered as a mathematician, the career he held as a lecturer at Christ Church in Oxford University.

But what mathematics did he do? How good a mathematician was he? How influential was his work?

In this illustrated paper, I'll describe his work in geometry, algebra, logic and the mathematics of voting, in the context of his other activities and, on the lighter side, I present some of the puzzles and paradoxes that he delighted in showing to his child-friends and contemporaries.

24 May 13:01

Donne che cambiano il mondo: Nice LlNailantei Leng’ete

by Gianluigi Filippelli
Venerdì 9 maggio alla Casa delle donne di Milano, è stata ospite Nice LlNailantei Leng'ete, che in Kenya ha iniziato una battaglia contro la circoncisione delle bambine. Mia sorella, che ha assistito dal vivo all'incontro, mi ha raccontato della forza e della determinazione trasmesse da Nice durante l'incontro, che è stato anche raccontato in live sulla pagina facebook della Casa delle donne:
Nice ha 23 anni, è una donna Maasai ed è qui alla casa per raccontarci la sua battaglia. 'Da noi le mutilazioni genitali sono un rito obbligatorio, dopo il quale le bambine smettono di andare a scuola perché diventano donne da marito. Può succedere a 8, 10, 12 anni'.
La fuga di notte con la sorellina, camminare per 20 km per sfuggire alla mutilazione ed essere prese, picchiate e riportate a casa. Fuggire di nuovo, mentre la sorella terrorizzata rinuncia e si consegna. Salvarsi, e rendersi conto di quante altre non hanno potuto farlo. A 8 anni.
Il prezzo della salvezza è stata l'emarginazione. Nice è diventata educatrice alla pari per Amref e ha aperto trattative con gli uomini del villaggio cominciando a parlare loro di HIV e salute
Anni di negoziazioni con i giovani del villaggio prima, e con gli anziani poi. Un lento dialogo con tutto il villaggio sull'abbandono scolastico, sulle gravidanze precoci, sui rischi legati alle mutilazioni
Il nuovo rito di passaggio, che ha sostituito quello tradizionale, è fatto da due giorni di formazione giuridica e sanitaria per tutti, e il terzo giorno si fa la festa tradizionale ma senza tagli, e il giorno dopo le bambine tornano a scuola
L'educazione non solo salverà le donne, ma è una chance contro la povertà e le malattie. Ci sono donne forti che non sono state educate, ma sono le donne istruite a poter essere più forti.
Il simbolo della forza richiesta alle bambine è una collana, che i padri danno loro. Nice ci ha salutate regalandoci una collana ciascuna, 'per tutte le donne forti che ci sono qui stasera'. Commozione e applausi.
Un resoconto dell'incontro è presente anche sul sito della Casa delle donne a cura di Patrizia Argentino.
24 May 12:58

Recreational Mathematical Magazine [Pillole]

by Maurizio Codogno
Gianluigi.ulaula

Anche io, ancora più in ritardo di .mau., segnalo la nuova rivista (tramite il suo post!)

Una nuova rivista di matematica ricreativa!

The post Recreational Mathematical Magazine [Pillole] appeared first on Il Post.

24 May 12:54

Taxi, Uber e il fascismo in corsia preferenziale

by fabristol

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E’ raro che utilizzi questa parola, fascismo, per descrivere una situazione sociale e politica ma quando lo faccio è con cognizione di causa. Non posso infatti trovare altro termine per descrivere la situazione che si è creata tra i tassisti milanesi e gli autisti che si appoggiano a Uber, l’app che sta facendo imbestialire i tassisti per l’appunto. C’è infatti tutto quello che costituisce l’essenza stessa del fascismo. Abbiamo il corporativismo, il sistema di categorie protette che stava alla base della società fascista. Il governo che dà le licenze a pochi per poterli controllare e legarli al potere politico, la negazione totale del libero mercato. Abbiamo quindi il protezionismo che priviliegia i pochi privilegiati e mette ostacoli a chi vorrebbe entrare nel mercato. Abbiamo l’utilizzo delle tariffe fissate per legge che distruggono la libera concorrenza, mutilano il progresso e alzano i prezzi a discapito di servizi e clienti. Abbiamo lo squadrismo più becero di chi si sente protetto dal governo e può insultare, minacciare e investire chi vorrebbe portare un servizio migliore e più economico ai cittadini. Abbiamo l’appoggio dei partiti di destra come Fratelli d’Italia. De Corato, vice presidente del consiglio comunale ha infatti intrapreso una battaglia contro l’ “illegalità”. Ovviamente è “legalizzato” solo chi lavora in connubio con lo stato, come durante il fascismo. O come Guido Viale della lista Tsipras – socialisti internazionali ma sempre fascisti – che parla di “privatizzazione selvaggia del servizio pubblico”. Le parole sono sempre le stesse e quando le sento so già da che parte stare: farwest, liberismo selvaggio, illegalità, sicurezza. Tutti paroloni sulla bocca del politico di turno che sottintendono sempre la solita solfa: più Stato e meno libero mercato.

Uber permette di avere un servizio più efficiente e a basso costo con il semplice click in una app del proprio smartphone. Il pagamento avviene tramite la app ed è in base ai chilometri percorsi. Un autista di Uber per dire non potrebbe mai fare il furbo come fanno i tassisti di Roma e Milano con i turisti giapponesi o orientali perché non vi è denaro contante in gioco e i prezzi sono gestiti centralmente dalla app. O trovarsi extra addebitate non concordate alla partenza. Finiti i tempi per fare i furbetti del quartierino quindi. E finita è pure la mancanza di innovazione tecnologica che nel settore è ferma a logiche di 80 anni fa. Dice bene infatti il CEO di Uber Travis Kalanick: “They don’t have to innovate because those cabs are always full. And they’re full because they’ve gotten City Council to protect them, to basically outlaw competition.”.

Purtroppo c’è poco che possiamo fare per appoggiare Uber contro la lobby dei tassisti – la loro lobby, i partiti, i media e lo stesso Stato sono contro Uber – ma sicuramente possiamo fare una cosa molto semplice che sta al cuore del libero mercato. Ovvero scegliere. Quando dovrete prendere un taxi scegliete Uber e lasciate i taxi con licenza a scioperare mentre aspettano l’intervento dello Stato per proteggerli.


24 May 12:51

È arrivato - oh qual terrore! - delle tasse l'esattore

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Tratto dal nº 34 del 26 agosto 1962 del Corriere dei Piccoli.



24 May 12:42

Quantum Secrets

not_even_the_CIA_knows_about_this_secret_prison
24 May 12:41

Homophobia and HIV research: Under siege

by Linda Nordling

Homophobia and HIV research: Under siege

Nature 509, 7500 (2014). http://www.nature.com/doifinder/10.1038/509274a

Author: Linda Nordling

A wave of anti-gay laws and homophobia in Africa is hampering efforts to study and curb the spread of HIV.

24 May 12:40

Anthropogenic electromagnetic noise disrupts magnetic compass orientation in a migratory bird

by Svenja Engels

Anthropogenic electromagnetic noise disrupts magnetic compass orientation in a migratory bird

Nature 509, 7500 (2014). doi:10.1038/nature13290

Authors: Svenja Engels, Nils-Lasse Schneider, Nele Lefeldt, Christine Maira Hein, Manuela Zapka, Andreas Michalik, Dana Elbers, Achim Kittel, P. J. Hore & Henrik Mouritsen

Electromagnetic noise is emitted everywhere humans use electronic devices. For decades, it has been hotly debated whether man-made electric and magnetic fields affect biological processes, including human health. So far, no putative effect of anthropogenic electromagnetic noise at intensities below the guidelines adopted by the World Health Organization has withstood the test of independent replication under truly blinded experimental conditions. No effect has therefore been widely accepted as scientifically proven. Here we show that migratory birds are unable to use their magnetic compass in the presence of urban electromagnetic noise. When European robins, Erithacus rubecula, were exposed to the background electromagnetic noise present in unscreened wooden huts at the University of Oldenburg campus, they could not orient using their magnetic compass. Their magnetic orientation capabilities reappeared in electrically grounded, aluminium-screened huts, which attenuated electromagnetic noise in the frequency range from 50 kHz to 5 MHz by approximately two orders of magnitude. When the grounding was removed or when broadband electromagnetic noise was deliberately generated inside the screened and grounded huts, the birds again lost their magnetic orientation capabilities. The disruptive effect of radiofrequency electromagnetic fields is not confined to a narrow frequency band and birds tested far from sources of electromagnetic noise required no screening to orient with their magnetic compass. These fully double-blinded tests document a reproducible effect of anthropogenic electromagnetic noise on the behaviour of an intact vertebrate.

24 May 12:40

Conditions for Viral Influence Spreading through Multiplex Correlated Social Networks

by Yanqing Hu, Shlomo Havlin, and Hernán A. Makse

Author(s): Yanqing Hu, Shlomo Havlin, and Hernán A. Makse


Creative Commons Social networks experience viral spreading, in which a small group of pioneering individuals can popularize movements and ideas. Scientists use physical modeling and empirical validation to trace how networks shrink and grow depending on the actions of both random nodes and well-connected nodes.

[Phys. Rev. X 4, 021031] Published Tue May 20, 2014

22 Mar 22:17

Tris giocato a caso [Pillole]

by Maurizio Codogno

Se si gioca a tris a caso, non è mica facile pareggiare!

The post Tris giocato a caso [Pillole] appeared first on Il Post.

26 Jul 12:40

Digital learning: Look, then leap

by Michael M. Crow

Digital learning: Look, then leap

Nature 499, 7458 (2013). doi:10.1038/499275a

Author: Michael M. Crow

Massive open online courses can make higher education more accessible, immersive and comprehensive — if they are deployed with due caution, says Michael M. Crow.

26 Jul 12:38

07/19/13 PHD comic: 'Zeno's Paradoc'

Piled Higher & Deeper by Jorge Cham
www.phdcomics.com
title: "Zeno's Paradoc" - originally published 7/19/2013

For the latest news in PHD Comics, CLICK HERE!

15 Jul 23:20

A classic 24/7 Lecture: Benoit Mandelbrot — FRACTALS

by Marc Abrahams

Benoit Mandelbrot delivered one of the very early 24/7 Lectures. A 24/7 Lecture is a lecture in two parts: first a complete technical description in 24 seconds, second a simple description anyone can understand in 7 words.

At the 2006 Ig Nobel Prize Ceremony, Professor Mandelbrot, who invented the concept of fractals, here spoke on the topic: FRACTALS. His seven-word summary has become a classic definition, against which all others are measured.

Here’s video of that historic moment:

BONUS: The 24/7 Lectures have been a featured part of every Ig Nobel Prize Ceremony since 2001. This year’s ceremony, on September 12, 2013, will include several new 24/7 Lectures, each written and performed by one of the world’s great thinkers.

BONUS: Dany Adams’s classic 24/7 Lecture on BIOLOGY

BONUS: Eric Lander’s classic 24/7 Lecture on THE HUMAN GENOME

BONUS: Other Improbable Research videos

11 Jul 22:54

Il mito dell’acqua finita

by fabristol
Gianluigi.ulaula

Mi viene da dire: questa sarebbe vera acqua pubblica

Tra i vari miti di quella che sta diventando piano piano una vera e propria religione fondamentalista con ramificazioni politiche da non sottovalutare – parlo dell’ambientalismo – esiste quello dell’acqua che sta per finire. Oramai lo si legge un po’ dappertutto, nei TG, nei giornali, su internet, ecc., questa nuova fobia della fine dell’acqua con immagini apocalittiche di una Terra desertica stile Mad Max o Kenshiro.

Nonostante il 70% della superficie del pianeta sia ricoperta dalle acque e la molecola dell’acqua sia quella tra le più diffuse nell’universo (sottoforma di gas nelle nebulose per esempio) e che si trovi in un continuo ciclo tra fase liquida e gassosa, la gente pensa che il nostro futuro sia come quello di Marte: un deserto. Ahimé, è invece vero il contrario cioè che rischiamo di morire più per troppa acqua su questo pianeta che perché ce n’è di meno. L’unico modo per l’acqua per scomparire dalla faccia della Terra infatti è perché “scappa” dall’atmosfera terrestre sotto forma gassosa (per la cosiddetta fuga atmosferica anche se è minima perché abbiamo una robusta magnetosfera che ci protegge dal vento solare e perché l’acqua in genere si condensa in nuvole e poi in pioggia ad altitudine così basse che ritorna sulla Terra) o perché si scinde nei suoi componenti fondamentali H e O2 tramite elettrolisi (che non so quanto e come possa avvenire naturalmente). Ma a compensare per eventuali minime perdite ci sono sempre le eruzioni vulcaniche, quelle che hanno contribuito in parte alla grande quantità di acqua del nostro pianeta. Ci sono “oceani” di acqua sotto la crosta terrestre che vengono espulsi dalle eruzioni vulcaniche continuamente. Possiamo dire con un certo grado di sicurezza che la quantità di acqua sulla Terra è costante ma è il suo stato che può cambiare: solido, liquido, gassoso, sequestrato in materiali inorganici e organici ecc.

Il global warming, poi, non c’entra un fico secco con la carenza di acqua. La presenza di acqua liquida sul terreno non ha alcuna correlazione con la temperatura nell’aria. Maggior evaporazione non significa minor quantità di acqua in una regione. Se fosse così nelle regioni tropicali dove si raggiungono durante il giorno temperature altissime non dovrebbe mai piovere e non ci sarebbe più acqua liquida quando invece è l’esatto contrario! I fenomeni di condensazione dell’acqua nell’atmosfera dipendono da milioni di fattori – pressione, geografia, presenza di cariche elettriche sul terreno, venti ecc. – e la temperatura è solo uno dei tanti.

Altro mito da sfatare è che ci sia una relazione tra l’acqua consumata da noi, in Europa o in USA, e i conflitti per l’acqua nelle aree povere del mondo. Un po’ come il mito della nonna “Perché non mangi? Lo sai quanti bambini in Africa stanno morendo per colpa tua!”.

Se il “mondo ha sete”, dicono le organizzazioni ambientaliste e quelle governative come la FAO, non è perché noi occidentali la sprechiamo o non la razionalizziamo ma perché nei paesi poveri o a rischio siccità come il Sud Italia, Grecia, Spagna ecc. non esiste una razionalizzazione della raccolta, non dell’uso dell’acqua. Il problema è la raccolta in questi paesi che fa… acqua da tutte le parti, è proprio il caso di dirlo!

L’acqua non scarseggia sulla terra ferma, anzi abbonda visto che negli ultimi anni i fenomeni alluvionali sono cresciuti esponenzialmente. Fiumi di immensa portata si abbattono dal cielo verso la terra e si riversano su molte regioni del pianeta e… non facciamo altro che lasciarli andare via verso il mare.

Ma allora perché esiste questa percezione che l’acqua stia finendo interno a noi? Che il mondo diventerà un immenso arido deserto?

Per prima cosa il consumo è aumentato in certe aree e quindi le riserve sembrano finire prima ma soprattutto perché non siamo in grado di raccogliere le centinaia di migliaia di tonnellate di acqua che piovono sulle nostre teste. Vi bastino questi due esempi: a Londra piovono meno mm di acqua all’anno che a Roma (600 – quasi come a Cagliari- a fronte degli 840 di Roma); quando in UK negli scorsi anni ha smesso di piovere per due mesi di seguito è stato allarme siccità. Questi due esempi ci insegnano alcune cose: primo, non sono le quantità di acqua per anno che fanno una regione arida o florida ma la distribuzione di quest’acqua lungo tutto l’anno; secondo, che perfino nei paesi in cui sembra che non ci siano problemi di siccità basta un cambiamento minimo del clima per creare scompensi enormi. In particolare in UK per razionalizzazione e raccolta dell’acqua stanno messi peggio di qualsiasi paese arido del sud del mondo! In UK non esistono grandi invasi artificiali per esempio e la maggior parte dell’acqua viene presa dai fiumi. Esatto, l’acqua di rubinetto di Londra viene dal Tamigi. Tra l’altro che motivo esiste nella campagna del “non sprechiamo l’acqua!” in paesi dove l’acqua si preleva dai fiumi visto che l’acqua comunque va “sprecata” quando il fiume sfocia sul mare? Misteri della fede.

Ora non voglio farvi una pippa sulla saggezza dagli antichi ma forse dovremmo imparare un po’ dai fenici e dai romani che in quanto a razionalizzazione dell’acqua erano degli esperti. A Cagliari, città fenicia poi cartaginese e poi romana, l’intero sottosuolo è bucato come una gruviera svizzera. Cisterne, cisterne, cisterne. Ogni casa aveva una cisterna, le cisterne più grandi erano collegate da complessi canali e nessuno soffriva di siccità. Gli antichi sapevano che pioveva solo in alcuni mesi dell’anno e allora si ingegnavano nel costruire strutture per mantenere l’acqua in cisterne sia private che pubbliche per i mesi più aridi. Queste cisterne venivano riempite dall’acqua piovana raccolta sui tetti. Un’idea tanto semplice quanto geniale.

Ora, le aree urbane moderne hanno una caratteristica predominante: la presenza di grandi superfici di tetti. Ma noi cosa facciamo? Colleghiamo le grondaie alla strada o addirittura direttamente alle fogne!! Acqua pulita che viene buttata nel cesso, letteralmente. Immaginatevi invece una città che riesce a convogliare l’acqua piovana proveniente dalle grondaie in una rete di raccolta che poi può essere riciclata per uso domestico o industriale. Immaginatevi una civiltà in cui si usa acqua piovana non trattata o clorata per far funzionare lo sciaquone o per innaffiare il giardino. Non solo pubblicamente con queste reti ma anche e soprattutto con l’iniziativa privata. Ognuno di noi può collegare le grondaie a cisterne di condominio o nel giardino di casa e avere acqua gratis tutto l’anno. Pensate quanto gli stati spendono nella costruzione di dighe e complessi sistemi di raccolte sulle montagne per poi trasferirli nelle città quando invece le città sono i sistemi di raccolta!


06 Jul 22:12

Il puffofono

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Tratto dal nº 35 del 2 settembre 1984 del Giornalino.



05 Jul 14:00

Dal Radithor a Stamina, perché esistono le regole in medicina

by Marco Cattaneo

Della vicenda Stamina si è già scritto tutto, o quasi. In particolare si è parlato, in questi giorni, del presunto plagio delle immagini dall’articolo di Elena Schegelskaya inserite nelle domande di brevetto presentate da Stamina. Ma soprattutto dei rinvii ripetutamente richiesti da Davide Vannoni per fornire al ministero il protocollo per la sperimentazione della terapia a base di staminali. Quasi paradossale, a questo proposito, l’intervista rilasciata da Vannoni questa mattina a Radio24, nella trasmissione di Alessandro Milan, in cui confusamente parla di semplificazione e di standardizzazione di un protocollo che non si sa bene se e quando sarà consegnato al ministero. Il link all’intervista è questo, se volete farvene un’idea. (L’intervista, per inciso, è negli ultimi venti minuti del programma.)

Al di là delle critiche già espresse da molti altri, molto più competenti di me, c’è una frase di Vannoni che mi ha colpito. E precisamente questa: «Visto che avevo in mano una terapia che pensavo funzionasse, ho cercato di applicarla, salvando delle persone». Senza aspettare, dunque, i lunghi processi di validazione cui sono sottoposte le terapie mediche prima di poter accedere alla pratica clinica.

E questo mi ha fatto venire in mente una vecchia storia. Siamo nel 1932, alla fine di marzo, quando il magnate newyorchese Eben M. Byers muore nella sua sontuosa dimora, vittima di una malattia che da 18 mesi ne devastava il corpo, corrodendo lo scheletro finché le ossa avevano iniziato a scheggiarsi. Amici e parenti contattano i più celebri luminari dell’epoca per sapere se Byers sia morto a causa di una malattia contagiosa, mentre le autorità istituiscono un’inchiesta, e le conclusioni preliminari dell’autopsia vengono pubblicate dal «New York Times»: «Avvelenamento da radio».

La tragedia di Byers è iniziata nel 1927, in seguito a una dolorosa frattura che gli impediva di muovere disinvoltamente un braccio per praticare l’amato golf. È un medico di Pittsburgh a consigliargli una specialità messa a punto un paio d’anni prima dal «dottor» William A. Bailey, funambolico titolare del Bailey Radium Laboratory, con sede nel New Jersey. Il Radithor, d’altra parte, è descritto dal produttore come cura per la dispepsia, l’ipertensione, l’impotenza e almeno altre 150 malattie «del sistema endocrino», recitano i depliant. E, sul mercato da appena due anni, ha già un considerevole successo, dato anche il prezzo oltraggioso per l’epoca. Di fatto, si tratta di acqua contenente forti dosi di radio, l’elemento scoperto da Marie e Pierre Curie meno di trent’anni prima e che dà il nome alla radioattività.

Tra il 1925 e il 1930 Bailey venderà 400.000 confezioni di Radithor, ma pure altri produttori – anche in Europa – si buttano sul neonato mercato dei prodotti medici a base di radio, sebbene le autorità sanitarie comincino ad accumulare dati sul fatto che anche piccole quantità di sostanze radioattive possono avere effetti negativi sulla salute. Nessuno però sembra preoccuparsene, e la Food and Drug Administration, che aveva un potere sicuramente meno esteso di oggi, poteva dare avvertimenti ma non intraprendere azioni legali. È dunque la Federal Trade Commission, nel 1928, a incaricare una commissione d’inchiesta di intraprendere una ricerca sulle presunte virtù curative del Radithor. E finalmente, il 19 dicembre 1931, emana un’ordinanza che intima al Bailey Radium Laboratory di interrompere la vendita del preparato.

Ma per Byers è troppo tardi. Chiamato a testimoniare davanti alla commissione nel settembre 1931, non è in condizione di muoversi, e deve ricevere il procuratore incaricato di incontrarlo nella sua residenza. La descrizione è terrificante: Byers riesce a malapena a parlare, ha la testa avvolta da bende, ha subito due interventi chirurgici al volto in cui gli sono state rimosse l’intera mascella, con l’eccezione di due incisivi, e la maggior parte della mandibola.
Con la sua morte, nel 1932, la commissione riprende le indagini, e la Food and Drug Administration dà il via a una campagna per ottenere poteri più ampi. Le associazioni mediche approfittano dell’occasione per denunciare tutte le vendite di specialità medicinali sospette e reclamare leggi per il controllo del radio. Di fatto, i precursori della attuali normative restrittive sulla vendita di prodotti radiofarmaceutici risalgono al caso Byers.

Non solo. Il caso Byers ha offerto un contributo decisivo a porre il principio secondo cui ogni terapia è pericolosa finché non ne venga provata la sicurezza.

Le conclusioni tiratele voi. Io mi limito a osservare che la scienza moderna, e in particolare la scienza medica, funziona così. Non si possono dare a Vannoni le chiavi del Servizio sanitario nazionale – come a volte sembrerebbe pretendere, per esempio quando lamenta che non ci siano esperti scelti da lui nella commissione di valutazione – e facesse un po’ come gli pare. Perché sarebbe fare un passo indietro di almeno un secolo nel modo di intendere la ricerca medica e, in senso più ampio, cancellare ad hoc il principio di precauzione. Sarebbe abdicare al ruolo della Evidence Based Medicine, la medicina fondata sulle prove di efficacia, che non è un impedimento alla tempestività delle cure, ma casomai una conquista della civiltà in nome della sicurezza dei cittadini.

Tre altre piccole note.
La prima: trovo inammissibile che strutture ospedaliere pubbliche abbiano autorizzato la somministrazione della cura Vannoni con l’infusione di cellule staminali senza preoccuparsi di conoscerne la sicurezza e l’efficacia prima di ammetterla nella pratica clinica.
La seconda: mi pare singolare che il Governo e il Parlamento di questa Repubblica abbiano prima dato il via libera al Decreto Balduzzi e poi alla sperimentazione Stamina nelle modalità approvate dalla Camera come se fosse tutto normale, mentre chiedono a gran voce e quasi all’unanimità la clausola di salvaguardia sugli OGM in campo agroalimentare quando questi hanno passato tutte le fasi di sperimentazione e validazione (e ormai di commercializzazione, in altri paesi) che Vannoni vorrebbe saltare a piè pari.
La terza: sarebbe bello che chi, nel mondo della comunicazione, ha alimentato questa vicenda nei modi e nei tempi in cui si è dipanata, strumentalizzando il dolore delle famiglie, si facesse un sacrosanto esame di coscienza, e – per il bene dell’informazione – cambiasse mestiere. O si occupasse d’altro.