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02 Feb 11:30

Chiara Caponnetto – Rewind

by Bruko

 

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Chiara è una dei miei bambini del GSFP. È difficile non vederli in questo modo, quei fotografi pigri che a fine 2012 si sono iscritti sulla fiducia a qualcosa che non esisteva, se non nella mia testa.
Quando si è presentata, l’ha fatto come grafico: il suo lavoro era lavorare foto di altri e aveva cominciato a interessarsi alla fotografia, ma a gennaio 2013 era soprattutto la mamma di due bambini e la moglie di suo marito e questo è stato il punto di partenza di un progetto a mio parere magnifico, che per me è stato un privilegio veder nascere una foto alla volta.

Chiara ha scelto di raccontare la famiglia, mettendo in scena alcuni ricordi che riguardano il suo nucleo d’origine, i non detti, i segreti, le maschere. Farlo richiedeva di essere onesti senza essere patetici, di saper dosare delicatezza e crudezza, di raccontare, oltre che dire.
I primi mesi sono stati un parto. Credo di aver preso a bastonate verbali poche persone come ho fatto con lei: all’inizio sembrava avesse un problema per ogni soluzione e non riuscivo a farle capire quanto importante fosse lasciarsi lo spazio di provare senza giudicarsi. A ogni suo “non posso, non sono capace” si alternavano i miei “non mi interessa, fallo lo stesso”. A ogni suo tentativo di parlare male di sè, il suono rassicurante di un calcio nel sedere.

Ha lavorato come una pazza: credo che la prima foto sia stata ri-scattata almeno dieci volte e la seconda forse anche di più. Le fasi iniziali di un progetto sono strane: si passa un sacco di tempo a cercare di far foto che possano essere considerate valide dagli altri e ci si dimentica di fidarsi del proprio istinto, che però diventa più forte per ogni foto successiva, fino a diventare una bussola vera e propria.
Ho imparato moltissimo da lei e dalla sua ostinazione, dalla sua capacità di essere completamente onesta con la propria visione.

Ho chiesto a Chiara il permesso di pubblicare il suo progetto per intero e di rispondere a qualche domanda. E se non vi basta, vi rimando al suo sito neonato. Tenetela d’occhio, ne vale la pena.

 

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FLASHBACK 1:
Avevo circa tre anni. Era estate, abitavamo in una casa in affitto al mare. Sembrava un tranquillo pomeriggio come tanti, io e mio fratello giocavamo in giardino. Ma ad un tratto, i miei genitori chiesero a me e mio fratello di rientrare in casa e di scegliere con chi dei due avremmo voluto restare. Mio fratello corse da mio padre e io, invece, rimasi immobile al centro della stanza. Mia madre andò via di casa.

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FLASHBACK 2:
I miei genitori spesso di pomeriggio riposavano. Io rimanevo sveglia a giocare in camera. Tassativamente vietato fare rumore in quelle ore. Quel pomeriggio percorsi il corridoio e mi fermai a guardarli attraverso la porta socchiusa della loro camera. Vidi la mia prima scena di sesso. Ad un tratto mia madre si accorse di me. Fece un balzo nel letto per ricomporsi. Scappai in camera e mi sedetti sul mio comodino a testa bassa. Mia madre mi raggiunse con indosso la sua vestaglia blu e mi abbracciò.

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FLASHBACK 3:
I miei erano dei fumatori incalliti. Solitamente mio padre stava alla scrivania nel suo studio (ricavato nella camera di mio fratello) e mia madre in cucina dall’altra parte della casa. Mio padre le urlava da quella stanza di accendergli una sigaretta. Mia madre l’accendeva, me la passava e io facevo da corriere percorrendo il corridoio. E sì, una volta o due credo di avere fatto anche un tiro.

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FLASHBACK 4:
Successe che mio padre fece un viaggio di lavoro in Nord Italia e quando tornò mi portò un regalo. Una felpa. Quella sera dovevamo uscire con tutta la famiglia, io mi stavo vestendo e avrei voluto indossarla. Mio padre mi disse di no, che non era il caso. Io insistetti e chiesi a ripetizione “ma perché?”. Non mi rispose, uscì dalla stanza e ritornò con un ombrello e mi picchiò e picchiò sulle gambe. “Perché? Cosa avevo fatto di male?”. Sono le domande a cui pensai tutta la sera tra i singhiozzi soffocati.

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FLASHBACK 5:
Papà mi accompagnava a scuola la mattina, era sotto il suo ufficio. Prima passavamo da un bar, io prendevo una brioche vuota per fare lo spuntino di metà mattina e lui un whisky come fosse un caffè. Non l’ho mai visto bere in casa. Come se facesse una qualche differenza.

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FLASHBACK 6:
Mia madre aspettava un bambino. Però, non appena venne data la notizia, non c’era gioia in casa. Nessuno sembrava contento, tranne me. Mio fratello addirittura disse una cosa cattiva davanti a mia madre, a cui io risposi “e se fossi nato tu dopo?” Rimanemmo sole io e mia madre in cucina. Lei, piangendo, mi abbracciò. Sentii tutta la sua gratitudine per averla difesa.

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FLASHBACK 7:
In casa mancavano delle cose: oggetti di vario genere o soldi. I miei stavano diventando matti. E poi, le discussioni si protraevano per ore. Mia madre, addirittura, aveva preso l’abitudine di riporre la sua borsa dentro l’armadio. Un pomeriggio entrai in camera di mamma e papà. Volevo guardarmi nell’unico specchio in casa che ritraesse per intero, e vidi mio fratello che silenziosamente armeggiava nell’armadio. Non appena si accorse di me, fece un sussulto e poi il gesto del silenzio. Io girai i tacchi e ritornai a farmi i fatti miei, non ero mica una spia.

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FLASHBACK 8:
“Ciao mamma, io esco” “Ciao”- mi rispose. Neanche mi guardò, così assorta nelle sue preghiere. Io, al contrario, la fissai a lungo, pensando che prima ancora della malattia me la stesse portando via Dio.

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FLASHBACK 9:
Mamma, ormai, non usciva più di casa. Era troppo debole: le mancavano i capelli, le mancava il respiro e aveva bisogno della bombola d’ossigeno. Quel giorno mi chiese di andare ad un matrimonio di un suo amico al suo posto. Dopo le ultime raccomandazioni e i commenti sul mio vestito, mi salutò da casa e si mise ad aspettare che finisse anche quella giornata. Non la vidi più.

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IL NON RICORDO:
Papà quella sera era solo in casa. Era seduto circondato dalle sue cose, i suoi ricordi. Si è sentito male, un altro ictus. É caduto. Riverso per terra è stato trovato nel cuore della notte.Troppo tardi. Sotto di lui le foto di famiglia.

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FLASHBACK 10:
Io e mio padre parlavamo poco tra di noi. Quel giorno, dal nulla, iniziò: “Sai, nella mia vita non mi sono fatto mai mancare niente”- intendeva in negativo -”mia moglie mi ha lasciato, mio figlio si è perso, quando ero piccolo …” – si commosse – “…ho subìto abusi.” “Chi è stato?” gli domandai. “Non ha più importanza!” mi rispose. Scappai via. Da tutto quel dolore.

 

Com’è nata l’idea di Rewind?

Confesso che, quando hai chiesto di pensare ad un argomento per il calendario che ci interessasse veramente trattare, non ci ho dormito la notte. Le riflessioni che ho fatto ricadevano sempre sul tema della famiglia. Sono una donna adulta, sono sposata e ho due figli, una bambina e un bambino, di 6 e 2 anni rispettivamente. Vivo un momento in cui mi sento molto responsabile di queste due piccole vite che dipendono totalmente da me. Ogni giorno devo prendere delle decisioni, insieme a mio marito, grandi o piccole (ma ugualmente importanti), che influenzeranno il loro modo di approcciarsi alla vita. E ogni nostro comportamento o atteggiamento è sotto i loro occhi. Quello che noi genitori facciamo oggi, sarà il bagaglio che si porteranno dietro in futuro. Così, ho iniziato a pensare anche al mio passato e ai miei genitori e a come la loro storia avesse segnato la mia vita. E ho pensato che non avrei potuto parlare del presente se prima non avessi analizzato il passato. Un passato spesso doloroso e a tratti incomprensibile. Inizialmente mi sentivo un po’ persa su come affrontare l’argomento, perché della mia famiglia di provenienza non esiste praticamente più niente: ne’ oggetti, ne’ una casa a cui ritornare, ne’ genitori. Esistono solo i ricordi dentro la mia testa che ogni tanto riaffiorano come se una pellicola cinematografica si riavvolgesse e si bloccasse su quel dato fotogramma. E così che è nata l’idea di mettere in scena i flashback più significativi. Appena ho concluso il progetto ho deciso il titolo: Rewind.

Qual è stata la difficoltà più grande per te, sia dal punto di vista tecnico, che dal punto di vista emotivo? 
La difficoltà maggiore dal punto di vista tecnico in generale, credo, sia stata quella di avere poca dimestichezza con luci diverse dalla naturale. Durante il percorso del GSFP ho imparato a conoscere meglio la luce, a mescolare fonti di luce diversa per cercare di ottenere dei toni coerenti per il mio progetto già in fase di scatto. E in questo senso tutte le esercitazioni settimanali mi hanno fornito sempre degli spunti interessanti sull’utilizzo della luce artificiale e alternativa. Per esempio: io nella borsa della macchina fotografica ormai ho sempre una torcia e dei fogli di acetato colorati. L’altro problema, strettamente correlato al primo, è stato quello di riuscire a direzionare la luce che avevo a disposizione (parlo soprattutto di luci da tavolo, piantane o abat-jour) nei punti giusti per ottenere l’atmosfera che avevo in mente.
Invece dal punto di vista emotivo ho dovuto inizialmente fare i conti con dei sensi di colpa. Sono cresciuta con la mentalità che tutto quello che succede in famiglia resta in famiglia, per cui ho pensato di fare un torto a miei. Non a caso dopo le prime prove stavo battendo in ritirata a favore della food photography. E in seguito quando ho messo in piedi alcuni ricordi mi sono sentita di nuovo molto triste e ho passato dei giorni in cui sono stata davvero dissociata, perché calandomi nel passato è affiorata la mia frustrazione di allora, pur avendo nel presente una realtà del tutto soddisfacente.
Che tipo di attrezzatura hai usato?
Fotocamera: Canon 5D mark II. Lenti: Canon EF 50 mm f/1.4 USM e Canon EF 24-105 mm f/4L IS USM. Treppiedi: Cullmann Magnesit 525. Flash: Canon Speedlite 430 EX II. Luci: Piantana, luci da tavolo, abat-jour, torcia.
A distanza di un anno da quando hai cominciato a fotografare, cos’è cambiato nel tuo modo di fotografare? 
Prima vedevo una scena che mi piaceva, controllavo più o meno di rispettare qualche regola sulla composizione e click, click, click, click.  A distanza di un anno innanzitutto prima di schiacciare il pulsante guardo sempre che tipo di luce ho a disposizione, essendone un po’ più consapevole. Se è il caso valuto proprio di non fare lo scatto. Mi guardo molto di più intorno e di ogni scena non mi limito ad un solo punto di vista, ma mi muovo e cerco (quando si può ovviamente) di esplorare diverse angolazioni. Così molte volte mi sono resa conto che un punto di vista diverso poteva funzionare di più rispetto a quello che avevo pensato in partenza. Quando entro in una stanza guardo subito dove sono le finestre, il colore delle pareti e delle tende. Se faccio dei ritratti la prima cosa di cui mi assicuro è di posizionare le mani e non tagliare gli arti in maniera maldestra. Sto lavorando ancora sul controllo di oggetti non desiderati all’interno dell’inquadratura e ai bordi. Nel 2013 ho sgombrato anche un po’ di confusione sul perché fotografo e su cosa mi piace fotografare. E più di tutto che la fotografia, essendo un linguaggio, è a servizio dell’idea e non viceversa. Inoltre ho imparato a pensare in termini di progetto e non per singola immagine e ad avere pazienza. Non si può avere tutto e subito, bisogna lavorare!
Cos’è per te la famiglia? 
Io chiamo famiglia qualsiasi gruppo di persone che abbiano un progetto di vita comune che consenta a ciascuno di crescere nei propri affetti, nella propria spiritualità e cultura, a patto che di base esista e venga alimentato il legame affettivo. Il senso di appartenenza, per me, è più importante del legame di sangue, che comunque è qualcosa che non si sceglie.
Cara Sara, a proposito di famiglia, se tu mi permetti, approfitto di questo spazio per ringraziare la mia famiglia per la collaborazione. Senza di loro il progetto non esisterebbe nemmeno. Mi hanno dato tutto il supporto possibile e hanno avuto tanta pazienza anche quando, qualche volta, mi sono rivolta sgarbatamente.
Quale sarà il tuo prossimo progetto? 
Quando ho deciso di iniziare il progetto Rewind avevo già deciso che avrei continuato a trattare il tema famiglia. Ho trattato il passato, adesso vorrei trattare il presente. Sto iniziando un progetto che si chiama “Ordinary life” (prendendo in prestito il titolo da un famoso brano dei Liquido) in cui seguo i miei cari nelle nostre giornate ordinarie. Come obiettivo tecnico ho quello di cercare di migliorare nella composizione. Dopo spero di essere pronta per coinvolgere altre famiglie di qualsiasi tipo in un progetto più ampio.
L’ultima cosa che volevo aggiungere, Sara, è che il GSFP mi ha arricchito non solo dal punto di vista fotografico ma soprattutto da quello umano. E, senza alcun dubbio, confrontarmi con te e i compagni di avventura, e poi conoscervi di persona, sono da annoverare tra gli avvenimenti più belli del mio 2013. Ti ringrazio molto.

 

23 Jun 09:30

Update: Mathieu Tremblin

by *A


“Parking Tickets Bouquet”, 2013 (Papierblumen aus Strafzetteln)


“Closet Island”, 2013 (Palme im Zug-WC)


“Ink Geyser”, 2013 (mit Diet Coke & Mentos)


“Watermark”, 2013


“If I get 1 Million Likes”, 2013


“Flat Curator”, 2012 (Bieber Pappaufsteller)

Der französische Künstler Mathieu Tremblin war wieder fleißig und hat zahlreiche neue, großartige Projekte im öffentlichen Raum realisiert. Und, ich hatte es bisher noch gar nicht entdeckt, er besitzt jetzt sogar nen eigenen Pappaufsteller von mir…

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