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22 Oct 08:50

Sulla conquista jihadista di Roma

by fabristol

1413225435171_wps_12_dabiq_jpg(2)-1107252528Nell’ultimo periodo si è sentito spesso nei giornali che il Califfo Al Baghdadi e i suoi adepti jihadisti dell’ISIS abbiano indicato in Roma il loro obiettivo finale di conquista. In realtà pare che ci sia molta confusione, non tanto da parte dei media (per una volta hanno riportato senza errori!) quanto da parte dei jihadisti stessi. In questo post vi spiegherò perché e magari riuscirò a far cambiare idea anche a qualche jihadista di passaggio.
La conquista di Roma da parte dell’Islam può creare grande confusione per il seguente motivo: gli arabi e poi più avanti i turchi consideravano l’Impero Bizantino come Roma. Torniamo un po’ indietro nel tempo, esattamente prima del 1453, ovvero prima della conquista di Costantinopoli da parte di Mehmed II (della famiglia degli Osman, da cui la dinastia Ottomana). Il termine bizantino è un termine che nasce recentemente nella storiografia moderna occidentale. L’Impero Romano d’Oriente veniva chiamato dagli europei occidentali semplicemente come Impero Greco. Ma la storia, si sa, la scrivono i vincitori e il punto di vista dei poveri bizantini non viene mai fatto sentire. I bizantini non chiamavano se stessi bizantini (come abbiamo visto è un termine moderno), ma Ῥωμαῖοι (Romaioi) ovvero Romani. Potrà stupire molti studenti modello occidentali ma l’Impero Romano non svani nel nulla nel 476 d.C. ma continuò fino al 1453 a Costantinopoli appunto. La pura e semplice verità è che la storiografia moderna è occidentale e considerato che nel Medioevo gli occidentali pensassero di Bisanzio essenzialmente come di un impero di depravati non aiutò di certo alla causa di una rappresentazione obiettiva. Quindi i bizantini si consideravano romani, ovviamente, e gli unici eredi dell’Impero Romano, ovviamente visto che il resto dell’Impero era stato invaso dai barbari. Ora, quando le truppe arabe si trovarono di fronte ai confini dell’Impero Bizantino anche loro chiamavano i loro nemici romani e il territorio da occupare Rum. In uno degli hadith, la sura ar-Rum (Corano 30:2), la conquista di Rum viene predetta come imminente intorno al 620. Né Maometto né i suoi adepti avevano conosciuto l’Impero Romano nella sua interezza e probabilmente non avevano neppure alcuna conoscenza di una città chiamata Roma in una lontana penisola chiamata Italia. Tutto quello che sapevano era: c’è un impero vastissimo a Nord che controlla la Siria, Gerusalemme, Armenia e Egitto e si chiama Impero Romano.
Quando i turchi conquistarono Costantinopoli e la fecero la loro capitale si vantarono di aver conquistato ar-Rum, ovvero Roma. Il problema sorge però col fatto che i moderni jihadisti della Domenica non hanno fatto altro che seguire la moderna storiografia occidentale alla lettera e pensano che nel Corano sia esplicitamente predetta la caduta e la conquista di Roma come città. Ma in realtà si trattava di Costantinopoli e la profezia è già stata realizzata nel 1453.
E qui finisce la nostra lezione di storia per Mr Mujahedin.


20 Oct 12:54

Insegnamento di massa a distanza

by noreply@blogger.com (Gianluigi Filippelli)
Il successo dei MOOC, massive open online course, corsi on line di massa aperti (più o meno), sta spingendo la ricerca sull'insegnamento a distanza verso la comparazione tra studenti on-line e studenti off-line, per così dire. Lo studio si è concentrato sugli studenti universitari, però alcune osservazioni, anche tratte dall'articolo di VentureBeat che ha diffuso la ricerca, mi sembrano interessanti e abbastanza generali:
Nonostante l'istruzione ulteriore che gli studenti del campus hanno avuto, [i risultati] non mostrano alcuna evidenza positiva di un relativo miglioramento settimanale dei nostri studenti del campus confrontati con i nostri studenti online.

[Lo studio] non dimostra che i MOOC sono un sostituto per l'esperienza universitaria, né risolve il fatto che alcuni dati demografici possano beneficiare sproporzionalmente dell'educazione online.
D'altra parte
I MOOC stanno mantenendo la promessa di diffondere la conoscenza. Quasi chiunque abbia un desiderio di imparare, in relazione alle proprie abilità, può beneficiare dell'accesso a una qualche classe di studio nel mondo.
Forse è per questo che in Italia si parla tanto e si fa poco: tanto ci stanno pensando all'estero.
20 Oct 12:54

Ritratti: Carlo Rubbia

by noreply@blogger.com (Gianluigi Filippelli)
Il modo migliore per aspettare il #Nobel per la #Fisica 2014
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In quel giorno di 30 anni fa (stiamo parlando della seconda settimana di ottobre del 1984) ero, quasi sicuramente, a scuola. Sarà stata la terza elementare e ancora la fisica non era una mia passione. Certo iniziavo bene: quando la maestra chiese cos'era lo spazio, io pensai immediatamente all'universo, ma la domanda non era riferita a quello "spazio", ma a un altro, quello di tipo geometrico. Però non è su quei ricordi che bisogna indulgere, ma su una foto particolare, quella in cui Carlo Rubbia e Simon van der Meer, con due calici, presumibilmente di vino, in mano festeggiano l'annuncio del Nobel per la Fisica
per i loro decisivi contributi al grande progetto che ha guidato la scoperta delle particelle di campo $W$ e $Z$, mediatori dell'interazione debole
La storia di questo Nobel, però, inizia 8 anni prima, nel 1976. In quell'anno, infatti, inizia a operare SPS, il sincrotrone a protoni del CERN originariamente progettato per accelerare le particelle fino a un'energia di 300 GeV.
Quello stesso anno David Cline, Carlo Rubbia e Peter McIntyre proposero di trasformare l'SPS in un collisore di protoni-antiprotoni, con i fasci di protoni e antiprotoni che ruotavano uno opposto all'altro nello stesso tubo per collidere frontalmente. Questo avrebbe permesso energie nel centro di massa in un intervallo tra i 500 e i 700 GeV.(1)
D'altra parte gli antiprotoni vanno in qualche modo raccolti. Il fascio corrispondente venne allora
(...) statisticamente raffreddato nell'accumulatore di antiprotoni a 3.5 GeV, ed è qui che l'esperienza di Simon Van der Meer e collaboratori gioca un ruolo decisivo.(1)
L'interazione debole
L'interazione debole venne introdotta da Enrico Fermi per spiegare i risultati del decadimento beta; fu però Oskar Klein il primo a suggerire l'esistenza di particelle mediatori dell'interazione che chiamò elettro-fotoni, suggerendo così che tali mediatori possedessero una carica elettrica(2).
Successivamente, in un lavoro conclusosi intorno al 1968, Sheldon Glashow, Steven Weinberg e Abdus Salam, portando avanti un approccio non troppo dissimile da quello che portò alla formulazione dell'elettrodinamica quantistica, realizzarono un modello dell'interazione debole che prevedeva non solo i due bosoni carichi ipotizzati da Klein, i $W$, necessari per il decadimento beta, ma anche un nuovo bosone neutro, lo $Z$(2).
Il primo passo nella scoperta di questi tre bosoni fu la rilevazione della corrente neutra presso la camera a bolle delle Gargamelle nel 1973(3):
Per poter scoprire effettivamente tali bosoni, bisognava attendere la costruzione di un acceleratore di particelle, l'SPS al CERN. L'idea proposta da Rubbia(4), di mandare due fasci di protoni e antiprotoni uno contro l'altro era, ad ogni modo, già nell'aria: nel 1956 Kerst discusse un primo schema realistico di collisione tra fasci, mentre è del 1966 la proposta di Budker di far collidere un fascio di protoni contro uno di antiprotoni(2): in questo modo le energie utilizzate per accelerare i fasci erano inferiori rispetto a un esperimento con un fascio contro un bersaglio fisso, mentre l'energia necessaria per la produzione di nuove particelle era di gran lunga superiore. Il punto, però, era che per osservare particelle con entrambe le cariche se non addirittura neutre, era inevitabilmente necessario utilizzare fasci di materia contro fasci di antimateria: Rubbia, Cline e McIntyre semplicemente partendo da queste idee mostrarono come una simile collisione era possibile già con gli acceleratori dell'epoca(4). E' qui che si inserisce l'idea vincente di van der Meer del raffreddamento stocastico, che permetteva l'accumulo di antiprotoni, altrimenti difficili da utilizzare in quantità sufficiente per ottenere risultati apprezzabili, come la scoperta di tre nuovi bosoni, quelli predetti da Glashow, Weinberg e Salam.
E questa scoperta venne alla fine annunciata a gennaio del 1983:
Avrebbero preferito prendessi ingegneria
Carlo Rubbia nasce il 31 marzo del 1934 a Gorizia e, come ricorda in un'intervista con Paola Catapano, la sua famiglia avrebbe voluto per lui un futuro da ingegnere
(...) ma io volevo studiare fisica. Così ci accordammo che se avessi passato l'esame d'ingresso per la Scuola Normale di Pisa, avrei potuto studiare fisica lì, altrimenti avrei dovuto fare ingegneria. C'erano solo 10 posti a Pisa, e mi classificai 11.mo, così persi, e iniziai ingegneria a Milano. Fortunatamente uno studente sconosciuto tra i primi 10 di Pisa (che sarei curioso di incontrare, un giorno) rinunciò e lasciò un posto aperto per il successivo candidato sulla lista d'attesa. Così, tre mesi più tardi, ero a Pisa, a studiare fisica, e rimasi lì e mi divertii molto.
Si laureò nel 1957 con una tesi sperimentale sui raggi cosmici. Quindi si trasferì alla Columbia University dove iniziò una serie di esperimenti sulla cattura nucleare e il decadimento del muone, ottenendo il PhD nel 1959. Il ritorno in Europa nel 1960, per quel CERN che gli permise di ottenere il prestigioso Premio Nobel con la scoperta, raccontata in precedenza, dei bosoni mediatori dell'interazione debole.
Il passo successivo di Rubbia, che ricoprì la carica di direttore del CERN dal gennaio 1989 al dicembre 1993 fu l'LHC:
Il nome LHC fu inventato da noi - da me e da un piccolo gruppo di persone intorno a me. Ricordo Giorgio Brianti dire che l'acronimo LHC non poteva essere utilizzato, poiché significava già Lausanne Hockey Club, che era, al tempo, più popolare per il pubblico laico di una macchina per la collisione di protoni ad alta energia. Oggigiorno le cose sono piuttosto differenti! Iniziammo con un programma che era meno ambizioso del programma statunitense. Gli americani erano in qualche modo ancora "punti sul vivo" dal nostro programma protone-antiprotone, così iniziarono il progetto SSC - il Superconducting Super Collider - che sarebbe stata una macchina enorme, molto più costosa, ma che venne successivamente abbandonata. Così, quando il mio mandato di direttore finì, avevo lasciato un LHC meno l'SSC alla comunità del CERN.
Al Gran Sasso: il progetto ICARUS
Nel frattempo, tra il Nobel e la direzione del CERN, ci fu il sogno di un volo, si potrebbe dire, con il progetto ICARUS del 1977 presso i Laboratori del Gran Sasso.
ICARUS è, in pratica, una nuova generazione di camere a bolle. Vale, a questo punto, spendere un paio di parole sulle camere a bolle: questo è uno strumento che è stato estremamente utile nella storia della fisica delle particelle. Inventata nel 1952 da Donald Glaser, è una camera riempita con un liquido (preferibilmente idrogeno) facilmente ionizzabile: in questo modo una particella carica che attraversa il mezzo o che viene creata al suo interno, genera, cedendo energia, una scia di bolle ionizzate dalla cui rilevazione (scattando delle fotografie con una macchina posta sopra la camera) si possono determinare traiettoria, energia, tipo di particella, fino anche all'identificazione del tipo di interazione, come avviene, per esempio, per la corrente neutra nella foto del 1973 di poco sopra.
Tornando a ICARUS, c'è da osservare che il detector costruito al Gran Sasso è potenzialmente in grado di rilevare i passaggi dei neutrini atmosferici, di quelli solari oltre alla ben più ambiziosa osservazione del primo decadimento di un protone, oltre ad essere in gradi di verificare le oscillazioni dei neutrini. I neutrini, infatti, sono presenti in tre distinti sapori, se così possiamo dire, ognuno associato a neutrini differenti: abbiamo così i neutrini elettronici, i più leggeri; i neutrini muonici, quelli di mezzo; i neutrini tauonici, quelli più pesanti.
Queste oscillazioni vennero previste da Ziro Maki, Masami Nakagawa e Shoichi Sakata nel 1962(6) e successivamente rielaborate nella forma definitiva da Bruno Pontecorvo nel 1967(7) nella forma della famosa matrice Pontecorvo–Maki–Nakagawa–Sakata: \[\begin{pmatrix} \nu_e \\ \nu_\mu \\ \nu_\tau \end{pmatrix} = \begin{pmatrix} U_{e1} & U_{e2} & U_{e3}\\ U_{\mu1} & U_{\mu2} & U_{\mu3} \\ U_{\tau1} & U_{\tau2} & U_{\tau3} \end{pmatrix} \begin{pmatrix} \nu_1 \\ \nu_2 \\ \nu_3 \end{pmatrix}\] La prima osservazione di una tale oscillazione è del 1968, cui segue nel 1969 il famoso articolo di Gribov e Pontecorvo, Neutrino astronomy and lepton charge, mentre l'ultimo punto in questa ricerca lo segna OPERA con l'osservazione della prima oscillazione da neutrino muonico a neutrino tauonico. Sperimentalmente, quindi, l'idea è quella di misurare i decadimenti che avvengono all'interno della camera a bolle e da questi determinare quali sono i tipi di neutrini che escono, posto che all'ingresso arrivino neutrini tutti dello stesso sapore.

The ICARUS T600 detector is so far the biggest LAr detector ever built. It has been successfully installed in the Gran Sasso underground laboratory and it is presently collecting data after having smoothly reached the optimal working conditions. LAr is a cheap liquid vastly produced by industry, which potentially permits to realize large mass detectors. ICARUS T600 represents the final milestone of a series of fundamental technological achievements in the last several years; its underground operation demonstrates that the ICARUS technology is now mature and scalable to much larger masses, in the range of tens of kton as required to realize the next generation experiments for neutrino physics and proton decay searches. Finally, the examples of neutrino interaction event analyzed in this paper demonstrate that also the reconstruction procedure is well under control fully exploiting the physical potentiality of this technology.(8)
Rubbiatron: amplificatore di enbergia
Un altro degli interessi di Rubbia è sicuramente quello della produzione dell'energia. Rubbia ha, infatti, spesso detto che il futuro dell'energia mondiale sta nelle fonti rinnovabili e nel nucleare, ma non quelli che abbiamo oggi a disposizione. Bisogna, cioè, investire nella ricerca per rendere queste due fonti rispettivamente più efficienti e sicure. In questo campo, nel 1996, Rubbia propose un amplificatore di energia, noto anche come Rubbiatron, un sistema per produrre energia nucleare più sicura utilizzando il torio. Questi reattori al torio, che al momento sono sviluppati soprattutto dalla Cina, sono stati suggeriti, anche dallo stesso Rubbia, come base per realizzare un buon sistema di propulsione interstellare (pdf).
Non so cosa ci sarà alla pagina successiva e preferirei che sia la natura a decidere ciò che noi fisici scopriremo. Ma una cosa è chiara: con il 96% dell'universo che deve ancora essere scandagliato, siano di fronte a una situazione assolutamente straordinaria, e mi chiedo se un giovane che voglia studiare fisica oggi, e gli si dice che il 96% della massa e dell'energia dell'universo deve ancora essere compreso, si senta eccitato. Ovviamente dovrebbero sentirsi tanto eccitati quanto lo ero io quando mi parlavano delle particelle elementari. La conoscenza innovativa, l'effetto sorpresa, esiste oggi, ancora continua ad esistere ed è molto forte, a patto che vi siano persone in grado di percepirlo.

Poco più di 80 anni fa nasceva Carlo Rubbia, che fu un pioniere del CERN. 60 anni fa nasceva proprio il CERN, l'istituto di ricerca che con i suoi acceleratori ha permesso una serie di scoperte e di verifiche del Modello Standard a un livello, all'epoca della sua progettazione, incredibile. 30 anni fa veniva assegnato il Premio Nobel per la Fisica proprio a Rubbia insieme con van der Meer per la scoperta dei bosoni dell'interazione debole. Oggi verrà assegnato un nuovo Nobel per la Fisica, e questo lungo post che spero siate arrivati a leggere tutto è il mio modo per celebrare, in un unico giorno, Rubbia, il CERN e la fisica.
Gli articoli dei bosoni deboli:

Il lavoro di Glashow, Weinberg e Salam:
Glashow S.L. (1961). Partial-symmetries of weak interactions, Nuclear Physics, 22 (4) 579-588. DOI: http://dx.doi.org/10.1016/0029-5582(61)90469-2
Weinberg S. (1967). A Model of Leptons, Physical Review Letters, 19 (21) 1264-1266. DOI: http://dx.doi.org/10.1103/physrevlett.19.1264
A. Salam, Proceedings of the 8th Nobel Symposium, Elementary Particle Theory, ed. N. Svartholm (Almqvist and Wiksell, Stockholm, 1968), p. 367

Il lavoro delle collaborazioni UA1 e UA2:
UA1: Arnison G., B. Aubert, C. Bacci, R. Bernabei, A. Bézaguet, R. Bock, M. Calvetti, P. Catz, S. Centro & F. Ceradini & (1981). Some observations on the first events seen at the CERN proton-antiproton collider, Physics Letters B, 107 (4) 320-324. DOI: http://dx.doi.org/10.1016/0370-2693(81)90839-x
Arnison G., B. Aubert, C. Bacci, G. Bauer, A. Bézaguet, R. Böck, T.J.V. Bowcock, M. Calvetti, T. Carroll & P. Catz & (1983). Experimental observation of isolated large transverse energy electrons with associated missing energy at, Physics Letters B, 122 (1) 103-116. DOI: http://dx.doi.org/10.1016/0370-2693(83)91177-2
Arnison G., B. Aubert, C. Bacci, G. Bauer, A. Bézaguet, R. Böck, T.J.V. Bowcock, M. Calvetti, P. Catz & P. Cennini & (1983). Experimental observation of lepton pairs of invariant mass around 95 GeV/c2 at the CERN SPS collider, Physics Letters B, 126 (5) 398-410. DOI: http://dx.doi.org/10.1016/0370-2693(83)90188-0
UA2: Banner M., Ph. Bloch, F. Bonaudi, K. Borer, M. Borghini, J.-C. Chollet, A.G. Clark, C. Conta, P. Darriulat & L. Di Lella & (1983). Observation of single isolated electrons of high transverse momentum in events with missing transverse energy at the CERN p collider, Physics Letters B, 122 (5-6) 476-485. DOI: http://dx.doi.org/10.1016/0370-2693(83)91605-2
Bagnaia P., R. Battiston, Ph. Bloch, F. Bonaudi, K. Borer, M. Borghini, J.-C. Chollet, A.G. Clark, C. Conta & P. Darriulat & (1983). Evidence for Z0→e e− at the CERN p collider, Physics Letters B, 129 (1-2) 130-140. DOI: http://dx.doi.org/10.1016/0370-2693(83)90744-x (pdf)

(1) Daniel Denegri (2003). When CERN saw the end of the alphabet. CERN Courier
(2) Rubbia C. (1985). Experimental observation of the intermediate vector bosons W , W-, and Z0, Reviews of Modern Physics, 57 (3) 699-722. DOI: http://dx.doi.org/10.1103/revmodphys.57.699 (pdf)
(3) Cline D.B., Mann A.K. & Rubbia C. (1974). The Detection of Neutral Weak Currents, Scientific American, 231 (6) 108-119. DOI: 10.1038/scientificamerican1274-108
(4) Rubbia C., McIntyre P. & Cline D. (1977). Producing Massive Neutral Intermediate Vector Bosons with Existing Accelerators, Proceedings of the International Neutrino Conference Aachen 1976, 683-687. DOI: http://dx.doi.org/10.1007/978-3-322-90614-4_67 (pdf)
(5) van der Meer S. (1981). Stochastic Cooling in the CERN Antiproton Accumulator, IEEE Transactions on Nuclear Science, 28 (3) 1994-1998. DOI: http://dx.doi.org/10.1109/tns.1981.4331574 (pdf)
(6) Maki Z., Nakagawa M. & Sakata S. (1962). Remarks on the Unified Model of Elementary Particles, Progress of Theoretical Physics, 28 (5) 870-880. DOI: http://dx.doi.org/10.1143/ptp.28.870
(7) Pontecorvo B. (1968). Neutrino Experiments and the Problem of Conservation of Leptonic Charge. Soviet Physics JETP, Vol. 26, p.984 (pdf)
(8) Rubbia, C., Antonello, M., Aprili, P., Baibussinov, B., Ceolin, M., Barzè, L., Benetti, P., Calligarich, E., Canci, N., Carbonara, F., Cavanna, F., Centro, S., Cesana, A., Cieslik, K., Cline, D., Cocco, A., Dabrowska, A., Dequal, D., Dermenev, A., Dolfini, R., Farnese, C., Fava, A., Ferrari, A., Fiorillo, G., Gibin, D., Berzolari, A., Gninenko, S., Golan, T., Guglielmi, A., Haranczyk, M., Holeczek, J., Karbowniczek, P., Kirsanov, M., Kisiel, J., Kochanek, I., Lagoda, J., Lantz, M., Mania, S., Mannocchi, G., Mauri, F., Menegolli, A., Meng, G., Montanari, C., Muraro, S., Otwinowski, S., Palamara, O., Palczewski, T., Periale, L., Piazzoli, A., Picchi, P., Pietropaolo, F., Plonski, P., Prata, M., Przewlocki, P., Rappoldi, A., Raselli, G., Rossella, M., Sala, P., Scantamburlo, E., Scaramelli, A., Segreto, E., Sergiampietri, F., Sobczyk, J., Stefan, D., Stepaniak, J., Sulej, R., Szarska, M., Terrani, M., Varanini, F., Ventura, S., Vignoli, C., Wachala, T., Wang, H., Yang, X., Zalewska, A., Zaremba, K., & Zmuda, J. (2011). Underground operation of the ICARUS T600 LAr-TPC: first results Journal of Instrumentation, 6 (07) DOI: 10.1088/1748-0221/6/07/P07011 (arXiv | CERN)
20 Oct 12:53

Ig Nobel winner triumphs: “Italy lifts out of recession thanks to hookers, drugs”

by Marc Abrahams

istatCongratulations to this year’s Ig Nobel economics prize winner — ISAT — both on its Ig Nobel Prize and on ISTAT’s influence on the Italian economy.

The AFP news agency reports, on October 15, 2014:

Italy lifts out of recession thanks to hookers, drugs

Italy learnt it was no longer in a recession on Wednesday thanks to a change in data calculations across the European Union which includes illegal economic activities such as prostitution and drugs in the GDP measure.

Adding illegal revenue from hookers, narcotics and black market cigarettes and alcohol to the eurozone’s third-biggest economy boosted gross domestic product figures.

GDP rose slightly from a 0.1 percent decline for the first quarter to a flat reading, the national institute of statistics said.

Although ISTAT confirmed a 0.2 percent decline for the second quarter, the revision of the first quarter data meant Italy had escaped its third recession in the last six years….

This comes just four weeks after this year’s Ig Nobel Prize winners were announced at the Ig Nobel Prize ceremony, at Harvard University. The 2014 Ig Nobel Prize for economics was awarded to ISTAT — the Italian government’s National Institute of Statistics, for proudly taking the lead in fulfilling the European Union mandate for each country to increase the official size of its national economy by including revenues from prostitution, illegal drug sales, smuggling, and all other unlawful financial transactions between willing participants.

The relevant documents, in the awarding of that prize, are “Cambia il Sistema europeo dei conti nazionali e regionali – Sec2010” (ISTAT, 2014) and “European System of National and Regional Accounts (ESA 2010)” (Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2013).

BONUS: “Droghe e prostituzione nel Pil, all’Istat il premio IgNobel per l’Economia” [La Repubblica]

20 Oct 12:53

Cosmic ray particle shower? There’s an app for that.

by John Timmer

Every second, the Earth is being struck by cosmic rays, high energy particles that slam into the atmosphere. Understanding where they come from and how they're generated could provide information about some of the most energetic processes in the Universe. But Earth's atmosphere protects us from them, ensuring that they don't make it to the surface. Instead, we have to look for the shower of photons and particles that the cosmic rays create when they hit the atmosphere.

Even large detectors, however, only capture a few traces of the high energy particles that reach the Earth, meaning that careful studies of their origin can take years, possibly even decades. So some researchers decided it might be possible to take advantage of a large population of non-specialized detectors that are pre-positioned all over the world: cell phone cameras.

The researchers from the University of California have drafted a paper in which they describe testing whether a smartphone camera can detect high energy photons and particles of the sort produced by cosmic rays. Testing with radioactive isotopes of radium, cobalt, and cesium showed that the detector easily picked up gamma rays (and you didn't even have to point the phones at the source!). They also put a phone inside a lead box and showed that they could detect high energy particles. Finally, they took a phone up on a commercial flight and were able to obtain a particle track across the detector.

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20 Oct 12:52

A little knowledge

A little knowledge

Nature 514, 7521 (2014). doi:10.1038/514139b

The significance of expertise passed on by direct contact— tacit knowledge — is moot.

20 Oct 12:51

Caduti nella Rete: bufale e disinformazione scientifica

by Paolo Attivissimo
Questo articolo era stato scritto per essere pubblicato in occasione di BergamoScienza su un quotidiano che poi ha cambiato idea senza giustificazioni (grazie di avermi fatto lavorare per niente). È una sorta di falsariga del mio intervento a BergamoScienza e vi arriva qui grazie alla gentile donazione di “a.ferretti”.

Oggi tutto quello che facciamo dipende in un modo o nell'altro dalla scienza: dalla salute alle comunicazioni, dall'alimentazione alla socialità, tutto è mediato da processi e dispositivi che funzionano in base a princìpi scientifici (anche se a volte certi dispositivi “smart” sembrano posseduti da un folletto dispettoso). Le decisioni che prendiamo individualmente e collettivamente, dalla scelta delle fonti d'energia a quella delle terapie, si basano su fenomeni scientifici. Non conoscere la scienza, almeno nelle sue regole di base, è quindi pericoloso, per noi stessi e per gli altri, tanto quanto guidare un'auto senza avere la patente e senza conoscere le regole del traffico. Togliere di mezzo le bufale che riguardano la scienza è un passo necessario per tutti. Spesso è anche un passo divertente e illuminante, che non solo ci informa meglio sul mondo, ma diventa un'esplorazione interiore.

Le bufale, infatti, non sono semplicemente degli errori comuni: sono uno specchio sincero delle nostre paure, dei nostri pregiudizi e delle nostre speranze. Una diceria ha successo e si diffonde non perché è più verosimile di altre, ma perché agisce su una leva emotiva potente. Le cure anticancro propagandate dai ciarlatani fanno presa (e fanno soldi) perché si approfittano della disperazione dei malati e delle loro famiglie, che si attaccano a qualunque appiglio: è umano e normale. I dubbi sul riscaldamento globale della Terra esistono soltanto nella cocciutaggine di chi non vuole accettare di dover cambiare il proprio stile di vita e di dover smettere di lucrare sull'avvelenamento altrui: dal punto di vista scientifico non c'è alcuna controversia. La scienza serve proprio per proteggerci sia dall'emotività, sia dagli imbroglioni e dalle lobby, che spesso alimentano intenzionalmente confusione e paralisi.

Sia ben chiaro: la scienza non è perfetta. Commette errori: anzi, l'errore è lo strumento fondamentale che le consente di progredire imparando dai fallimenti. È fatta da esseri umani, che sono fallibili e influenzabili dai pregiudizi, dalla sete di potere e dal denaro. Ma è anche il metodo meno peggiore che abbiamo. Ci insegna a mettere in dubbio ogni autorità, a controllare ogni dato, a pretendere documentazioni e dimostrazioni rigorose, per correggere eventuali errori. Non per nulla il motto della Royal Society, una delle più antiche istituzioni scientifiche del mondo (fondata alla fine del Seicento), è “nullius in verba”: sulla parola non si crede a nessuno. Né al premio Nobel, né all'inventore solitario e sconosciuto.

Non esiste, quindi, una “scienza ufficiale”, per citare un'espressione preferita di tanti ciarlatani e creduloni: non c'è un sapere granitico calato dall'alto, da accettare dogmaticamente, ma esiste un insieme di fatti osservati, dimostrati, discussi, validati e verificati inesorabilmente e senza sconti. Se un fenomeno è osservato, misurato e confermato, diventa scienza e basta; non importa quanto sia bizzarro.

È per questo che il mondo scientifico è così critico nei confronti del metodo Stamina, della terapia Di Bella, della “cura” Simoncini, dell'energia pulita e facile di E-Cat, dell'omeopatia, dell'auto ad aria compressa, della parapsicologia, dell'ufologia e delle mille altre mirabolanti scoperte della “scienza alternativa”: sono tutte tesi non documentate e non verificate. Anzi, spesso i loro sostenitori rifiutano di divulgarne i dettagli con la scusa del diritto al segreto. Ma la scienza onesta non tollera i segreti e non accetta nulla sulla fiducia. Vuole conferme oggettive: nullius in verba, appunto. Più è sensazionale l'affermazione, più devono essere robuste le sue conferme. È una cautela cinica ma necessaria, perché è già successo troppe volte di aver concesso fiducia a chi si è poi rivelato un imbroglione e di aver pagato a caro prezzo quella concessione.

Per esempio, l'idea che i vaccini causino l'autismo è una bufala crudele inventata a tavolino, per denaro, da un medico britannico, Andrew Wakefield, allo scopo di promuovere un vaccino trivalente di una marca alternativa. L'imbroglio è stato smascherato anni fa dai giornalisti scientifici e dagli altri medici, che hanno messo alla prova le asserzioni di Wakefield (che per questa vicenda è stato radiato dall'albo); ma ancora adesso questa panzana prospera, causando una diffidenza letale nei confronti di tutte le vaccinazioni, che sono uno dei più grandi successi della scienza: se avete dubbi, chiedete ai vostri genitori o nonni come si viveva prima dell'antipolio.

Se il legame vaccini-autismo è stato sbugiardato, come mai continua a circolare lo stesso? Come in tanti altri casi, persiste perché non siamo macchine prive di emozioni: siamo influenzabili. Se una celebrità come Chuck Norris o Jenny McCarthy si schiera contro i vaccini, tendiamo a crederle anche se non ha alcuna competenza in materia, semplicemente perché le persone di successo ispirano fiducia, come ben sanno i pubblicitari. Quando non abbiamo competenza nostra su un argomento, guardiamo cosa fanno gli altri e li seguiamo: è la logica del gregge. Andare controcorrente, informarsi criticamente, è più faticoso. Aggiungiamoci la paura e la diffidenza nei confronti delle medicine, alimentata anche (ammettiamolo) dall'arroganza e scarsa compassione di molti medici, e otteniamo la ricetta per la bufala scientifica perfetta.

C'è un altro ingrediente fondamentale nel successo dilagante delle bufale: la complicità dei media. È facile dare la colpa a Internet e dire che le bufale vengono partorite dagli utenti ignoranti che preferiscono informarsi su Facebook invece di leggere un giornale o guardare un documentario, ma è falso. Troppi giornalisti si trovano a scrivere di argomenti di scienza senza alcuna competenza e senza alcun senso critico, spinti dalle redazioni a creare scandali e scoop per vendere più copie o catturare più spettatori: il mio lavoro è proprio quello di smascherare questo malcostume. Ricordate la bufala della fine del mondo che si diceva fosse stata prevista dai Maya per il 2012? Mentre agli archeologi veniva l'orticaria, Roberto Giacobbo ne parlava ripetutamente dagli schermi della Rai in una trasmissione confezionata come se fosse un documentario serio e vendeva centocinquantamila copie del suo libro sull'argomento, anch'esso targato Rai.

Nelle redazioni s'insegna che bisogna dare pari spazio a entrambe le campane in un argomento, dimenticando che la scienza non è un processo democratico nel quale le opinioni hanno tutte lo stesso valore. La legge di gravità mi fa cadere per terra che io ci creda o meno, a prescindere dalla mia opinione su Newton. Se si parla di chirurgia, non si mette sullo stesso piano l'opinione di un salumiere e quella di un chirurgo: sarebbe come farsi assistere in sala parto da un ostetrico e da uno che crede alle cicogne che portano i bambini.

Educare sin dalla scuola al senso critico, a pretendere dimostrazioni, in tutti i campi e non solo in quelli scientifici tradizionali, è quindi un dovere di ogni paese che voglia creare cittadini capaci di gestire una società basata sulla tecnologia. Ma questo significa educare a mettere in dubbio l'autorità e quindi paradossalmente la “scienza ufficiale” diventa un grimaldello sovversivo. Forse per questo fa paura a chi comanda.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.
20 Oct 12:50

Assaggi

by Marco
Gianluigi.ulaula

Grande Marco!

La settimana scorsa, mentre, con la scusa di presentare Particelle familiari alla Libreria asSaggi di Roma, chiacchieravo dello stato e del futuro della fisica delle particelle con Anna Parisi, Giorgio Sestili ha avuto la malaugurata idea di filmare le mie pontificazioni. Adesso le ha messe online, e allora io le appiccico qui sotto, nel caso interessi vedere come rendo dal vivo :-)


© Marco @ Borborigmi di un fisico renitente, 19/10/2014. (Some right reserved)| Permalink | 12 commenti
Archiviato in Fisica, Scrivere di scienza| Tag: Anna Parisi, Giorgio Sestili, interviste, Libreria asSaggi, Particelle familiari, presentazioni

07 Oct 21:47

Alla larga

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Tratto da Il Giornalino nº 42 del 28 ottobre 1979.



07 Oct 21:29

PAULI E JUNG: L'INCONTRO TRA FISICA E PSICHE

by Leonardo Petrillo
Una volta Wolfgang Pauli (1900-1958), grande fisico teorico austriaco, contributore dello sviluppo della Meccanica Quantistica nei primi decenni del XX secolo, asserì che se Dio gli avesse concesso di chiedergli qualsiasi cosa desiderasse, la sua prima domanda sarebbe stata: «Perché 137?».
Un suo collega, Abdus Salam (premio Nobel per la Fisica nel 1979), si divertì a immaginarsi una maliziosa conclusione di questa ipotetica storia.
Immaginò infatti che un giorno Pauli avesse davvero la possibilità di porre la sua domanda a Dio. Per rispondergli, la divinità prese un gessetto e cominciò, alla lavagna, a illustrare il perché la costante di struttura fine dovesse valere proprio 1/137. Dopo qualche istante Pauli scosse la testa, esclamando un profondo "No" e facendo notare a Dio l'errore che aveva compiuto!
Di costante di struttura fine abbiamo parlato qui, ricordiamo tuttavia brevemente che si tratta di una costante adimensionale, introdotta da Arnold Sommerfeld nel 1916, derivante da altre importanti costanti della fisica e che risulta fondamentale per descrivere la velocità con cui si muovono gli elettroni attorno al nucleo di un atomo, sul primo orbitale (ricordiamo che trattasi della regione di spazio attorno al nucleo atomico ove la possibilità di trovare un elettrone è massima).
A detta di Max Born, in "The Mysterious Number 137", articolo pubblicato nei "Proceedings of the Indian Academy of Sciences" nel 1935, la costante «Ha le conseguenze più fondamentali per la struttura della materia in generale».
Tale costante, indicata generalmente mediante la lettera greca α, va quindi a definire la scala degli oggetti naturali: le dimensioni degli atomi e di tutte le cose che sono costituite da atomi, l'intensità e i colori della luce, l'intensità delle forze elettromagnetiche.
In sostanza, controlla e ordina tutto ciò che vediamo.
La costante di struttura fine è di fondamentale importanza anche per quanto concerne il principio antropico (di cui abbiamo parlato approfonditamente in un post visualizzabile cliccando qui).
Infatti, il suddetto parametro adimensionale è determinante nel far sì che l'Universo si presenti così com'è, ossia in grado, tra le altre cose, di ospitare forme di vita.
Una leggera variazione (del 10-20%) dal suo valore noto basterebbe infatti a influenzare in modo rilevante le leggi fisiche che governano l'Universo, in quanto si avrebbero cambiamenti nei rapporti tra le forze attrattive e repulsive tra le particelle elementari, con conseguenze dirette sulla costituzione della materia e sull'attività stellare.
Insomma, questo 137 è un numero che ha affascinato e continua ad affascinare i fisici.
Julian Schwinger, uno dei padri dell'elettrodinamica quantistica (in breve QED), ha addirittura inserito il 137 nella targa personalizzata della sua auto sportiva!
Richard Feynman, nel favoloso libro divulgativo intitolato QED, scrive a proposito della costante:

"Questo numero costituisce un vero rompicapo fin da quando fu scoperto, e tutti i migliori fisici teorici lo tengono incorniciato e appeso al muro e ogni giorno ci meditano su. Vi chiederete subito da dove venga questo valore: è connesso a π, o magari alla base dei logaritmi naturali? Nessuno lo sa. È  uno dei più enigmatici enigmi della fisica, un numero magico che ci viene offerto nel mistero più assoluto. Si potrebbe quasi dire che a scrivere questo numero sia stata la «mano di Dio» e che noi «non sappiamo come Egli abbia mosso la sua matita». Sappiamo perfettamente che cosa fare sperimentalmente per avere una misura accuratissima di questo valore, ma non sappiamo che arzigogolo inventare per farlo venir fuori da un calcolatore, senza avercelo messo dentro di nascosto!"

In un primo momento sembrava che Pauli fosse rimasto indifferente al mistero che avvolgeva il numero 137, tuttavia nel febbraio 1934 scrisse a Heisenberg che il problema chiave era "sistemare [1/137] e l'“atomistica” della carica elettrica".
Infatti, in quel periodo egli stava cercando di pervenire a una versione dell'elettrodinamica quantistica nella quale massa e carica dell'elettrone non assumessero valori infiniti.
Nonostante tutti i suoi sforzi nel manipolare le equazioni, il concetto di carica elettrica vi rientrava comunque.
Ecco perché parlava di "atomistica" (atomo più mistica) della carica elettrica.
Il problema era infatti che l'elettrodinamica quantistica non teneva "conto della natura atomica della carica elettrica quando quest'ultima entrava nella QED come parte della costante di struttura fine.
Secondo Pauli, il concetto di carica elettrica risultava estraneo sia alla fisica prequantistica che alla fisica quantistica.
In effetti, in entrambe risultava necessario introdurre la carica dell'elettrone nelle equazioni; non emergeva dalle equazioni stesse!
Poi nella teoria quantistica il tutto era reso più complesso dalla presenza di quella "mistica" costante dal valore 1/137, la quale metteva in relazione la carica dell'elettrone (e) con altre 2 costanti fondamentali della natura:
  • costante di Planck (h), la più piccola quantità misurabile dell'Universo ed emblema della meccanica quantistica. Dunque una costante riguardante la natura ad un livello atomico o subatomico.
  • velocità della luce (c), simbolo della teoria della relatività, che si occupa dell'Universo nel suo complesso.
Formula che definisce la costante α





Nell'aprile del 1934 Pauli scrisse, sempre ad Heisenberg: "Tutto diverrà magnifico quando si definirà [1/137]".
Quell'anno, durante una conferenza tenuta a Zurigo, Pauli rimarcò l'importanza di eliminare i valori infiniti che persistevano nella QED e analizzò il rapporto della teoria con il modo in cui comprendiamo lo spazio e il tempo.
Risolvere il suddetto problema avrebbe richiesto appunto "un'interpretazione del valore numerico della grandezza priva di dimensione [137]".
Ma, vi starete chiedendo, in tutto questo che diavolo c'entra Jung?
Ebbene, l'ossessione per quel numero che lo perseguitava di giorno e di notte fu uno dei motivi che condusse Pauli a rivolgersi proprio a Carl Gustav Jung (1875-1961), psichiatra e psicoanalistica svizzero che insieme a Freud aveva introdotto il concetto di mente alla stregua di realtà che poteva essere studiata, spiegata e, nel caso, anche curata.

Pauli e Jung












Prima di osservare la collaborazione, a partire dagli anni 30', che ci fu tra questi 2 grandissimi studiosi di ambiti totalmente differenti, effettuiamo un flashback, andando a indagare sulla vita e le scoperte principali di Pauli fino al momento dell'incontro con Jung.

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07 Oct 21:28

Viewpoint: A Challenge to Lepton Universality

The finding that electrons and muons aren’t produced equally in certain particle decays may hint at a crack in the standard model.

Published Mon Oct 06, 2014
07 Oct 21:26

Quando l'omeopata va in pensione, l'omeopatia perde efficacia.

by Salvo Di Grazia
Resto sempre "un po'" perplesso quando sento di medici che praticano l'omeopatia o altre medicine alternative. Sarà sicuramente un mio limite, ma non posso credere che una persona che ha studiato per anni il funzionamento del corpo umano, la farmacologia, la fisiologia, l'anatomia, ha conosciuto la fisica e la chimica, ha imparato a comprendere termini come "recettore" o "enzima", da un giorno all'altro si lanci in ragionamenti fantascientifici quando non antiscientifici, parli di "memoria dell'acqua" e "simile cura il simile", di energie e vibrazioni, somigliando più ad un mago di altre epoche piuttosto oscure che ad un moderno ed aggiornato professionista (a proposito, ma nei corsi di aggiornamento per gli omeopati, di cosa parleranno?). Cerco anche di darmi delle spiegazioni: crisi d'identità, incompetenza o più semplicemente sete di denaro, ai tempi (ai miei tempi) dell'università si giustificava "malignamente" la scelta di un collega di occuparsi di omeopatia ma la risposta potrebbe essere più semplice: esiste una "fetta di mercato" da accontentare e quindi esiste l'offerta, un po' come giustificare l'esistenza degli oroscopi nel nostro secolo "ufficialmente" moderno e progredito. Non lo so, non sono giunto ad una conclusione certa, ma quando parlo con amici che praticano una delle tante medicine alternative (permesse dalla legge) noto sempre argomentazioni vaghe, quasi un desiderio di sfuggire al confronto, forse un senso di colpa. Una volta chiesi ad un collega omeopata, che ammetteva l'inconsistenza delle teorie omeopatiche, se non pensasse alla scelta poco etica del mentire al paziente sull'assurdità delle proprietà dei granuli di zucchero omeopatici, la sua risposta fu probabilmente la più sincera potesse darmi: "se rivelassimo ciò che somministriamo non avremmo nessun risultato".
Possibile, visto anche ciò che succede sempre più spesso nel mondo delle medicine alternative ed in questo caso dell'omeopatia.

Sono sempre di più, infatti, gli omeopati che dopo aver cessato la loro attività lavorativa hanno una sorta di "crisi" personale, sembra quasi uno sfogo dopo anni passati a difendere posizioni indifendibili (ma necessarie per...vivere). Anni fa era stato Edzard Ernst, docente di medicina complementare, oggi accanito demolitore di medicine non scientifiche, a "confessare" quanto fossero deboli le pretese dell'omeopatia, oggi è il turno di un "pezzo grosso" che anche gli omeopati più accaniti provano imbarazzo a smentire, Anthony Campbell, omeopata, agopunturista (che rifugge ogni aspetto "mistico" e tradizionale dell'agopuntura) medico oramai in pensione del Royal London Homeopathic Hospital, addirittura editor del British Homeopathic Journal (oggi Homeopathy, la rivista di omeopatia forse più nota al mondo). Campbell ha pubblicato un libro nel quale c'è più di uno sfogo nei confronti della pratica che lo ha visto protagonista per anni. Leggiamo qualche sua dichiarazione:
"it is wrong to say, as some critics do, that there is no objective evidence for homeopathy. There is, but most of it is of rather poor quality. Even at its best there is evidence for only a small effect, and when an effect is as small as this it may not be there at all. It is also disturbing that the better the quality of a trial the less likely it is to show a positive effect. I conclude that there are no firm answers to questions about the efficacy of homeopathy to be found in the research that has been done up to now".

Trad.: È sbagliato dire, come fanno alcuni critici, che non c'è nessuna prova oggettiva per l'omeopatia. C'è, ma quasi tutta di scarsa qualità. Nella migliore delle ipotesi, c'è prova solo di un piccolo effetto e quando un effetto è così piccolo potrebbe anche non esistere. È anche fastidioso notare come se gli studi sono di buona fattura vi è meno possibilità di notare un effetto positivo [dell'omeopatia].
Posso concludere che nelle ricerche fatte fino ad oggi, non esiste risposta certa sull'efficacia dell'omeopatia.

Campbell aggiunge:
Homeopathy has not been proved to work but neither has it been conclusively disproven – it is of course notoriously difficult to prove a negative. My own assessment of homeopathy is that, while it is impossible to say categorically that all the remedies are without objective effect, any effect there may be is small and unimportant. The great majority, at least, of the improvement that patients experience is due to non-specific causes.

Trad.: Non è mai stato provato che l'omeopatia possa funzionare ma non è stato provato nemmeno che non funzioni ma come si sa è notoriamente difficile provare un dato negativo. La mia opinione personale sull'omeopatia è che, se è impossibile dire con certezza che nessun rimedio sia efficace, qualsiasi effetto è piccolo e senza importanza. Almeno la grande maggioranza dei miglioramenti che riportano i pazienti, è dovuta a cause non direttamente collegate [all'omeopatia].
Per Campbell "l'omeopatia può essere considerata una forma di psicoterapia." che è quello che pensano in molti: quando non si hanno malattie da curare, ecco che la pallina magica di zucchero è il rimedio perfetto. Il problema è quando un medico propone l'omeopatia per curare malattie vere.

Devo dire che se gli omeopati ammettessero quello che ammette il loro collega sarei molto più "tenero" nei loro confronti, abbandonare tutto il rituale magico dell'omeopatia per ammetterne uno scopo "psicologico", un effetto placebo da sfruttare, un rimedio per tutte quelle persone che non riescono a fare a meno della "pillola" o che al minimo disturbo cercano il rimedio farmacologico (inutile e dannoso) potrebbe essere un terreno costruttivo di discussione. Se fossimo già arrivati su questo piano, perché siamo purtroppo ancora molto lontani da qualcosa del genere: gli omeopati (in generale) rigettano ogni considerazione logica e scientifica per lanciarsi in teorie paranormali che certo non fanno onore a chi ha una cultura scientifica e respingono con sdegno gli argomenti (scientifici) di chi mette in dubbio la loro fede ed in pratica negano secoli di conoscenze scientifiche per darsi ragione.
Ci si potrebbe quindi chiedere come mai un professionista che per 20 anni ha prescritto omeopatia, alla fine "ammetta" queste ovvietà: pentimento? Oppure non ha più bisogno di raccontare favole per vivere? Io credo semplicemente che a volte ci si stanchi di recitare una parte ed una crisi personale sia molto frequente. Ma quelle di Campbell non sono opinioni personali di un omeopata pentito, l'omeopatia è già implausibile teoricamente ed anche nella pratica non funziona più dello zucchero (infatti un granulo omeopatico oltre la 12CH altro non è che zucchero), lo ribadisce il NHMRC (Agenzia australiana per la salute e la ricerca), lo sottolinea il servizio sanitario nazionale inglese (l'omepatia non funziona in nessuna condizione clinica)...e lo fanno notare le vendite: il successo dell'omeopatia è sempre più messo in crisi dalla consapevolezza dei consumatori (il marketing delle aziende omeopatiche fa invece credere il contrario), si veda il drammatico calo delle prescrizioni di omeopatia nel Regno Unito, dove questa pratica è rimborsata dal servizio sanitario nazionale (contestualmente sono crollati i costi dei rimborsi del NHS ma le aziende omeopatiche hanno aumentato i prezzi dei loro prodotti per rifarsi delle perdite):

Il declino delle prescrizioni di omeopatia nel servizio sanitario inglese.

Il dato ricalca quello italiano, da noi in 8 anni (dal 2005 al 2013) l'uso dell'omeopatia si è praticamente dimezzato e riguarda una minoranza della popolazione italiana (quanta di questa minoranza usi solo omeopatia per curarsi ve lo lascio immaginare), questo conferma che la leggenda dell'uso diffusissimo di questa pratica è una semplice operazione di marketing ed il fatto che si continui a battere su questa bugia nelle pubblicità omeopatiche, dimostra per l'ennesima volta come neanche gli argomenti deboli degli omeopati abbiano una base reale e che tutto ruota su abili mosse pubblicitarie: d'altronde saper vendere zucchero come medicina, è un esempio perfetto di quanto sia manipolabile il consumatore con precise scelte di marketing e quando il consumatore è consapevole di cosa acquista a peso d'oro si ribella, come ha fatto diverse volte con class action nei confronti di grosse aziende omeopatiche.
La conseguenza della consapevolezza dei consumatori, oltre al calo delle prescrizioni omeopatiche, ha causato enormi perdite alle aziende (che possono dispiacere per i lavoratori, ma chi basa il suo business sulla magia deve prevedere che qualcuno scopra il trucco) e colossi come la Heel, si ritirano da mercati enormi come quello americano.

Una brutta botta per l'industria delle caramelle magiche ma che non può che rallegrare chi si chiede che ci faccia una pratica stregonesca sugli scaffali delle farmacie, prima o poi la ragione dovrà prevalere sulle superstizioni, sarebbe anche l'ora; oppure le aziende potrebbero finalmente decidere di finirla di ingannare i consumatori ed iniziare ad essere onesti, come ha annunciato la Helios, importante azienda di omeopatia inglese: visto l'aumentare delle regole e delle norme richieste per l'approvazione di un farmaco, se necessario, sono pronti a cambiare le etichette dei loro prodotti omeopatici, presentandoli come "non medicine", "non omeopatici" ma semplicemente come dolciumi, quello che sono.
Tutto questo non avrebbe bisogno di spiegazioni e ragionamenti contorti ma spesso serve ribadirlo, nel 2014 bisogna ancora spiegare che la magia è un'antica superstizione e probabilmente dice bene il prof. Garattini quando sostiene che il ragionamento scientifico e le basi della scienza, dovrebbero essere pilastro dell'insegnamento scolastico:
Occorre anzitutto non limitarsi ai contenuti della scienza, ma approfondirne i principi e la metodologia. I giovani studenti non hanno un’idea della complessità del più semplice organismo vivente mentre dovrebbero conoscere i meccanismi che sottintendono alle funzioni biologiche. Se sapessero le difficoltà nello stabilire i rapporti di causa ed effetto forse, a differenza degli attuali adulti non crederebbero agli indovini, all’omeopatia, agli oroscopi come pure alle terapie miracolose inclusa Stamina.
Questo è ancora più importante quando servizi pubblici, pagati da tutti noi, continuano a dare spago alla vecchia credenza dello zucchero curativo.
Per chi invece nonostante tutto vuole credere allo zucchero che cura non posso che consigliare un librosull'omeopatia uscito recentemente negli Stati Uniti che tratta proprio l'argomento. Credo sia un testo unico, attendibilissimo: il suo autore prima di diventare omeopata era ricercatore presso un'industria di lavorazione dello zucchero, più che competente quindi.  ;)

Nel frattempo, in Australia, c'è chi chiede ai farmacisti di smettere finalmente di vendere omeopatia, secondo me anche per un farmacista è frustrante vendere dolciumi spacciandoli per medicine, ma si sa, con l'Australia siamo agli antipodi, ora provate a smentirmi.
;)

Alla prossima.

Articolo aggiornato dopo la stesura iniziale.
07 Oct 21:26

Antimatter

by xkcd

Antimatter

What if everything was antimatter, EXCEPT Earth?

Sean Gallagher

This one doesn't end well for us. But—unlike most scenarios involving the word "antimatter"—the end is surprisingly slow and drawn-out.

The whole universe is matter, as far as we can tell. No one is sure why there's more matter than antimatter, since the laws of physics are pretty symmetrical, and so there's no reason to expect there to be more of one than the other.[1]Although when it comes down to it, there's no reason to expect anything at all.

It's possible that galaxies are made of antimatter, and we just haven't noticed because we haven't tried to touch them. This is a cool idea, but if there are zones of matter and zones of antimatter, we should see a telltale gamma-ray glow from the boundary between the zones. So far, we haven't seen that, although another telescope might help.

If the rest of the universe were swapped out for antimatter, we'd be in trouble. Outer space isn't really "space";[2]As far as I know, it really is "outer", for what that's worth. it's full of a thin gas.[3]Technically, plasma.​[4]Technically, there's also a substantial quantity of solid grains of dust.​[5]Look, there's a bunch of little bits that are hard to see, ok?.​[6]Ok, they're not always hard to see.

The Earth's magnetic field protects us from the solar wind, and would protect us from an anti-solar wind, too. A tiny fraction of the particles from the Sun do reach the Earth, funneled down by our magnetic field, and create the aurora. In this scenario, the aurora would get a lot brighter, but most of the time not bright enough to really cause problems.

Meteorites would be the real problem.

The Earth sweeps up space dust as it travels around its orbit.[7]Unfortunately for us, antimatter is probably attracted to matter by gravity. About 100 tons of dust per day enters the atmosphere in the form of tiny grains, most weighing about 10^-5 grams. An additional similar average per-day amount arrives in giant clumps all at once.

This inflow of antimatter dust would collide with the top of our atmosphere and be annihilated. The interactions between the nuclei and antinuclei and protons and antiprotons would be complex,[8]A lot of the energy would be carried away by neutrinos. but the end result would be a lot of gamma rays, which would turn into a lot of heat. This steady flow of material would be worst around dawn, when your house was facing in the direction of Earth's motion.

The heat and light added by the antimatter would most likely be enough to tip the Earth into a "runaway greenhouse" scenario, turning the Earth into something resembling Venus.

But the big asteroids would get us first. Even a relatively small object like the Chelyabinsk meteor would deliver as much energy as the meteor that killed the dinosaurs.[9]Although it would deliver it to the top of the atmosphere, so in some ways it wouldn't be as bad. Fairly large asteroids enter the atmosphere every few months—mostly unnoticed. If they were all antimatter, each one would trigger a tremendous pulse of energy in the sky and ignite a massive firestorm.[10]If an antimatter meteor is large enough, encountering a cloud could launch some of it backward without completely destroying it. However, it's hard to come up with a practical scenario in which a meteor would exhibit this effect in Earth's atmosphere—unless it were so large that it would have basically destroyed the planet anyway.

Right now, it's still an open question whether any significant percentage of the stuff in the sky is made of antimatter. It's probably not, but we'd need to build another orbiting gamma-ray telescope to really be sure.

However, it's easy to use a telescope to rule out one possibility: That everything in the sky is antimatter.

If you have a telescope, maybe you can get that result published.

30 Sep 23:04

DA DOMANI TOPOLINO TORNA A FIRENZE?

by Luca Boschi

Paese dei nani

Nerbini-Pubblicità

Dopo tanti anni, Topolino torna a Firenze.

Si tratta forse di un’approssimazione giornalistica, strillata a effetto, ma che non mancherà di essere messa in risalto almeno dai giornalisti de La Nazione (Roberto David Papini, sei in ascolto?) o del Tirreno, per tacere di qualche emittente locale o della stessa Sede Regionale della Rai (Gianni Mammoliti, ci sei?).

aviatore III ed

Come si ricorderà, la prima pubblicazione periodica con Topolino (con la testata a lui intitolata) era stata lanciata proprio a Firenze, dalla rinomata casa editrice Nerbini, fondata da Giuseppe, ex giornalaio al numero 5 della centralissima Via Cavour.

orazio nel castello incantato

Oggi, il Giornale della Libreria riporta quella che più di un addetto ai lavori definisce “la notizia dell’anno”:

La storica casa editrice fiorentina Giunti annuncia il perfezionamento dell’accordo con Disney Italia per l’acquisizione del ramo di azienda book publishing in Italia.
A partire da domani, Giunti diventerà dunque l’editore dell’ampio parco di libri cartacei e digitali oggi pubblicati con il marchio Disney Libri e di quelli cartacei a marchio Marvel e Lucasfilm, che integreranno il già vasto catalogo di oltre 8.000 titoli della casa editrice fiorentina.
L’accordo prevede anche che lo staff di Disney Libri entri a far parte del gruppo Giunti, continuando a
produrre i contenuti dei popolari personaggi Disney a garanzia dell’alta qualità di prodotti editoriali apprezzati da generazioni di affezionati lettori
.

Oltre al settimanale Topolino, che debutta alla fine del 1932, subito dopo Natale, va aggiunto che nel 1935, l’altro editore fiorentino Adriano Salani aveva stipulato un contratto con Disney per pubblicarne i personaggi nelle serie tascabili “Grandi Piccoli Libri” e “Piccoli Grandi Libri”.

Per gli undici titoli disneyani della prima serie, usciti fino al 1941, Salani attinge ai volumi britannici dell’editore Collins e a quelli americani della Whitman, facendo ridisegnare al pittore fiorentino Fiorenzo Faorzi buona parte delle illustrazioni per adattarle al piccolo formato. Ancora Salani dedica nel 1940-41 dodici titoli ai personaggi Disney tra i sagomati “Librini del Cuccù”.

Gigante Faorzi 2-c

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28 Sep 17:50

ShellShock: falla critica in Linux, Mac OS X e altri sistemi operativi derivati da Unix

by Paolo Attivissimo
L'articolo è stato aggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale.

C'è una falla seria in innumerevoli server, computer, router, dispositivi connessi a Internet che permette agli aggressori di agire in modo così  devastante che l'ente statunitense NIST ha assegnato a questa vulnerabilità il massimo grado di gravità: dieci su dieci.

Non c'è da stupirsi, dato che la falla, battezzata ShellShock, consente per esempio di prendere il comando di un server Web non aggiornato semplicemente mandandogli un solo comando via Internet.

Secondo l'esperto Robert Graham di Errata Security, ShellShock è sfruttabile per creare un attacco che si autopropaga: “this thing is clearly wormable”. Una sua scansione ha già trovato alcune migliaia di server vulnerabili, e la BBC parla di mezzo miliardo di dispositivi a rischio. È già in circolazione il primo malware basato su ShellShock (Virustotal; Kernelmode.info) e Trustedsec ha pubblicato una dimostrazione di come questa falla può essere usata per attaccare un computer o altro dispositivo Linux vulnerabile che si collega a una rete Wi-Fi ostile.

Niente panico, comunque: gli utenti Windows sono totalmente immuni dalla falla, a meno che abbiano installato software come per esempio Cygwin: il problema, infatti, riguarda i dispositivi che usano sistemi operativi “Unix-like”, come per esempio Linux, Mac OS X o iOS. Al momento i Mac risultano formalmente vulnerabili, ma la falla normalmente non è sfruttabile per attacchi dall'esterno se si usa il Mac come workstation (per chi lo usa come server pubblico è tutta un'altra storia). Inoltre gli antivirus riconoscono già questo genere di malware. Se volete sapere se un sito è vulnerabile, c'è un test innocuo presso Brandonpotter.com.

È comunque fondamentale aggiornare i dispositivi vulnerabili installando la correzione (e anche la correzione della correzione), che è quasi sempre già disponibile: un'operazione relativamente facile per i computer, ma chi aggiornerà router, webcam, termostati, smart TV, stampanti, NAS e altri dispositivi online? Improvvisamente l'Internet delle Cose non sembra più una bell'idea come prima.


In dettaglio


La falla (CVE-2014-6271) risiede in Bash, l'interprete dei comandi di quasi tutti i sistemi operativi Unix e “Unix-like”. Secondo alcune indicazioni, giace indisturbata da circa vent'anni: un fatterello che non mancherà di riaprire il dibattito sui pro e contro dell'open source in termini di sicurezza (sul quale dico subito che la falla è stata scoperta proprio perché il codice sorgente è ispezionabile e che non sappiamo quante altre falle segrete ci sono nel software chiuso). È presente fino alla versione 4.3 inclusa ed è stata resa pubblica da Stephane Chazelas.

Per sapere se un dispositivo che usa Unix o simile (quindi anche un computer Apple) è vulnerabile, provate a digitare in una finestra di terminale questo comando:

env x='() { :;}; echo vulnerabile' bash -c "echo prova"

Se vi compare un messaggio d'errore del tipo bash: warning: x: ignoring function definition attempt
bash: error importing function definition for `x'
, siete a posto. Se invece compare la parola vulnerabile, siete appunto vulnerabili. Se comunque non vi va di attendere che Apple turi la falla, ci sono delle soluzioni non ufficiali qui.

Maggiori dettagli tecnici sono su The Register, Redhat.com, SlashdotArs Technica, e una delle migliori spiegazioni è quella di Troyhunt.com; in italiano c'è Siamogeek.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.
28 Sep 17:47

Diffusion Monte Carlo: A powerful tool for studying quantum many-body systems

by Tao Pang

Diffusion quantum Monte Carlo is introduced at an elementary level. We highlight the strengths of the method in addressing important issues associated with quantum many-body systems, such as those associated with the ground-state energy and pair-distribution function. 4He clusters trapped on a graphite surface are simulated as an example of the method. A sample program and documentation for developing simulation projects are provided.

23 Sep 10:11

POPEYE IN 3D: FINALMENTE UN’ANTEPRIMA!

by Luca Boschi

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Finalmente il genio dell’animazione (russo, trasferitosi in USA con la famiglia) Genndy Tartakovsky esce allo scoperto con un test sull’animazione del nuovo lungometraggio di Braccio di Ferro in 3D.

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Per chi si fosse distratto, ne avevamo già parlato, più o meno come segue.

Buon luglio.
Questo blog, alla chetichella, ha già compiuto cinque anni di serrati messaggi in bottiglia nella rete.
Auguri blog, tanto per cominciare, chissà chi ti porterà al guinzaglio dopo di me.

Sgtpep

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Quest’omaggio grafico di Stephen DeStefano, tributato al celeberrimo brano dei Beatles Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967) serve a far rimbalzare la notizia di qualche mese fa diramata dalla Sony sulla sua intenzione di far realizzare un lungometraggio di animazione in CGI su Popeye.

Sergente jpg

La rivistella Variety ha annunciato che la regia del film, scritto da Jay Scherick e David Ronn (I Puffi in 3D: un esperimento discutibile sul quale abbiamo preferito “sopravvola-
re”), è stata affidata a Genndy Tartakovsky (Геннадий Борисович Тартаковский), il regista russo, anche un po’ misterioso, classe 1970, che si è fatto un nome eccezionale grazie a serie animate un po’ di culto come Le Superchicche, Il Laboratorio di Dexter, Samurai Jack e Star Wars: the Clone Wars.

Com’è (abbastanza) noto, Genndy è attualmente impegnato con Hotel Transylvania, lungometraggio animato sul quale gravano molte aspettative (anche di botteghino).

Sotto, due trailer, in italiano e in Inglese con sottotitoli.
Per il grande schermo bisogna attendere fino a novembre.

Ah, ma vi interessava di più il discorso sull’immagine di apertura?

Chi non conosce il brano di John, George, Paul e Ringo, può ascoltarselo sotto nella versione animata per il lungometraggio Yellow Submarine.

L’illustrazione è stipata di personaggi piuttosto antichi del KFS (al quale appartiene il © su quasi tutti quanti; non certamente su uno di essi, forse su due o tre).
Sapete individuarli tutti?
E quali sono gli intrusi non kinghiani?
Sono certo di sì…

Intanto, ecco una carrellata di recenti interpretazioni degli eroi di Segar. Anche chi non conoscesse DeStefano, forse puà ricordare di aver visto, non troppo tempo fa, la copertina da lui disegnata del cofanetto di dvd del Popeye dei Fleischer del quale posto, sotto, il bozzetto a matita.

De Stefano
Segue un tentativo di modernizzare Popeye e Bluto, in versione grunge, più o meno musicale, che DeStefano ha eseguito buttando un’occhio all’interpretazione grafica di Bud Sagendorf.

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Grunge-1

Grunge-3

Grunge-2

Sotto, DeStefano in autocaricatura, con maschere bracciodiferriane legate a diversi periodi della vita del personaggio.

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Segue la copertina della fanzine Apatoons, realizzata da DeStefano nel 2003.

Apatoons

Infine, alcune immagini a matita, di studio per un paio di personaggi della serie: Babbo di Bordo, o Papà Trinchetto, altrimenti detto Braccio di Legno (ma in sostanza Poopdeck Pappy) e la Strega Bacheca, o Bagheca (The Sea Hag). La Strega di Mare, insomma.

Pappy1

Pappy2

Hag1

Hag24

23 Sep 10:08

Camões, Pimenta and the Improbable Sonnet

This article tells the story of a Renaissance sonnet gaining new life, new form and new meaning during the 20th Century.

During the Eighties of last century, the poet Alberto Pimenta took the sonnet Transforma-se o amador na cousa amada (The lover becomes the thing he loves) from Luís de Camões (16th Century), reorganized the letters of each verse of the poem and came up with a new sonnet, Ousa a forma cantor! Mas se da namorada (Dare the form, songster! But if the girlfriend). Who is the author of the second poem? We should say Pimenta, but, ironically, this author did not manage to organize a new verse from the last one of the original poem until he put aside the letters L and C, the initials of the author of the original sonnet. It seems that, in some mysterious and magical way, Luís de Camões came to reclaim the authorship of the second poem as well.

Recently, the designer Nuno Coelho challenged his Design and Multimedia students at the University of Coimbra with a new project: to produce a multimedia transformation of the sonnet of Camões into Pimenta's, and a new breath was given both to poems and their authors.
23 Sep 10:06

Martin Gardner's Mathemagical Life

"Martin Gardner has turned dozens of innocent youngsters into math professors and thousands of math professors into innocent youngsters."

Persi Diaconis
20 Sep 14:48

Quando una “dimostrazione” è una dimostrazione?

by Maurizio Codogno

Attenzione ai disegnini che dimostrano i teoremi: possono essere utili ma bisogna sempre verificare che siano ben fatti [Continua]

The post Quando una “dimostrazione” è una dimostrazione? appeared first on Il Post.

20 Sep 14:48

Il Torrente Epperò

by Marco Fulvio Barozzi

Il Torrente Epperò nasce dalle appendici del Monte Cunno, nel Pennino Fosco-Lugano. Dopo aver formato il L’ago Erore e la Cascata Rovinosa, scorre nella Val Nerchia e si butta via. Attraversa i comuni di Sollazzo, Spasso e Baraonda Sottana, dove è attraversato da tre armeni ponti di sospensione. Sulle sue rive omertose si pratica la pesca dell’orchio maggiore, dalle carni privilegiate, che si conserva fino alla data indicata sul tetro della confezione. Può contenere tracce di anidride solforosa e di frutta a guscio (aracnidi). Famoso anche l'infrattamento concupiscente, esercitato con grande soddisfazione di critica e di pubblico (da qui il nome dell’idromino). 

Sulle sponde dell’Epperò si combattè nel 1795 la battaglia anonima, che vide confrontarsi le forze rivoluzionarie e quelle perpendicolari alla Direzione, che vide la vittoria delle prime sulle seconde esattamente in questo ordine. Da quel momento la Val Nerchia fu contesa avanti e indietro, con grande soddisfazione fino al Monte Cunno. Nell’anniversario della battaglia si svolge una magnifica celebrazione con gli abitanti che vanno a Spasso in ordine sparso. 

Tra le bellezze storico-culturali della valle si segnala la Certosa di Baraonda, circondata da capitelli gotici e bodoniani, in grassetto sottolineato, con il ciclo di freschi di Santa Patanza, capolavoro della scuola del Gonorrea (ca. 16 settembre 1514).
http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss
20 Sep 14:47

Balloon Car

by xkcd

Balloon Car

My 12-year-old daughter is proposing an interesting project. She is planning to attach a number of helium balloons to a chair, which in turn would be tethered by means of a rope to a Ferrari. Her 13-year-old friend would then drive the Ferrari around, while she sits in the chair enjoying uninterrupted views of the countryside. Leaving aside the legal and insurance difficulties, my daughter is keen to know the maximum speed that she could expect to attain, and how many helium balloons would be required.

Phil Rodgers, Cambridge, UK

Thanks for getting your dad to send in this question! He said not to worry about the "legal and insurance difficulties," so I think it's safe to assume he's taken care of all that.

Note to police: If you've recently taken into custody two unidentified underage drivers, a stolen Ferrari, and a bunch of helium balloons, the person you're looking for is Phil Rodgers in Cambridge, UK.

Okay, on to your question:

Have you ever run with a balloon? It doesn't point straight up. The air rushing past you pushes it down:

How high the balloon goes depends on which force is stronger--the balloon's buoyancy pulling upward, or the wind dragging the balloon backward. If the drag is too strong, the balloon will stay low to the ground and you won't get a good view.

To figure out how fast you can go, let's first figure out how big our cluster of balloons (or one big balloon, which is probably easier) needs to be to lift you.

People your age weigh an average of 43 kilograms, which means you need a balloon 4 meters wide to lift you—that's about the size of a car. (If you don't weigh 43 kilograms, you can put your weight into this formula.)

A 4-meter balloon will be large enough to cancel out your weight. But that's not enough. It just means you wouldn't fall or float—so you'd be towed along the ground behind the car.

To float upward, you need a bigger balloon. A 5 meter balloon will produce 71 kilograms of lift[1]Usually, physics people will make a big deal about how weight and force are different from mass, but in this case, I'm going to resist the urge, because it's easy to just think of everything in terms of weight.​ (here's the formula!). That's enough to cancel out your 43-kilogram weight, plus a few kilograms for the chair and balloon itself.

The balloon will be dragged backward by the air. The faster your friend drives, the more the air will drag the balloon back. You can use this formula to figure out how much "weight" will pull backward on the balloon for different speeds and sizes. Just change the "20 mph" (driving speed) and "5 meters" (balloon size) in the formula.

If the upward pull from the helium is stronger than the backward pull from the wind, the balloon will float at a high angle. If the backward pull is stronger than the upward pull, the balloon will float at a low angle. If you're using a 5-meter balloon, even if you drive only 10 mph, the balloon will float pretty low behind you.

Fortunately, there's a solution: You can make the balloon bigger. As you make the balloon bigger, the buoyancy starts to win out over the drag.[2]The reason is that the buoyancy equation uses diameter^3 but the drag equation uses diameter^2, so if you make diameter bigger, the buoyancy equation grows more.

If you use a 10 meter balloon, the buoyancy is strong enough that you can drive at 20 or 25 mph and still stay pretty high off the ground. A 15 meter balloon is even better; it would let you go 30 mph while still getting a good view.[3]You could make the cable longer, so that even a low angle still gets you high off the ground. But the cable won't be straight; it makes a curve called a catenary. At a low enough angle, making the cable longer would just mean part of it would drag on the ground.

Unfortunately, there's a problem with using larger and larger balloons.

A 15-meter helium balloon plus a 12-year-old can lift 1,895 kilograms. But a Ferrari 458 (plus a 13-year-old) only weighs 1,532 kilograms.

The solution to all this is to ditch the helium. You don't need a balloon. All you need is a kite or a parachute—a surface to act as a wing and redirect that incoming air to push you upward.

In other words, see if your dad will take you parasailing.

16 Sep 15:50

Ricercatori visibili

by Marco

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Giovedì scorso, come avevo annunciato qualche tempo fa, sono stato a La Morra, dalle parti di Torino, per la scuola di dottorato SCS 2014.
Mi hanno invitato per la giornata dedicata ai blog scientifici, e, più in generale, per discutere del blog come strumento di divulgazione e comunicazione della scienza. È stata un'esperienza molto piacevole e arricchente, per ragioni che proverò a raccontare: veramente grazie a Agorà Scienza per l'invito!

Tanto per cominciare, la mattina, dietro al tavolo dei "docenti", c'erano persone di caratura indiscussa: Astrid Pizzo, che ha studiato il fenomeno dei blog di scienza in Italia ed all'estero in modo appunto scientifico; Sylvie Coyaud, che scienziata non è ma tiene un blog che di scienza si occupa, che ha portato lo sguardo e la professionalità del giornalista; e Piero Bianucci, che di divulgazione scientifica si occupa per mestiere da sempre, e su ogni possibile mezzo di comunicazione. Lì in mezzo, io giovavo il ruolo della cavia, lo scienziato che si è ritrovato a fare (anche) divulgazione della sua scienza, per molti versi quasi per caso. Discutere con i miei compagni di docenza è stato gratificante e stimolante.

 

La ragione principale per cui l'esperienza è stata molto positiva sono stati però gli studenti, quelli seduti dall'altra parte del tavolo. Quasi tutti dottorandi, qualche assegnista di ricerca, praticamente tutti scienziati, ma anche un paio di umanisti col pallino della comunicazione della scienza. Erano tutti chiaramente motivati e interessati, e in più ormai anche rodati come gruppo come solo alla fine di una scuola residenziale può succedere: cosa potevamo chiedere di più?

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Nel pomeriggio, in compagnia di Sylvie Coyaud, ci siamo lanciati in una sorta di esercitazione pratica che seguiva le tracce della discussione del mattino: come si scrive un pezzo di divulgazione per un blog, breve e leggibile da tutti? Come lo si rende interessante? Come lo si pubblicizza? Come si gestisce la discussione che potrebbe generare (perché conversazione è la parola chiave che definisce un blog, insieme a continuità), con tutti i potenziali problemi? Ne è venuto fuori questo blog tematico, con un sacco di contributi interessanti, sia per i contenuti sia per le scelte di forma fatte dagli studenti: fate un salto e andate a leggere, ne vale la pena.

 

Come sempre, a provare a insegnare si finisce anche per imparare. Da parte mia, ho imparato che questa generazione di scienziati ha molto chiara in testa l'evoluzione settaria della scienza, e non è rassegnata per niente al ruolo di soldatino della ricerca, operaio in un formicaio dove il singolo spesso perde il contatto con la visione generale dell'impresa scientifica, e, peggio, con le motivazioni che lo hanno spinto a lanciarsi in questo mestiere. Mi è sembrato essere questo il tema di fondo di tutte le discussioni, al di là delle questioni tecniche o delle analisi degli specifici strumenti: perché vale la pena provare a comunicare la scienza che facciamo? Perché ci permette di riappropriarci delle ragioni più intime che ci hanno spinti a diventare scienziati, e perché farlo è un gesto politico, che riconosce esplicitamente la natura non neutrale della visione scientifica del mondo, e il suo impatto nella formazione sociale della popolazione e dei paesi. Sapere che dei dottorando hanno in testa questo è stato molto confortante. Dove possa portare questa consapevolezza, poi, non è necessariamente chiaro (specie in Italia, con il suo sistema di baronie e la meritocrazia monca), ma mi sembra un punto di partenza importante.

Poi, naturalmente, ci sono anche gli strumenti, e la capacità di usarli. Strumenti tecnologici ma anche di comunicazione e scrittura, chiavi del buon uso della rete e della sua comprensione. Strumenti che sono importanti, e che avrebbero meritato molto più che mezza giornata per essere sviscerati. E che, scoperta che mi ha lasciato un po' basito, non sono poi così noti o compresi da questi "nativi digitali", o perlomeno non quanto mi sarei aspettato. Ma questo meriterebbe un discorso a parte, forse un'intera altra scuola, e, comunque, non è la cosa più importante.


© Marco @ Borborigmi di un fisico renitente, 16/09/2014. (Some right reserved)| Permalink | 9 commenti
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16 Sep 15:37

Carnevale della Matematica #77

by Paolo Alessandrini
All’alba melodioso.
(77 secondo la Poesia Gaussiana del Sommo Popinga)


Benvenuti all'edizione numero 77 del glorioso Carnevale della Matematica, la terza ospitata da Mr. Palomar.

Come vuole la tradizione carnevalizia, si comincia con alcune curiosità legate al numero 77.
La fattorizzazione è 7 × 11 (da cui il verso gaussiano riportato all'inizio di questo post). Dato che la somma dei divisori di 77 è minore del numero stesso, siamo di fronte a un numero difettivo. Poiché i fattori 7 e 11 sono numeri primi della forma 4t+3, con t intero, cioè sono primi gaussiani, possiamo anche dire che 77 è un numero di Blum.
Il 77 è anche un numero che fa parte di una successione di Ulam, in cui ogni termine è esprimibile, in modo univoco, come somma di due membri precedenti e distinti della successione: un esempio di successione di Ulam comprendente 77 è : 1, 2, 3, 4, 6, 8, 11, 13, 16, 18, 26, 28, 36, 38, 47, 48, 53, 57, 62, 69, 72, 77, ecc.
Il nostro 77 ha anche le caratteristica di essere la somma di tre quadrati consecutivi (4×4 + 5×5 + 6×6) e dei primi otto numeri primi (2+3+5+7+11+13+17+19).
È anche il più grande numero che non può essere espresso come somma di numeri distinti i cui reciproci sommano a 1.

Passando a curiosità non matematiche, pare che durante la seconda guerra mondiale il numero 77 fosse utilizzato spesso come parola d'ordine nelle regioni scandinave: il modo alquanto peculiare in cui il numero viene pronunciato nella lingua svedese consentiva infatti di discriminare immediatamente tra persone svedesi, norvegesi e tedesche.
Venendo a storie più recenti e nostrane, il Settantasette è stato un movimento politico italiano attivo, appunto a partire dal 1977, nell'ambito della sinistra extraparlamentare.
Se nella Smorfia napoletana il nostro numero simboleggia cose tentatrici, come le gambe delle donne o i diavoli, in alcune religioni, come l'Islam e il Cristianesimo, questo numero acquisice valenze più ultraterrene. Secondo alcune credenze numerologiche, infatti, il numero viene associato a Gesù Cristo, e settantasette furono anche, secondo i vangeli, le generazioni che trascorsero tra Adamo e Gesù.
In ambito musicale, 77 è anche l'anno di debutto della celebre rock band americana dei Talking Heads. Nel loro primo album (che s'intitolava appunto Talking Heads: 77) compariva Psycho killer, divenuta poi una delle canzoni più famose del gruppo.


Il tema che ho proposto per questo Carnevale settembrino è Matematica mostruosa, spaventosa, vertiginosa.
In che modo la matematica può incutere paura, suscitare un senso di vertigine, o suggerire idee mostruose? Non stiamo forse parlando della scienza apollinea per eccellenza? Dello studio delle forme perfette, dell'armonia dei numeri, in cui ogni cosa è, per definizione, coerente, equilibrata e rassicurante?
Chi conosce bene la matematica sa che non è così, forse perché l'ambito della matematica non coincide esattamente con la realtà. Certamente vi sono aspetti del reale che non possono essere descritti compiutamente in forma matematica, ma specularmente esistono anche aree della matematica che sfuggono a ogni tentativo di ricondurle a categorie reali, e in questo senso suscitano vertigine e sconcerto. L'infinito e i paradossi logici sono due esempi ovvi.
Ma questo è forse un discorso che ci porterebbe troppo lontano: meglio rientrare su binari più facili. Mi limito a dire che per illustrare questo Carnevale ho scelto alcune opere di Oscar Reutersvärd, un artista svedese noto per i suoi disegni di figure tridimensionali "impossibili" (tra le quali il celebre triangolo di Penrose, "scoperto" in realtà da Reutersvärd). Ho tratto le illustrazioni seguenti dal blog Impossible world di Vlad Alexeev. Spero che anche a voi queste figure paradossali appaiano un poco mostruose e incutano un pizzico di spavento e di vertigine.


Alcuni dei post che mi sono stati segnalati sono, in effetti, perfettamente in sintonia con l'argomento proposto, ma com'è ormai noto anche i contributi fuori tema sono più che benvenuti. Per questo ho pensato di non suddividere il Carnevale in due parti come avevo fatto nelle precedenti edizioni, e di presentare tutti i contibuti in un'unica sequenza.

Partiamo dal Coniglio Mannaro, ovvero dal bravissimo Spartaco Mencaroni: medico, mirabile narratore appassionato di matematica, nonché autore dei Racconti matematici pubblicati da 40K.
Il Coniglio propone Il naufragio del Perroquet, un racconto in due parti (questa è la prima, e questa la seconda), che si accorda perfettamente con il tema del Carnevale.
Le parole dello stesso autore descrivono molto bene non solo il racconto che introducono, ma più in generale il modo in cui la matematica e la logica stesse possono diventare spaventose:

Cos'è l'orrore? Possiamo darne un gran numero di definizioni, basandoci sulle nostre più sottili angosce, magari generate dal ricordo di esperienze passate. Una dimensione soggettiva, insomma, che non si può separare dal concetto stesso di paura. Ma esiste anche un orrore oggettivo, inconfutabile, a cui nessuno può resistere: ed è quello che ci assale quando la realtà, che siamo abituati a ritenere logica e indissolubile, vacilla.
Paradossi, fenomeni inspiegabili, distorsioni temporali... sono spesso l'ingrediente più gustoso delle finzioni più riuscite: ma le stesse cose ci spaventano a morte se diventano parte inconfutabile della realtà. Quando lo stesso strumento principe della ragione, la logica matematica, ci conduce a distorsioni impossibili, inaccettabili, innaturali, allora...
Beh, a quel punto, il panico è inevitabile.


Anche Flavio Ubaldini, trombonista e matematico anche noto come Dioniso, ha a che fare con i librini di Altramatematica, avendo scritto l'imperdibile La musica dei numeri. E anche il suo contributo al carnevale settembrino è di tipo narrativo: direttamente dall'ottimo blog Pitagora e dintorni, ecco a voi La scala del diavolo, una gustosissima storia ambientata in un'aula universitaria, con un imprevisto risvolto "mostruoso":

Quella notte Maria stentò ad addormentarsi. E, nel dormiveglia, cominciò a vedere il volto del suo salvatore delle ultime file. Lo vedeva bello e raggiante. Ma, improvvisamente, da quel volto spuntarono due folti baffi. E la luce che emanava si spense. Per essere rimpiazzata dall'oscurità del volto gignante del professore.
- Continua ma non derivabile, continua ma non derivabile - diceva il professore con voce beffarda e potente. Poi il tono si fece sempre più cavernoso e il volto s'infuocò.



Roberto Zanasi, anche lui autore di un pregevole blog (Gli studenti di oggi) ma anche di un e-book della sopra citata collana (Un punto fermo, che senza dubbio merita una lettura), contribuisce al Carnevale affrontando, con rigore e grande capacità divulgativa, una delle questioni più controverse della matematica, e cioè Ma chi l'ha detto che meno per meno fa più?
Eccovi un assaggio:

Eh, la famosa regola del prodotto (e della divisione) dei segni dice che meno per meno fa più, ma perché è così? Perché il prodotto di due numeri negativi deve essere positivo? Perché non negativo al quadrato, per dire? (No, ok, vabbé).


Il Carnevale della Matematica non sarebbe il Carnevale della Matematica se non vi partecipassero quei tre geniali simpaticoni dei Rudi Mathematici. Per amor di completezza, anche loro sono autori di uno dei bei librini matematici di 40K, precisamente quello intitolato Di 28 ce n'è 1. E poi sono loro che scrivono su Le Scienze e sul relativo blog Rudi Matematici (senza acca). Il bello è che nel segnalarmi i loro generosi contributi, i Rudi quasi si scusano per il fatto che (dicono loro) non hanno granché da proporre. Eppure i loro post sono numerosi e, come sempre, di eccelsa brillantezza.
Il primo, Sembra facile..., è uno di quei pezzi un po' ostici del Capo, che si occupa di tutti i miti del gioco d'azzardo in modo alternativo.
I Compleanni sono un grande classico dei Rudi. 21 Agosto 1789 – Buon Compleanno, Augustin!
celebra l'anniversario della nascita di Cauchy: personaggio moderatamente antipatico, che però ha dato un contributo davvero grande allo sviluppo della matematica, tra le altre cose insegnando a molti altri grandi matematici. Non perdetevi questo articolo, che, com'è peraltro normale nei Compleanni dei Rudi, riesce mirabilmente a collegare tra di loro argomenti che per ogni comune mortale sarebbero inconciliabili, come il David Letterman Show, le macchine da scrivere, il progresso culturale, e appunto Cauchy.
Sempre dal blog de Le Scienze, i Rudi segnalano anche l'affascinante Un classico al quadrato (o al cubo): i Cubi di Platone, ovvero il problema classico del mese, che ha riscosso grande successo tra i loro lettori.
A proposito di problemi, ecco anche la soluzione del problema di agosto pubblicato su Le Scienze 552 (Wimbledon 2.0) (che, ancora una volta, si è dimostrato aperto a varie interpretazioni e così anche a varie strade risolutive):

Ma vi rendete conto? Rudy che non sa neppure che a Wimbledon è assolutamente irrinunciabile vestire di bianco! Dobbiamo davvero vederle tutte, in questa vita faticosa.
Oddio, va riconosciuto a Rudy che, a ben vedere, non è che si trattasse davvero di Wimbledon: anche perché, se si fosse trattato davvero del praticello inglese, assai difficilmente avremmo visto Alice arrivare in quattro e quattr’otto in finale. Era solo un torneuccio condominiale da nome un po’ troppo altisonante… e se vi pare un’esagerazione, tenete sempre bene a mente, per favore, che molte delle cose che vi raccontiamo non hanno necessariamente una relazione diretta con la realtà. In altri termini, non crediate che, solo perchè avete letto il pezzo su Le Scienze a inizio mese, voi possiate affermare senza tema di smentita che Alice Riddle è una furia con la racchetta anche nel mondo reale. A dirla tutta, non sappiamo neppure se la vera Alice ce l’abbia, una racchetta…

Dato che nel precedente Carnevale non era stato possibile segnalare l'uscita del numero agostano di RM, l'autorevole e insostituibile "Rivista fondata nell'altro millennio", mi ritrovo immeritatamente l'onore di segnalare due numeri anziché uno soltanto: il numero 187 e l'appena uscito numero 188.


Mauro Merlotti, autore del blog Zibaldone scientifico, ha bene interpretato il tema proposto parlando di due argomenti matematici che sicuramente spalancano scenari vertiginosi e spaventosi: i frattali e i grandi numeri. Il suo contributo è appunto intitolato Grandi numeri. Mauro me lo ha presentato con queste parole:

Visto che l’argomento è “Matematica mostruosa, spaventosa, vertiginosa”, mi è venuto spontaneo parlare di frattali e “grandi numeri” che ho sempre ritenuto essere un argomento affascinante. Ho visto che anche Mr. Palomar ha pubblicato qualche cosa in merito l’anno scorso. 


Dal pregevole blog Al tamburo riparato, Leonardo Petrillo propone Di gruppi e mostri (matematici), un ecellente contributo che potrei definire deliziosamente mostruoso, sul tema della teoria dei gruppi e in particolare del gruppo Mostro M, con le sue inaspettate connessioni con la teoria dei numeri:

La storia del gruppo Mostro M (o gruppo di Fischer-Griess) ha inizio nel 1973, quando Bernd Fischer e Robert Griess ipotizzarono l'esistenza di un gruppo che potesse essere visto in ben 196.883 dimensioni. In sostanza, si può immaginare il gruppo Mostro come un incredibile fiocco di neve con circa 8 · 1053 simmetrie in uno spazio di 196.883 dimensioni.


Andrea di Science4fun partecipa alla rassegna carnascialesca con Il pane cade sempre dalla parte della marmellata?
Vi chiedete cosa c'entra con il tema del Carnevale? Come mi scrive lo stesso autore: più vertigine di così!
L'articolo, molto interessante e divertente, cerca di fare chiarezza su una delle questioni più studiate dai fisici golosi:

È opinione diffusa che la fetta di pane cada atterrando sempre della parte della marmellata. Si tratta di una delle più famose leggi di Murphy, ma è davvero così o si tratta solamente dell’effetto del caso, magari amplificato da qualche frase aneddotica?


Non si potrebbe celebrare degnamente il Carnevale senza il suo padre fondatore, Maurizio .mau. Codogno. Ah, sì, è vero: anche .mau. è autore di uno dei librini di Altramatematica (Matematica e infinito), ed è anche il curatore della collana. Com'è suo costume, Maurizio contribuisce alla sua creatura carnevalesca con generosità.
Per cominciare, sulle Notiziole ha presentato un divertente Gioco per ferragosto: Duzzle!

Scopo del gioco, come spiegato nella finestra pop-up iniziale, è quello di rimettere in ordine crescente i numeri da 1 a 25 disposti in un quadrato 5×5. Quello che si può fare è spingere una riga o una colonna: un numero uscirà fuori dal quadrato e prenderà il posto lasciato libero dagli altri che si sono mossi.

Inoltre, .mau. ci regala alcune delle sue illuminanti e incisive recensioni.
La dea delle piccole vittorie è un romanzo di Yannick Grannec, in cui Gödel viene visto con gli occhi della moglie... ma non solo.
Paradoxes from A to Z di Michael Clark è un libro che raccoglie un gran numero di paradossi, matematici ma anche filosofici o linguistici o legali, da quelli classici a quelli più recenti. A parere del recensore (e traduttore) .mau. l'edizione inglese è meglio di quella italiana.
In Musing of the Masters, Raymond George Ayoub ha raccolto diciassette saggi di matematici che non trattano di matematica in senso stretto, ma piuttosto del lato umanistico della matematica.

Sul Post, Codogno ci offre i consueti e appetitosi Problemini per ferragosto, e ci fornisce anche le relative soluzioni.
Induzione alla rovescia è invece un interessantissimo post che spiega perché il classico metodo di induzione, utilizzato per dimostrare che una certa proprietà vale per tutti i numeri interi, e normalmente applicato in senso crescente, può essere impiegato anche al contrario:

Un’induzione alla rovescia non può funzionare: che senso avrebbe tornare all’indietro, se dobbiamo arrivare fino all’infinito? Infinito meno uno che cos’è? Beh: esiste un caso in cui si fa effettivamente induzione all’indietro! 

Volete sapere qual è questo caso? Be', leggete il post, no?


Il contributo di Annalisa Santi, dal blog Matetango, si intitola John Nash, tra genio e follia.
Con le parole stesse dell'autrice:
Giusto per cercare un aggancio si potrebbe dire che John Nash  ha dimostrato che proprio la matematica gli ha permesso di uscire dal tunnel della schizofrenia paranoide, questa sì "mostruosa, spaventosa, vertiginosa"!  Nash ha sostenuto infatti che: "La matematica, il calcolo e i computer sono stati la medicina che mi ha riportato ad un'idea più razionale e logica, aiutandomi a rifiutare il pensiero e l'orientamento allucinatori. La matematica è curativa e in America viene usata nella terapia occupazionale al posto dei farmaci. Con ottimi risultati!"



Roberto Natalini mi fa sapere che "Maddmaths!ha parecchio dormito in agosto". Ma non credetegli. I contributi di questo sito sono sempre abbondanti e di elevatissimo livello qualitativo.
Il primo è anche in tema: in occasione del convegno Infinite Wallace / Wallace infini, che si tiene in questi giorni a Parigi, il sito Images des Mathématiques ha chiesto a Roberto Natalini, che tra le altre cose è co-coordinatore, con Andrea Firrincieli, del sito Archivio DFW Italia, di scrivere un breve articolo sulle connessioni tra David Foster Wallace e la matematica. Il risultato è Gli infiniti scherzi matematici di David Foster Wallace.

Il secondo contributo èIl momento giusto per andare in pensione a cura di Stefano Pisani, Maya Briani, Andrea Pascucci. In tempi di crisi economica, le ansie dei lavoratori si appuntano non solo sull’attualità ma anche sul futuro. La questione pensionistica, su cui arrivano con cadenza praticamente quotidiana notizie non esattamente incoraggianti, è stata affrontata da un gruppo italo-spagnolo di matematici che ha elaborato un modello che potrebbe aiutare a rispondere alla domanda: quando è il momento migliore per andare in pensione?
Stefano Pisani è l'autore dell'interessante La matematica al servizio della pallavolo italiana. Nei Mondiali di pallavolo maschile che gli azzurri avevano un’arma in più: i numeri. E non stiamo parlando dei numeri degli schemi o delle loro altezze, ma dell’applicazione al gioco degli atleti di modelli matematici sviluppati dal Moxoff, spin-off del Politecnico di Milano. 
Infine, Congresso Internazionale dei Matematici: non solo Mirzakhani è l'intervento di Ciro Ciliberto, professore ordinario di geometria superiore all'Università di Tor Vergata e presidente dell'UMI, sul recente congresso internazionale dei matematici di Seoul. 


Dal sempre stimolante blog Dropsea, Gianluigi Filippelli partecipa con quattro contributi.
La congettura di Rota tratta della congettura enunciata nel 1970 da Gian-Carlo Rota sulle matroidi, degli oggetti matematici a metà strada tra le matrici e gli insiemi.
La matematica delle lacrime è la piccola storia di un modello matematico che descrive il fluido lacrimale all'interno degli occhi.
Dagli equilibri di Nash ai comportamenti collettivi è un post di grande interesse: sfruttando come spunto ispirativo il Godel Research Prize vinto da un suo ex compagno di classe, Filippelli discorre degli equilibri di Nash azzardando un possibile legame con lo studio dei comportamenti collettivi.
Racconti matematici è invece una recensione dell'omonima raccolta di racconti curata da Claudio Bartocci.

Per concludere la carrellata dei contributi, anche questo blog ha cercato di immergersi in un'atmosfera di vertigine matematica. In Come costruire un libro infinito (prima parte) suggerisco qualche idea su come potrebbe essere fatto un libro infinito, sfruttando alcuni assist offerti non da matematici, ma da scrittori, come Michael Ende, Jorge Luis Borges e Raymond Queneau. Ma il bello deve ancora venire, e arriverà appunto tra pochi giorni, nella seconda parte del post.

E siamo arrivati in fondo. La prossima edizione uscirà tra un mese sul blog Crescere creativamente di Maestra Rosalba, con il tema "Disegnate la matematica". Il nome in codice sarà il merlo canta allegro.
Ecco, il Carnevale è davvero finito. Lasciatemi ringraziare di cuore tutti i partecipanti. Evviva il Carnevale della Matematica!
16 Sep 12:30

Science!

16 Sep 10:32

Launching Today: Mathematica Online!

by Stephen Wolfram

It’s been many years in the making, and today I’m excited to announce the launch of Mathematica Online: a version of Mathematica that operates completely in the cloud—and is accessible just through any modern web browser.

In the past, using Mathematica has always involved first installing software on your computer. But as of today that’s no longer true. Instead, all you have to do is point a web browser at Mathematica Online, then log in, and immediately you can start to use Mathematica—with zero configuration.

Here’s what it looks like:

Click to open in Mathematica Online (you will need to log in or create a free account)

It’s a notebook interface, just like on the desktop. You interactively build up a computable document, mixing text, code, graphics, and so on—with inputs you can immediately run, hierarchies of cells, and even things like Manipulate. It’s taken a lot of effort, but we’ve been able to implement almost all the major features of the standard Mathematica notebook interface purely in a web browser—extending CDF (Computable Document Format) to the cloud.

There are some tradeoffs of course. For example, Manipulate can’t be as zippy in the cloud as it is on the desktop, because it has to run across the network. But because its Cloud CDF interface is running directly in the web browser, it can immediately be embedded in any web page, without any plugin, like right here:


Another huge feature of Mathematica Online is that because your files are stored in the cloud, you can immediately access them from anywhere. You can also easily collaborate: all you have to do is set permissions on the files so your collaborators can access them. Or, for example, in a class, a professor can create notebooks in the cloud that are set so each student gets their own active copy to work with—that they can then email or share back to the professor.

And since Mathematica Online runs purely through a web browser, it immediately works on mobile devices too. Even better, there’s soon going to be a Wolfram Cloud app that provides a native interface to Mathematica Online, both on tablets like the iPad, and on phones:

Wolfram Cloud app: native interface to Mathematica Online

There are lots of great things about Mathematica Online. There are also lots of great things about traditional desktop Mathematica. And I, for one, expect routinely to use both of them.

They fit together really well. Because from Mathematica Online there’s a single button that “peels off” a notebook to run on the desktop. And within desktop Mathematica, you can seamlessly access notebooks and other files that are stored in the cloud.

If you have desktop Mathematica installed on your machine, by all means use it. But get Mathematica Online too (which is easy to do—through Premier Service Plus for individuals, or a site license add-on). And then use the Wolfram Cloud to store your files, so you can access and compute with them from anywhere with Mathematica Online. And so you can also immediately share them with anyone you want.

Share access easily from Mathematica Online

By the way, when you run notebooks in the cloud, there are some extra web-related features you get—like being able to embed inside a notebook other web pages, or videos, or actually absolutely any HTML code.

Mathematica Online is initially set up to run—and store content—in our main Wolfram Cloud. But it’ll soon also be possible to get a Wolfram Private Cloud—so you operate entirely in your own infrastructure, and for example let people in your organization access Mathematica Online without ever using the public web.

A few weeks ago we launched the Wolfram Programming Cloud—our very first full product based on the Wolfram Language, and Wolfram Cloud technology. Mathematica Online is our second product based on this technology stack.

The Wolfram Programming Cloud is focused on creating deployable cloud software. Mathematica Online is instead focused on providing a lightweight web-based version of the traditional Mathematica experience. Over the next few months, we’re going to be releasing a sequence of other products based on the same technology stack, including the Wolfram Discovery Platform (providing unlimited access to the Wolfram Knowledgebase for R&D) and the Wolfram Data Science Platform (providing a complete data-source-to-reports data science workflow).

One of my goals since the beginning of Mathematica more than a quarter century ago has been to make the system as widely accessible as possible. And it’s exciting today to be able to take another major new step in that direction—making Mathematica immediately accessible to anyone with a web browser.

There’ll be many applications. From allowing remote access for existing Mathematica users. To supporting mobile workers. To making it easy to administer Mathematica for project-based users, or on public-access computers. As well as providing a smooth new workflow for group collaboration and for digital classrooms.

But for me right now it’s just so neat to be able to see all the power of Mathematica immediately accessible through a plain old web browser—on a computer or even a phone.

And all you need do is go to the Mathematica Online website

14 Sep 13:53

SI ALZA IL VENTO PER MIYAZAKI

by Luca Boschi

Sialzailventoposteritaliano

Il sempre attento Pasquale Frisenda lo ha recensito in anteprima e perciò vi rimando al suo commento nella nuvola blògghiga di PostCardCult.
Nelle sale italiane sarà visibile solo per tre giorni. I fans di Hayao devono quindi far ressa nelle sale che coprono l’evento, per non lasciarselo scappare.

Circa un anno fa pubblicavamo il testo che segue, sul pensionamento del Maestro.

The Wind

Piccolo aggiornamento per i fans di anime, in quanto la Disney ha annunciato la sua strategia di distribuzioneccetera per il nuovo lungometraggio di Hayao Miyazaki Kaze Tachinu , che da quelle parti è intitolato The Wind Rises.
L’ha fatto al pubblico del Toronto International Film Festival, naturalmente in Canada.

Ecco le date della distribuzione in USA:

The film is slated for limited release in North American theaters on Feb. 21, 2014, and expanded release on Feb. 28, 2014, under the Touchstone Pictures banner.

The Wind Rises will also open for Academy Award qualification engagements in New York and Los Angeles Nov. 8-14, 2013, showcasing the original film in Japanese with English subtitles.

Miyazaki-retiring

Personalmente non ho fatto una piega alla notizia dell’uscita di scena del grande regista giapponese Hayao Miyazaki, 72anni, secondo quanto è emerso dalle dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi al Festival del Cinema di Venezia.

L’esperto di cinema d’animazione Amid Amidi ha posto su Twitter la seguente domanda: Is anyone keeping track of how many times Hayao Miyazaki has retired?

Per il momento siamo giunti al totale di tre (lo stesso che ricordavo anch’io), ma può darsi che nel giro breve possiamo totalizzare un punteggio maggiore.Tutti i particolari eventuali, aggiuntivi, su Cartoonist Globale (dov’altrimenti?).

THE WIND RISES

La carissima Emi-Chan, in uno dei tanti commenti che (come tutti, purtroppo) sono adesso negati alla lettura dei vistors, così integrava la mia scarna notiziola.

Qualche precisazione su Miyazaki, dato che la notizia ha sconvolto anche me (^^) ed ho effettuato qualche ricerca in merito.

Innanzitutto, come è stato già fatto notare, questa non è la prima volta che Miyazaki annuncia il suo ritiro; anzi, tutt’altro:
1986 – Laputa – Si allude ad un possilbile ritiro.
1992 – Kurenai no buta – “Ho fatto tutto cio che volevo fare. Ho concluso con i film d’animazione.”
1997 – Mononoke Hime – “alla fine con questo mi rititro”
2013 – Kaze Tachinu – annunciato ritiro
(questa cronologia è stata tracciata da “Genbu” su Pluschan o Ghibliforum, non ricordo).

Inoltre, almeno fino alla prossima conferenza stampa, non abbiamo ancora una dichiarazione ufficiale di Hayao Miyazaki, ma solo quella di Koji Hoshino. Miyazaki, invece, circa un mese fa aveva detto tutt’altro:
http://www.animenewsnetwork.com/news/2013-06-30/hayao-miyazaki/the-wind-rises-is-not-my-final-work
“Shito” Cannarsi, l’adattatore italiano dei dialoghi dei film Ghibli, ha giustamente affermato:
“Miyazaki Hayao è un artigiano. Un artigiano che si è provato capace in più ambiti (anche la produzione, progetto, soggetto, sceneggiatura di film poi diretti di altri, sia in tempi antichi che recentissimi).

Credo che una persona dall’attività artigiana come lui possa fare quel che vuole in ogni momento. Nel senso che in ogni istante della sua vita può decidere di mettersi a fare qualcosa a dispetto dell’aver detto anche cinque minuti prima che non l’avrebbe più fatta. Non a caso Miyazaki Hayao mi pare avesse dichiarato tempo fa che avrebbe smesso di dichiarare cose come ritiri. Al ché, direi che ho messo uno specchio dinanzi all’altro e diviso per zero il tutto.

Tra l’altro, M. ha fatto il produttore, il soggettista e lo sceneggiatore di opere non sue sia in passato (non doveva essere il regista di Kiki, è stato il produttore di Omohide PoroPoro), sia in tempi recentissimi (Arrietty e Coquelicot sono progetti suoio, su sua sceneggiatura).
Nel senso che tanto, dichiarazioni o meno, quando si parla di “artigiani multifunzione” la realtà dei fatti è sempre: chi vivrà, vedrà.”

Anch’io penso che Hayao Miyazaki forse non firmerà più la regia di lungometragi animati, ma continuerà ancora a lavorare come soggettista, sceneggiatore e charadesigner sempre per lo Studio Ghibli. Chissà, magari potrebbe anche realizzare da solo altri cortometraggi per il Ghibli Museum. E forse avrà più tempo per disegnare manga, che pure non sarebbe male. Insomma, credo proprio che sentiremo ancora parlare di lui! ^__^

@Matteo: la Disney/Buena Vista forse distribuirà il film in alcuni paesi europei, ma non in Italia, dove i diritti appartengono alla Lucky Red già da qualche anno. Alla Disney sono rimasti solo i diritti sui vecchi doppiaggi di “Mononoke Hime” e Sen to Chihiro (tanto che la traccia audio del primo è stata inserita nel nuovo blu-ray da collezione giapponese di “Mononoke Hime”), ma tanto sono così pieni di errori che non se ne sente la mancanza. Anzi, non vedo l’ora che arrivi il loro turno per un nuovo doppiaggio da parte della Lucky Red.

Tra pochi mesi uscirà nei cinema giapponesi il nuovo film dell’altra colonna dello Studio Ghibli, Isao Takahata, che dopo una lunghissima gestazione (quasi quindici anni!) ha finalmente ultimato “Kaguya Hime no monogatari”. A giudicare dalle prime anticipazioni, sembra proprio che sarà anch’esso un film memorabile!

Intanto, sotto, nei francobolli commemorativi, un buon numero di link con pezzi correlati.

Disney-o-sole-minnie

Si aggiunge un microscopico estratto del nuovo crtometraggio animato con Topolino, dall’immaginifico titolo ‘O sole Minni (SIC), nel quale compie un’apparizione cameo, Willie, la balena che cantava all’opera.

Questo nuovo cortometraggio in grafica 2D è diretto dal vincitore dell’Emmy Award Paul Rudish (Il laboratorio di Dexter, Samurai Jack e Le Superchicche) e prodotto da Disney Television Animation, sarà presentato domani in anteprima nel corso della 70. Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Fuori Concorso.

Disney Mickey Mouse ‘O Sole Minnie (titolo originale completo) è uno dei 19 cortometraggi animati della serie Mickey Mouse, dallo stile contemporaneo e dall’umorismo classico (così recita la nota stampa), rivolti ai bambini tra i 6 e i 14 anni e alle loro famiglie.

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14 Sep 13:40

L'automobile solare - Il serpente dei ghiacci

by noreply@blogger.com (Corrierino)
Tratto dal nº 3 del 17 gennaio 1965 del Corriere dei Piccoli.



14 Sep 13:10

Possibile furto di password per 5 milioni di account Google

by Paolo Attivissimo
Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “tomcec” e alle segnalazioni di “lrosa” e “mauriziog” ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Stando a Russia Today, sta circolando in Rete un file contenente circa 5 milioni di nomi utente e password di account Google. Una versione del database priva di password è qui: sfogliatela per vedere se contiene il vostro nome utente, nel qual caso è meglio cambiare password e in generale attivare l'autenticazione a due fattori.

Aggiornamento (16:00): Oversecurity ha alcuni dettagli aggiuntivi e una copia del file. Da mail private che mi sono giunte e dai commenti qui sotto risulta che almeno alcuni degli indirizzi elencati sono reali.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.
14 Sep 13:09

Scientists split over Scottish independence vote

by Elizabeth Gibney

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Nature 513, 7517 (2014). http://www.nature.com/doifinder/10.1038/513151a

Author: Elizabeth Gibney

Research could founder or flourish if Scotland leaves the United Kingdom.