Una delle cose che ho capito molti anni fa stando in rete, perché diciamolo su Internet la platea di persone con le quale si interagisce direttamente è molto più vasta e meno contingentata, è che non si può piacere a tutti.
Tutti noi, credo, vorremmo piacere al maggior numero di persone possibile: si tratta – come si dice sempre in questi casi – di un vasto programma. Se poi le persone alle quali non piaceremo – e che intenderanno spesso farcelo sapere con urgenza – ci sembreranno dei cretini sarà anche più semplice. Ovviamente cretini dal nostro punto di vista, poichè qualsiasi allargamento dello sguardo ci farà comprendere immediatamente che ciascuno di noi è il cretino di qualcun altro, ma ecco insomma, quando le critiche e i biasimi che ci riguardano ci sembrano palesemente infondati l’idea di non piacere a qualcuno dei nostri critici risulterà comunque accettabile. Servirà anzi a corroborare un’ulteriore distorsione secondo la quale noi, proprio noi, siamo in missione per conto di Dio: stiamo costruendo un vallo fra le persone intelligenti e lo spazio selvaggio intorno.
La nostra bolla di interessi, punti di vista, parole che andiamo costruendo nel tempo in rete ha vantaggi e limiti ben noti. Non è di questo che volevo parlare. Dentro la nostra bolla saranno contenute, per la maggior parte, persone alle quali siamo convinti di piacere e che ci piacciono, dentro uno scambio di sguardi sulla cui superficialità forse non abbiamo ragionato abbastanza. Sono legami deboli quelli che costruiamo in rete con persone affini alle quali, molto spesso, affidiamo un ruolo affettivo superiore a quello che effettivamente hanno. Il bias di conferma che ci costruiamo attorno è un castello messo assieme con le carte da tressette. La sua solidità è simulata dal continuo ricircolo: dentro la nostra bolla le persone escono ed entrano in continuazione e la nostra concentrazione è riservata solo a quelli presenti in quel momento.
È in questa continua silenziosa mutazione, da noi spesso non considerata, che si fortifica l’idea di una umanità amichevole che ci supporta e ci è accanto, persone che abbiamo scelto, che sono lì, e che sono simili a noi. Se invece di un generico sguardo di insieme ci imponessimo una qualche contabilità sulla saldezza delle nostre relazioni online le scopriremmo assai più fragili e variabili.
È questo il tratto disumano della nostra vita in rete. Disumano perché così differente dalla nostra precedente idea di relazioni sentimentali costruite nella vita reale e che utilizziamo da un paio di millenni.
Il tratto disumano acuisce le differenze e innalza le tensioni. Replica quotidianamente contrapposizioni che fino a ieri gestivamo solo occasionalmente, sottolinea con brutalità la natura ondivaga e scarsamente inquadrabile delle persone. Fortifica in noi, specie nei momenti di crisi, la sensazione che i cretini siano tutti attorno a noi e che siano moltissimi.
Il tratto disumano – che nasce con gli ambienti digitali – è attualmente la più esatta rappresentazione di noi fra quelle a nostra disposizione. È dolore, piccole o grandi delusioni, nervi scoperti, ed è una conseguenza della nostra esposizione in rete.
Il tratto disumano è una mappa di noi di inedita precisione: ed è anche il punto inevitabile da cui dovremo partire se davvero la nostra aspirazione sarà quella di renderci migliori.